Se A è e superiore a B, allora B è inferiore ad A. Ma questa idea non piace a B, specialmente se si tratta di una inferiorità intellettuale e/o morale, e (a meno che A non sia così bravo da nascondere le sue doti) B farà di tutto per trovare dei difetti in A per negare o ridimensionare la sua superiorità, e, non trovandoli, dirà che A è arrogante e presuntuoso, e che la sua superiorità è relativa e soggettiva, che nessuno ha il diritto di valutare il livello di qualità morale e intellettuale di nessuno, e che in realtà siamo tutti uguali.
Le persone moralmente e intellettualmente superiori sono dunque costrette, se non vogliono rendersi antipatiche e attirarsi l’ostilità dei mediocri, a nascondere le loro doti migliori.
Questo provoca danni sia a livello individuale che sociale. A livello individuale viene danneggiata la mente delle persone migliori, che, per essere accettate dagli altri sono costrette a nascondere le loro doti, in molti casi anche a se stesse, come se fossero cose di cui vergognarsi. Si arriva così al paradosso che il senso di inferiorità e la timidezza colpiscono soprattutto le persone iperdotate. A livello sociale viene danneggiata la società perché, dato che il progresso civile non viene dal cielo ma è causato dai contributi delle persone migliori, scoraggiare il riconoscimento delle superiorità ostacola il progresso stesso.
Questo problema non si pone nel confronto di qualità fisiche, in particolare della bellezza e delle capacità atletiche e sportive. Al contrario, le persone esteticamente ed atleticamente superiori sono oggetto di un vero e proprio culto, anche quando se ne vantano.
Il concetto di eccellenza è dunque un tabù solo per quanto riguarda l’intelletto (inteso come capacità di concepire nuove idee utili alla società) e la morale. Perché? Credo che ciò sia soprattutto la conseguenza dell’educazione religiosa che, da una parte, riserva al clero il diritto di valutare la moralità e la sapienza delle persone, e, dall’altra, applica criteri di valutazione per cui il massimo della moralità coincide con l’estremo sacrificio personale (caratteristico dei santi martiri) e il massimo della sapienza coincide con la teologia.
I mass media, pilotati dai poteri politici, economici e religiosi, ostacolano ulteriormente la coltivazione e il riconoscimento dell’eccellenza morale e intellettuale nel tentativo di inibire l’esercizio del senso critico, pericoloso per quei poteri, in quanto si basano sull’obbedienza acritica e la manipolazione dei cittadini – consumatori – fedeli.
Viviamo dunque in una dittatura della mediocrità, che in politica si incarna nella demagogia. Questa approfitta del fatto che in democrazia il voto di uno stupido o di un irresponsabile vale quanto quello di una persone superiore, per cui è la quantità, e non la qualità degli elettori, a determinare i governi.
Per concludere, per avere successo nella società occorre rendere omaggio alla mediocrità e nascondere le proprie doti intellettuali e morali, o, meglio, non averne affatto. E’ il trionfo della modestia coercitiva usata dai mediocri (ormai al potere) come arma contro l’espressione dell’eccellenza nei campi in cui più si distingue l’uomo dalla bestia.