Realtà e mistero – Doppia mistificazione nel messaggio papale

Realtà e mistero – Doppia mistificazione nel messaggio papale

Citazione da un articolo di Gianni Cardinale da Avvenire, 5 aprile 2015 (scaricabile da qui):


Il Papa: non abbiate paura della realtà


Nella Veglia pasquale l’invito a «entrare nel mistero».


Non si può «vivere la Pasqua» senza «entrare nel mistero». Perché non si tratta di «un fatto intellettuale», non è solo «conoscere, leggere…», ma «è di più, è molto di più!». Lo ha ricordato papa Francesco nell’omelia preparata per la solenne Veglia pasquale celebrata ieri sera nella Basilica Vaticana. Ed «entrare nel mistero» significa capacità di «stupore» e «contemplazione», richiede di «non avere paura della realtà», di «non chiudersi in sé stessi», di «non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo», di «non chiudere gli occhi davanti ai problemi», di «non eliminare gli interrogativi…». «Entrare nel mistero», ha riflettuto il Papa, significa andare oltre «le proprie comode sicurezze», e mettersi alla ricerca «della verità, della bellezza e dell’amore». Per «entrare nel mistero» ci vuole poi l’«umiltà» di «abbassarsi», di scendere dal piedistallo «del nostro io tanto orgoglioso», di «ridimensionarsi», riconoscendo quello che effettivamente siamo: dei «peccatori bisognosi di perdono». E per «entrare nel mistero» ci vuole «svuotamento delle proprie idolatrie» e «adorazione». Perché «senza adorare» non si può «entrare nel mistero».

Questo discorso si può riassumere nei seguenti punti:

  1. il mistero è più importante dell’intelletto e della conoscenza;
  2. entrare nel mistero significa:
    • essere capaci di stupore e contemplazione
    • non avere paura della realtà
    • non chiudersi in se stessi
    • non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo
    • non chiudere gli occhi davanti ai problemi
    • non eliminare gli interrogativi
    • andare oltre le proprie comode sicurezze
    • mettersi alla ricerca della verità, della bellezza e dell’amore
  3. per entrare nel mistero ci vuole:
    • umiltà di abbassarsi
    • umiltà scendere al piedistallo del nostro io tanto orgoglioso
    • umiltà di ridimensionarsi
    • umiltà di riconoscere che siamo peccatori bisognosi di perdono
    • svuotamento delle proprie idolatrie
    • adorazione

Quello che il discorso non dice, ma che è sottinteso, è che per entrare nel mistero ci vuole la Fede cristiana, che è superiore all’intelletto e alla conoscenza e come tale non può essere messa in discussione né dall’uno né dall’altra. E’ anche sottinteso che per avere la Fede cristiana è necessario il magistero della Chiesa cattolica.

Il discorso è molto abile perché mescola argomenti di buon senso e condivisibili  con altri del tutto privi di fondamento. Gli argomenti di buon senso sono quelli della lista del punto 2 (cosa significa entrare nel mistero). Occorre tuttavia osservare che essi non sono affatto legati al concetto di “mistero”, ma sono raccomandabili in generale e in particolare per coltivare l’intelletto, la conoscenza della realtà e la responsabilità nei confronti del prossimo.

Un’altra mia critica a questo brano del discorso è che il concetto di mistero non è affatto chiaro e resta, in effetti un mistero, a cui ognuno potrebbe dare la forma, il colore e il valore che vuole, se non intervenisse poi la Chiesa a illustrarlo attraverso le sacre scritture e le encicliche papali.

Infine, trovo assolutamente inaccettabile la lista del punto 3 (cosa ci vuole per entrare nel mistero), in cui, ammesso che il mistero sia una cosa reale e buona, si invitano i lettori incondizionatamente, per raggiungerlo, ad umiliarsi, a non avere autostima, a considerarsi peccatori, ad ammettere di essere idolatri, e ad “adorare” (ovviamente le figure sacre del cristianesimo), che poi è la stessa cosa che idolatrare, solo che vengono chiamati idolatri gli adoratori di divinità “straniere”.

Come non vedere in questa mistificazione del “mistero” e della realtà un tentativo di svalutare l’intelletto e la conoscenza allo scopo di guadagnare proseliti, indurre la gente a pensare di meno e soprattutto non in modo indipendente e fare di tutto ciò una virtù?

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