Categoria: Appartenere
Stringa nel titolo o nel testo: 


285 articoli ordina per data nascondi contenuti
Appartengo, dunque sono.
Ogni gesto denota certe appartenenze.
Io appartengo a ciò che mi appartiene.
Ogni cosa, ognuno, appartiene al mondo.
Ogni cosa appartiene al resto del mondo.
L'io è solo, gli altri sono raggruppati.
Sbagliare insieme o avere ragione da soli?
Io appartengo alle cose che mi appartengono.
Ogni richiesta è una richiesta di appartenenza.
Le crisi di identità sono crisi di appartenenza.
Certe appartenenze implicano certe non appartenenze.
Ciò che mi appartiene determina ciò a cui appartengo.
Ogni umano è caratterizzato dalle proprie appartenenze.
Le appartenenze valgono solo se riconosciute dagli altri.
Per molti, annoiarsi insieme è meglio che divertirsi da soli.
Le feste sono dimostrazioni ed esami di apppartenenza sociale.
Se ciò a cui appartengo va in rovina, anche io sono rovinato.
Disordine: situazione in cui le appartenenze non sono definite.
Qualsiasi cosa facciamo o pensiamo denota qualche nostra appartenenza.
Tutte le cose che percepiamo costituiscono anche segni di appartenenze.
Appartenere a certe categorie implica il non appartenere a certe altre.
Essere in una relazione significa farne parte, cioè appartenere ad essa.
Una condivisione consiste in una comune appartenenza o in un comune possesso.
L'effetto umoristico è causato da un improvviso cambio di status di qualcosa.
Se una squadra vince, è come se vincesse ogni suo membro e ogni suo sostenitore.
L’appartenenza sociale richiede una frequente partecipazione a rituali collettivi.
Una comunità può essere basata sul comune credere in un comune insieme di falsità.
Una gran parte delle attività umane consiste in rituali di appartenenza dissimulati.
In un certo senso (quello dell'appartenenza) andare ad un concerto è come andare a messa.
Dialogare serve anche a stabilire, confermare o cambiare relazioni, appartenente e status.
Per far parte di una comunità bisogna eseguire i suoi riti anche se non significano nulla.
Per poter appartenere a certi gruppi o categorie sociali, ci devono appartenere certe cose.
L'uomo desidera una comune appartenenza rispetto agli altri, e per questo tende ad imitarli.
La psicoterapia dovrebbe aiutare il paziente a costruire nuovi insiemi e nuove appartenenze.
Ogni umano teme la perdita delle proprie appartenenze.
Molte conversazioni ed espressioni umoristiche non sono altro che riti di comune appartenenza.
Un libro non è solo una fonte di informazioni, ma anche un manifesto di appartenenza sociale.
Il soggetto possiede l'oggetto e/o è posseduto da esso.
Se non fai come noi, non pensi come noi, non senti come noi; non sei dei nostri, sei straniero.
Appartenenza sociale e status costituiscono le motivazioni più importanti di ogni essere umano.
I messaggi pubblicitari non promettono prodotti efficaci, ma apppartenenze e status desiderabili.
Potendo scegliere, preferiamo appartenere alle comunità in cui possiamo avere lo status più alto.
Compito della coscienza è conciliare le esigenze del proprio corpo con quelle della propria società.
Il mio corpo mi appartiene ed io appartengo ad esso. Il mio corpo ed io ci apparteniamo reciprocamente.
La paura (conscia o inconscia) di essere esclusi dalle proprie comunità di appartenenza rende stupidi.
In ogni gesto, in ogni azione, in ogni espressione umana è implicito il messaggio "io appartengo a ..."
Appartenenza e status sono collegati. Tanto minore lo status, tanto maggiore il rischio dell'esclusione.
Affinché due persone possano essere amiche, esse devono appartenere ad una stessa classe di esseri umani.
La morte fa paura perché comporta la perdita di ogni appartenenza.
I nostri principali desideri sono appartenenza, status e libertà. Soddisfarli tutti insieme è impossibile.
Andare alla messa serve soprattutto a dimostrare di appartenere alla comunità di coloro che vanno alla messa.
La società è come un puzzle di cui si può far parte solo se si ha una forma adatta alle forme degli altri.
Il desiderio e la speranza di far parte di una unanimità sono irresistibili e ci accompagnano per tutta la vita.
Ci sono appartenenze impossibili da cambiare, altre che possono essere cambiate parzialmente, più o meno facilmente.
L'appartenenza sociale è basata sulla imitazione e riproduzione di certe forme caratteristiche di una certa comunità.
Ogni gesto, ogni azione, ogni espressione umana è anche parte di un rituale di appartenenza ad un certo insieme sociale.
Ogni conflitto presuppone certe appartenenze e certi status relativi alle parti in competizione; presupposti discordanti.
L'umorismo è caratterizzato da appartenenze sociali ambigue e da improvvisi cambi di appartenenza a certi insiemi sociali.
I concetti-chiave della natura umana: emozione, appartenenza, interazione, cooperazione, autorità, gerarchia, competizione.
La gente acquista certi prodotti per la loro utilità pratica e/o perché essi esprimono appartenenze a certi insiemi sociali.
Ci sono persone che credono in certe cose perché se non ci credessero perderebbero la stima dei membri della propria comunità.
L'inconscio di ognuno grida continuamente: io voglio appartenere a certi insiemi e non voglio appartenere a certi altri insiemi!
La storia insegna che aver ragione può essere molto pericoloso e che è più sicuro sbagliare insieme che avere ragione da soli.
Le religioni uniscono e dividono. Infatti uniscono i fedeli contro gli infedeli, ovvero contro gli atei e i fedeli di altre fedi.
Per certe persone l'erudizione non ha altra funzione che quella di status symbol e di distintivo di appartenenza ad un certo ceto.
Dire "buongiorno" o "ciao" a qualcuno significa "tu per me esisti e mi sta bene che tu esista". Per questo è importante salutarsi.
Di ogni espressione e manifestazione umana, culturale, artistica, ecc. dovremmo chiederci: quali persone unisce? Quali persone divide?
Una causa di stress mentale è la discrepanza tra le appartenenze che il soggetto si attribuisce e quelle che altri gli attribuiscono.
La cultura si fonda soprattutto sul linguaggio, sulla capacità di astrazione, sul bisogno di compagnia e sulla paura della solitudine.
Mi fa piacere che qualcuno usi qualcosa che io ho prodotto, protetto o riprodotto. Mi fa sentire degno di appartenere alla società umana.
L'uomo ha un profondo bisogno, più o meno consapevole, di appartenere a qualche cosa più grande, più forte e più duratura di se stesso.
Per ogni umano è importante sapere cosa gli appartenga e a cosa egli appartenga, e cosa appartenga agli altri e a cosa gli altri appartengano.
Non solo abbiamo bisogno di essere accettati dagli altri, ma abbiamo bisogno di essere accettati con uno status adeguato alle nostre capacità.
Ogni umano desidera appartenere, con uno status adeguato al proprio valore, ad un insieme sociale avente uno status adeguato al proprio valore.
Regalare qualcosa a qualcuno significa rinunciare ad una proprietà in cambio della condivisione di una storia.
Ognuno umano desidera appartenere a certe categorie e a certi gruppi sociali e non appartenere a certe altre categorie e a certi altri gruppi sociali.
L'appartenenza ad un insieme sociale non è un fatto binario (sì/no). Si può appartenere in una certa misura, che varia dallo zero al cento per cento.
La fratellanza scaturisce dall'essere figli degli stesso padre, sudditi dello stesso dominatore, allievi dello stesso maestro, o nemici dei stesso nemico.
Offendere un insieme (gruppo, organizzazione, comunità, chiesa, stato ecc.) a cui un individuo sente di appartenere equivale a offendere l'individuo stesso.
Agire, subire, informare, informarsi, lasciarsi informare, danno luogo all'appartenere e al possedere, e questi danno luogo all'essere, cioè alle identità.
Ogni comunità è esclusiva e inclusiva allo stesso tempo. Inclusiva verso chi ne rispetta le regole (forme, norme, valori), esclusiva verso chi non le rispetta.
L'adorazione di uno stesso dio costituisce motivo e strumento di coesione sociale, così come l'adorazione di un certo tipo di bellezza ovvero di stile estetico.
Ogni elemento culturale (per esempio una canzone) può costituire un punto di convergenza o divergenza sociale, di comunità o estraneità di gusto e appartenenza.
Ognuno ha bisogno di essere riconosciuto come appartenente a certe comunità, classi o categorie, e come posizionato ad un certo livello di certe gerarchie sociali.
Un gruppo sociale può anche essere un sistema di mutuo riconoscimento e di mutua approvazione, riconoscimento e approvazione di cui abbiamo tutti un grande bisogno.
Il solo scopo per cui molte persone fanno un’infinità di cose è quello di affermare o confermare la loro appartenenza a certe categorie e a certi gruppi sociali.
Un essere umano socialmente isolato è debole, irrilevante e insignificante. Solo in quanto membro di una comunità l'uomo diventa importante, significativo e potente.
Ogni umano è motivato ad appartenere a cose di valore e a possedere cose di valore, secondo i valori tipici delle comunità a cui appartiene o a cui vorrebbe appartenere.
È opportuno usare cautela nel rivelare le proprie appartenenze e non appartenenze, per evitare l'ostilità di coloro che appartengono ad insiemi rivali rispetto ai propri.
Qualunque cosa facciamo denota l'appartenenza ad un certo insieme sociale, e il piacere che ne ricaviamo può essere un effetto dell'illusione di appartenere a quell'insieme.
L'appartenenza ad un gruppo o comunità richiede il riconoscimento delle relative autorità (politiche, culturali, etiche, estetiche, accademiche ecc.) e l'obbedienza ad esse.
La comicità può scaturire da un incertezza circa l'appartenenza di un personaggio a certe categorie di opposto prestigio, o da un improvviso cambio di appartenenza percepita.
Il verbo essere può, e dovrebbe, sempre essere sostituito dal verbo appartenere e/o possedere. Perché "essere" significa, appunto, appartenere a qualcosa e/o possedere qualcosa.
L'appartenenza di un'entità a certe categorie determina le proprietà dell'entità stessa, così come le proprietà di un'entità determinano la sua appartenenza a certe categorie.
Per essere felici è necessario che siano soddisfatti vari bisogni primari, per essere infelici è sufficiente che uno di essi sia insoddisfatto. Per esempio, il bisogno di compagnia.
Le folle si formano perché le persone ne sono attratte, desiderano formarle e farne parte. Perché far parte di una folla fa sentire più grandi, più potenti, più giusti e invulnerabili.
L'arte unisce e divide perché è uno strumento di affermazione di un'appartenenza sociale. Unisce coloro che hanno le stesse appartenenze e li divide da coloro che hanno appartenenze diverse.
Ogni appartenenza necessità il rispetto di certe regole (forme, norme, valori) e la soddisfazione di certi requisiti (obblighi e divieti). In altre parole, ogni apppartenenza è condizionata.
Chi non è affiliato a qualche fan-club (politico, religioso, filosofico, sportivo, estetico ecc.) non esiste socialmente se non come consumatore ed (eventualmente) fornitore di beni o servizi.
Credere in una certa credenza comporta l'appartenenza alla comunità dei credenti in quella credenza e l'indulgenza per ogni comportamento precedente al momento in cui la credenza si è formata.
Ogni comunità ha i suoi riti e rituali di appartenenza, i suoi giochi di status, le sue verità, la sua etica e la sua estetica. Possiamo chiamare tutte queste cose requisiti di partecipazione.
L'aggettivo 'strano' viene da molti usato per qualificare persone, cose o idee che ai loro occhi non appartengono ad alcuna categoria ad essi nota, ovvero appartengono alla categoria delle stranezze.
L'uso di sostanze stupefacenti nelle cerimonie religiose e nei riti di appartenenza ci dimostra come l'uomo sia capace di nobilitare, glorificare e sacralizzare pratiche viziose, nocive e psicopatiche.
Credere è un fatto sociale, dato che il fatto di credere in una certa narrazione conferisce al credente lo status di appartenente alla comunità, o categoria sociale, dei credenti in quella narrazione.
Gli umani hanno bisogno di esprimere appartenenze e non appartenenze, ovvero di mostrare agli altri a quali gruppi e categorie appartengono o non appartengono, e chi/cosa appartiene o non appartiene loro.
A mio parere, la musica unisce e divide, unisce coloro che apprezzano lo stesso genere musicale e divide colori che hanno gusti e interessi musicali diversi. Lo stesso vale per tutte le altre forme d'arte.
Ogni culto costituisce una classe di appartenenza sociale, e, come tale può soddisfare il bisogno di appartenenza presente in ogni essere umano, a prescindere dai contenuti e dalle forme del culto stesso.
Per fare parte di un sistema sociale, cioè di un gruppo di umani cooperanti, occorre condividerne in misura sufficiente il linguaggio, le forme, le norme e i valori (in senso cognitivo, etico ed estetico).
Il piacere di essere alla moda è legato alla paura di non esserlo. Infatti essere alla moda costituisce un bisogno, perché il non esserlo potrebbe essere causa (reale o percepita) di emarginazione sociale.
Ogni umano ha bisogno di appartenere a qualche comunità e a qualche categoria umana. Il problema è a quali categorie e a quali comunità appartenere, considerando i contrasti tra categorie e tra comunità.
Ogni essere umano vorrebbe essere un certo tipo di persona perché inconsciamente crede che essere quel tipo gli permetterà di fare parte di una comunità a lui favorevole, e il non esserlo glielo impedirà.
A cosa (non) appartengo secondo gli altri? A cosa (non) appertengo secondo me? A cosa (non) vorrei appartenere? Cosa (non) possiedo secondo gli altri? Cosa (non) possiedo secondo me? Cosa (non) vorrei possedere?
Per la felicità è meglio appartenere a un piccolo gruppo molto unito che a un grande gruppo poco unito. Ma il piccolo gruppo rischia di essere annientato dal gruppo più grande, invidioso dell'unità dell'altro.
L'acquisto o la consumazione di certi beni e servizi caratteristici di una certa cultura possono costituire riti di appartenenza e identificatori sociali. Per questo essi possono risultare particolarmente attraenti.
Per capire perché le persone fanno ciò che fanno, un'ipotesi molto probabile è che stiano cercando di ottenere, dimostrare o conservare l'appartenenza ad una certa comunità e un certo status nella comunità stessa.
Ogni cosa è certe cose in quanto appartiene a certe classi. L'appartenenza di una cosa ad una certa classe implica che quella cosa abbia certe proprietà, cioè certe relazioni e certe interazioni con certe altre cose.
Prova per qualche minuto, nei tuoi pensieri e in ciò che dici o che scrivi, ogni volta che stai per usare il verbo essere, a sostituirlo con il verbo "appartenere (ad una classe)". Sarà l'inizio di una rivoluzione mentale.
Questa persona di fronte a me, che tipo di relazione/interazione sta cercando? Con quale tipo di persone? In che misura io appartengo a quel tipo di persone? In che misura io sono disponibile a quel tipo di relazione/interazione?
Partecipare ai riti ed eseguire i rituali tipici di una certa comunità serve a confermare e dimostrare la propria appartenenza ad essa e la necessaria obbedienza alle sue norme, implicite nelle sue tradizioni civili e religiose.
I tatuaggi, a mio parere, servono prima di tutto ad attirare l'attenzione sulla persona che li porta. In secondo luogo a conferirle una certa identità sociale, ovvero l'appartenenza ad una certa comunità, categoria, tipo o gruppo.
La precarietà della specie umana sta soprattutto nel fatto che siamo socialmente interdipendenti, ma, a differenza di altri animali sociali, le regole della cooperazione e della convivenza sono volatili, non istintivamente fissate.
Gli animali rapaci di solito non attaccano gruppi di prede ma solo animali isolati. Anche per questo gli esseri umani cercano di muoversi all'interno di gruppi e di presentarsi come membri di gruppi piuttosto che come individui soli.
Uno dei motivi per cui la musica piace ed è coltivata è che essa accomuna le persone che la frequentano. La musica di un certo tipo è simbolo, distintivo e rito di appartenenza ad una certa comunità o ad un certo tipo di umanità.
Fare una cosa di un certo tipo significa anche dimostrare di appartenere alla categoria di persone che fanno quel tipo di cose. A volte questa dimostrazione di appartenenza è più importante e più significativa della cosa che si fa.
Quando sei con qualcuno, tieni presenti le cose che vi uniscono e quelle che vi dividono, e scegli in ogni momento se parlare delle prime o delle seconde.


L'affinità, la familiarità, la fratellanza, l'amicizia tra due persone consistono in comuni appartenenze. L'amore e la simbiosi tra due persone consistono in appartenenze reciproche, ovvero nel fatto che ciascuno appartiene all'altro.
Una comunità è un insieme di persone interagenti che condividono un insieme di idee su ciò che è vero/falso, buono/cattivo, bello/brutto, obbligato/vietato/libero ecc. Tali idee condivise caratterizzano e differenziano le comunità.
Tra le cose che caratterizzano una cultura, ovvero una comunità o gruppo sociale, contano più i divieti che gli obblighi, più le cose che non si fanno che quelle che si fanno, più le cose di cui non si parla che quelle di cui si parla.
Ci sono libri che servono solo a rassicurare il lettore circa la propria dignità sociale, specialmente per quanto riguarda le proprie opinioni, in quanto coerenti con quelle dell'autore e della maggioranza degli altri lettori-sostenitori.
La psicoterapia dovrebbe servire ad analizzare e modificare le apppartenrnze sociali del paziente, sia quelle che egli si attribuisce, sia quelle che egli ritiene che gli altri gli attribuiscano, sia quelle che egli attribuisce agli altri.
Il bisogno di appartenenza non ha solo motivi di sopravvivenza, dato che soli si muore, ma anche motivi che hanno a che vedere con la sicurezza e la tranquillità di interagire con persone non libere, ma limitate dalle regole della comunità.
Quando osserviamo una foto, vediamo un film, leggiamo un articolo, dovremmo cercare di rispondere a queste domande:
- Chi/cosa appartiene a chi/cosa?
- Quali appartenenze sono compatibili, quali incompatibili?
La legge di gravità, per cui un corpo tanto più è grande, tanto più attrae altri corpi, vale anche per i corpi psicologici e sociali, cioè per le masse umane. Infatti l'uomo è attratto dalle masse e desidera farne parte, con rare eccezioni.
Qualunque moda, anche la più stupida, può servire a riempire il nostro vuoto, a farci sentire meno isolati, meno diversi, più normali, a farci sentire parte di una massa umana che ci approva perché facciamo le stesse cose che fanno tanti altri.
L'uomo è disposto a fare qualunque cosa, perfino ad adeguare il suo modo di vedere, di pensare e di sentire ai desideri altrui, pur di essere accettato da qualcuno, perché per l'inconscio la peggiore sventura è quella di non essere accettati da nessuno.
La pubblicità vende, insieme al prodotto che vuole vendere, l'appartenenza all'insieme degli utenti di quel prodotto. Perciò il messaggio pubblicitario si concentra, più che sulle qualità del prodotto in vendita, sulle presunte qualità dei suoi utenti.
Ci ricordiamo facilmente dove abbiamo comprato ciò che possediamo, perché acquisire il possesso di qualcosa è un atto di rilevanza sociale, che cambia, seppur di poco, il nostro status. Perciò ogni acquisizione è accompagnata da un certo grado di piacere.
Gli umani non smettono mai di riprodurre forme e stili, che non hanno alcun senso, se non quello di essere forme e stili tipici di certe culture e sottoculture, e quello di confermare l'appartenenza di chi li riproduce alle culture e sottoculture corrispondenti.
A che serve la conoscenza se non viene usata per ridurre i mali dell'umanità e per soddisfare i bisogni propri e altrui? Se la conoscenza non viene usata in tal senso, serve solo come status symbol o come distintivo di appartenenza ad una certa categoria sociale.
Ogni cultura è piena di narrazioni a cui vengono dati significati spesso totalmente arbitrari, infondati, variabili e volatili, la cui condivisione è tuttavia fattore di coesione sociale, indipendentemente dal loro reale significato o dall'assenza di significato.
Ogni appartenenza ha un prezzo e una scadenza. Un'appartenenza va continuamente rinnovata mediante la partecipazione a rituali collettivi e solitari, particolari abbigliamenti, arredamenti, pratiche, frequentazioni di luoghi, spettacoli e argomenti di conversazione.
Il dramma dell'esistenza umana consiste nell'affrontare continuamente due dilemmi inconciliabili nei rapporti con gli altri e nei rapporti tra la propria coscienza e il proprio inconscio: il dilemma tra appartenenza e libertà, e quello tra collaborazione e competizione.
Le appartenenze sono fondamentali nelle interazioni tra individui in quanto da esse dipendono diritti, doveri, gerarchie, solidarietà, conflitti, comprensioni, incomprensioni, limiti, libertà ecc. Chi stabilisce tali appartenenze? Quali conflitti e discrepanze le riguardano?
Ogni umano presume delle appartenenze, cioè presume a chi/cosa ogni persona o cosa appartenga, e chi/cosa appartenga ad ogni cosa o persona. Questo vale anche per se stesso, cioè ognuno presume di appartenere a certe cose o persone, e che certe cose o persone gli appartengano.
Una religione non può sopravvivere solo sulla base di promesse di premiazioni e punizioni ultraterrene. Deve offrire ai suoi seguaci vantaggi immediati, come l'appartenenza ad una comunità, e uno status intellettuale e morale, oltre che politico, superiore a quello dei non seguaci.
Ogni insieme a cui apparteniamo ci appartiene in una certa misura, in quanto possiamo disporne per trarne dei vantaggi. Se non fosse così, non ci sarebbe alcun vantaggio, alcun interesse, a far parte di qualche insieme, e perciò non ne faremmo parte se non fossimo costretti a farlo.
La bellezza fa sembrare vero ciò che è falso, nobilita ciò che è ignobile, dà un senso a ciò che è insensato, incanta e in tal modo diminuisce la capacità critica. Per questo la bellezza viene normalmente usata per accompagnare ogni rito di appartenenza sociale civile e religioso.
Per ognuno sono importanti non solo le proprie appartenenze ma anche quelle altrui, anzi, è importante il confronto tra tali appartenenze. Inoltre ognuno, se potesse, cercherebbe di cambiare non solo le proprie appartenenze, ma anche quelle altrui.
Nulla "è" qualcosa in sé, ma solo in relazione a qualcos'altro. Infatti ogni predicato riguardante una certa entità implica relazioni con altre entità, anzi, è definito solo da tali relazioni. D'altra parte si potrebbe dire che ogni entità appartiene alle sue relazioni, o che possiede le sue relazioni.
L'autocelebrazione di una comunità deve avere un costo non trascurabile in attività, rituali, simboli, simulacri, gadget ecc., altrimenti non sarebbe una cosa seria, non avrebbe un valore significativo (come tutto ciò che è gratuito), e quindi non funzionerebbe come fattore psicologico di coesione sociale.
Sono drammatici o umoristici i momenti in cui le appartenenze, i poteri o il prestigio di una persona si rafforzano o si indeboliscono. Il cambiamento è percepito come drammatico o umoristico a seconda della posizione dell'osservatore nei confronti del protagonista del cambiamento, e delle tensioni tra di essi.
Di fronte agli altri dobbiamo decidere come presentarci, cioè dobbiamo dichiarare le nostre appartenenze, e il nostro status e il nostro ruolo nell'ambito di ognuna di esse. Così facendo ci esponiamo alla competizione e alle critiche riguardanti tutte le appartenenze, gli status e i ruoli che abbiamo dichiarato.
La musica che scegliamo di ascoltare parla di noi, afferma, conferma e sottolinea i nostri sentimenti, gusti e appartenenze sociali, esalta la nostra personalità, ci fa sentire meno soli, più forti e sicuri, ci scorta, ci fa sentire in armonia con il resto del mondo. È la colonna sonora della tragicommedia della nostra vita.
Ogni messaggio è una richiesta o la risposta ad una richiesta, e ogni richiesta è una richiesta di appartenenza. La richiesta può essere un comando o una supplica. Il messaggio può essere del tipo «ti chiedo di (non) appartenere a Y» oppure del tipo «ti chiedo di accettare che io (o una certa cosa X) (non) appartenga a Y».
L'uomo non può vivere al di fuori di una comunità. Pertanto, se è insoddisfatto della comunità in cui vive, ha queste opzioni: (1) sopportare l'insoddisfazione, (2) emigrare in una comunità più adatta a sé, (3) riformare la comunità in cui vive, (4) formare una nuova comunità, (5) una combinazione delle opzioni precedenti.
Per appartenere ad una certa comunità, una persona deve fare ciò che quella comunità si aspetta da un membro nel ruolo e nella posizione che la persona ha o desidera avere nella comunità stessa. In altre parole, per appartenere ad una comunità è necessario servirla, ovvero esserle utile. Non si può appartenere come parassiti.
Se è vero, come io penso, che l’uomo ha un profondo bisogno di appartenere a cose più grandi, più forti e più durature di se stesso, allora c’è da aspettarsi che egli provi piacere quando tali appartenenze si realizzano (realmente o illusoriamente), e che provi dolore quando tali appartenenze si dissolvono o vengono negate da altri umani.
Il piacere può essere attivato dalla diminuzione di una sofferenza, di una paura o di un'ansia. Per esempio, il conformismo e la sottomissione (in ambito sociale o religioso) sono causati dalla paura dell'isolamento sociale o della punizione divina, e sono causa di piacere quando riescono ad alleviare tali paure e ad infondere sicurezza in tali ambiti.
È l'inconscio che stabilisce per primo cosa sia per noi conveniente o sconveniente, e ce lo dice scatenando le emozioni di attrazione e repulsione sulla base del suo giudizio, che noi subiamo. Per esempio, per l'inconscio è sconveniente qualsiasi comportamento che rischia di isolarci socialmente, di farci escludere dalla comunità, di farci disapprovare.
Ogni opera d'arte o d'ingegno può unire o dividere le persone nel senso che, a seconda dell'atteggiamento che si ha verso di essa, si è uniti a quelli che hanno un atteggiamento simile e divisi rispetto a coloro che hanno un atteggiamento diverso.
Infatti, unisce il comune apprezzamento o disprezzo verso qualsiasi cosa, divide un diverso apprezzamento.
Infatti, unisce il comune apprezzamento o disprezzo verso qualsiasi cosa, divide un diverso apprezzamento.
Lamenti, lamenti che nascondono l'incapacità di unirsi e organizzarsi per cambiare il sistema, lamenti che cadono nel vuoto di una visione del mondo in cui i colpevoli sono sempre i cosiddetti potenti. I quali, i lamenti degli impotenti non li stanno nemmeno a sentire. Alla fine ciò che resta è l'appartenenza ad una impotente comunità di condivisione di lamenti.
Ogni essere umano ha bisogno di celebrare periodicamente rituali di condivisione con altri umani. Non importa ciò che viene condiviso (vanno bene anche cose false o senza senso) purché ci sia condivisione. Si può partire da una persona e cercare cose che possono essere condivise con essa, oppure partire da una cosa e cercare persone con cui essa può essere condivisa.
L'inconscio «ragiona» per insiemi e parti di insiemi, nel senso che per esso nulla esiste se non come parte, o membro, di qualche insieme; e ogni cosa, idea o persona possiede e comporta le qualità, le caratteristiche, le proprietà, le attrazioni, le repulsioni e gli antagonismi degli insiemi (fisici o logici, concreti o astratti, formali o sostanziali) a cui essa appartiene.
In ogni momento, in ogni umano, l'inconscio sceglie un insieme sociale a cui appartenere e il ruolo da assumere in esso. Allo stesso tempo l'inconscio comanda l'esecuzione di qualche rituale che caratterizza quell'insieme sociale e quel ruolo. Infatti ogni umano ha un bisogno innato di appartenenza sociale, che può essere soddisfatto solo attraverso l'esecuzione di certi rituali.
Gli ignoranti, specialmente se dispongono di libertà e di mezzi economici, vincono politicamente sui sapienti perché i primi sono uniti dalle loro comuni ignoranze e falsità, mentre i secondi sono divisi dalle differenze dei loro saperi. Perciò non è sempre positivo il fatto che in una società vi siano tante visioni e cognizioni del mondo e della natura umana non condivise.
Definirei il sacro come tutto ciò che viene considerato un fattore assoluto di coesione sociale. In tal senso il sacro è superiore ad ogni individuo, e non può essere relativizzato, né analizzato, né messo in discussione, né manipolato. Il sacro esige rispetto assoluto e incondizionato, come una divinità da cui dipende la sopravvivenza della comunità e perciò degli stessi individui.
Credere è anche un mezzo per appartenere ad una comunità, soddisfacendo così uno dei più importanti bisogni umani. Infatti, credendo in certe sedicenti verità si appartiene automaticamente alla comunità di coloro che credono nelle stesse verità. Ma non debbono essere verità ovvie, altrimenti sarebbe come appartenere all'umanità in generale, cosa poco utile ai fini della solidarietà.
L'Uomo ha una serie di bisogni antitetici, che gli causano tanti problemi e conflitti. Tra le principali coppie di bisogni antitetici abbiamo il bisogno di appartenenza e quello di libertà, il bisogno di novità o cambiamento quello di conservazione o resistenza al cambiamento. A questi bisogni corrispondono omonime paure: dell'appartenenza, della libertà, del cambiamento e del non cambiamento.
Una festa, oltre che costituire un rito di comune appartenenza ad una certa comunità, è un'occasione programmata che permette ad una grande quantità di persone di incontrarsi tutte insieme, simultaneamente. Da questo tipo di incontro di gruppo possono scaturire nuovi rapporti sociali, nuove amicizie e nuove relazioni amorose, possibilità che rende le feste generalmente gradite e desiderabili.
Nel profondo della psiche, e anche in superficie (ovvero nell'inconscio e nel conscio) vi è la constatazione della nostra totale dipendenza dagli altri, per cui non possiamo comportarci in modi che abbiano come conseguenza la nostra emarginazione sociale. Da questa constatazione di base derivano gran parte dei nostri comportamenti esteriori e interiori consci e inconsci, e i nostri sentimenti morali.
Ogni cosa, persona o informazione appartiene a qualche insieme di cose, persone e/o informazioni caratterizzato da certe proprietà, e costituisce un insieme di cose, persone e/o informazioni. Ogni appartenenza implica certe proprietà e/o certe relazioni o interazioni. Due cose, persone o informazioni che interagiscono e/o sono tra loro in relazione costituiscono un insieme a cui entrambe appartengono.
Il sacrificio (piccolo o grande che sia) è un elemento essenziale della celebrazione del sacro, ovvero della conferma dell'appartenenza ad una comunità umana.
Il sacrificio comporta necessariamente un disagio, una rinuncia, una violenza, una frustrazione, una sofferenza perché serve a dimostrare che l'attaccamento alla comunità è più forte della sofferenza provocata dal sacrificio stesso.
Il sacrificio comporta necessariamente un disagio, una rinuncia, una violenza, una frustrazione, una sofferenza perché serve a dimostrare che l'attaccamento alla comunità è più forte della sofferenza provocata dal sacrificio stesso.
L'artista, lo scrittore, il filosofo, il sacerdote, il politico, il pubblicitario, il giornalista, propongono vecchi e nuovi criteri etici ed estetici di appartenenza, ovvero vecchi e nuovi giudizi sul bello e il brutto, il buono e il cattivo, il piacere e il dovere, il vero e il falso, il possibile e l'impossibile, giudizi sulla base dei quali confermare vecchie comunità ideali o fondarne di nuove.
Appartenere per possedere e possedere per appartenere. Possedere per potere e potere per possedere. Appartenere per potere e potere per appartenere. Appartenenza, possesso e potere sono tre aspetti di una stessa motivazione. Questo è l'uomo, un animale che vuole appartenere, possedere e potere, e che per appartenere, per possedere e per potere è disposto a lavorare, a donare e a sacrificarsi per gli altri.
Che significa il verbo essere? Io credo che sarebbe meglio non usare tale verbo in quanto non significa nulla se non una equazione o uguaglianza perfetta di termini, e al suo posto usare termini più significativi, come "fare", "appartenere" (a cose o categorie) , "possedere" (cose o qualità) ecc. Per esempio, invece di dire X è buono, dire X fa bene (precisando a chi fa bene, in che modo e in quale contesto.
Ogni cosa che facciamo, pensiamo o sentiamo, e che non facciamo, non pensiamo e non sentiamo, ci qualifica, cioè definisce una nostra appartenenza a certe categorie di umani, valutate in un certo modo dagli altri. In altre parole, ogni cosa che facciamo, pensiamo e sentiamo, e che non facciamo, non pensiamo e non sentiamo, ci conferisce un certo valore o disvalore in quanto persone rispetto ad altre persone.
Gran parte dei comportamenti umani si spiegano con il piacere e l'orgoglio di sentirsi normali e la paura di essere considerati anormali.
L'anormalità è il peccato originale da cui tutti cercano di essere assolti.
La divinità più potente nella religione di ogni popolo, è Norma, ovvero la dea della normalità, oggetto di adorazione e sacrifici quotidiani, per lo più inconsapevoli.
L'anormalità è il peccato originale da cui tutti cercano di essere assolti.
La divinità più potente nella religione di ogni popolo, è Norma, ovvero la dea della normalità, oggetto di adorazione e sacrifici quotidiani, per lo più inconsapevoli.
Ciò che rende Facebook così attraente, interessante e utile è che permette facilmente di mantenersi informati sui pensieri e i sentimenti altrui, cosa indispensabile per prendere posizione nelle questioni morali, intellettuali e politiche, per affermare la propria appartenenza a certi gruppi e per adattarsi allo spirito delle comunità di elezione. In sintesi: per soddisfare il proprio bisogno di appartenenza.
Ogni essere umano ha un profondo bisogno di appartenere, ovvero di partecipare attivamente, ad almeno una comunità a lui congeniale, non importa quanto grande. Per “partecipare attivamente” intendo essere coinvolti in interazioni cooperative frequenti con altri membri della stessa comunità, secondo le regole, i rituali, i principi e i valori morali e intellettuali della comunità stessa.
Una comunità a cui cerco di appartenere è quella dei saggi. Si tratta di una comunità senza segni esteriori, senza rituali e senza distinzioni. I suoi membri sono accomunati solo dal desiderio di conoscere la natura umana criticamente, cioè mettendo in discussione tutti i saperi tradizionali che la riguardano. In questa comunità lo status di ciascun membro è determinato soltanto dalla misura delle sue conoscenze in tal senso.
Avere le stesse idee, cognizioni, immaginazioni, gusti, vizi, debolezze, incapacità, paure, fantasie, sogni, illusioni, falsità, errori ecc. ci fa sentire uniti agli altri, normali, sani di mente, degni di essere amati, umani.
Viceversa, avere idee e sentimenti diversi dagli altri ci fa sentire soli, indegni di essere amati, disumani.
Così funziona il super-io, quando non riusciamo a contrastarlo.
Viceversa, avere idee e sentimenti diversi dagli altri ci fa sentire soli, indegni di essere amati, disumani.
Così funziona il super-io, quando non riusciamo a contrastarlo.
Abbiamo bisogno di sentirci uniti da una reciproca approvazione e benevolenza. Scambiarsi gli auguri di buone feste ci illude in tal senso, ma l'illusione dura poche ore e poi ci sentiamo di nuovo disuniti. Per farci sentire davvero uniti, è necessario qualcosa di più sostanziale e concreto, e precisamente la condivisione di certi valori intellettuali, morali ed estetici, cosa impossibile senza l'appartenenza ad una stessa comunità filosofica.
Gli insiemi sociali (gruppi o categorie) sono costrutti mentali, e in quanto tali soggettivi. Essi sono tra loro in relazioni gerarchiche, le quali, per una sorta di proprietà transitiva, vengono assunte da ognuno dei loro appartenenti.
Per esempio, se nella mente di A l'insieme sociale A è superiore all'insieme sociale B, nella mente di A ogni appartenente all'insieme sociale A è superiore rispetto ad ogni appartenente all'insieme sociale B.
Disegno liberamente ispirato dalla teoria "Struttural-dialettica" di Luigi Anepeta.
Le tradizioni sono esercizi e gare di imitazione. L'imitazione (cioè la riproduzione) di forme sociali è un valore "dimostrativo". Infatti, chi meglio imita le forme sociali della comunità di appartenenza dimostra una maggiore integrazione sociale e quindi una maggiore forza e resilienza. Anche le mode, in quanto forme sociali, costituiscono un terreno di competizione nella gara a chi è più "sociale", ovvero più conforme alle caratteristiche della comunità.
Rispondere alla domanda "chi sono" equivale a rispondere alle domande seguenti:
- A chi/cosa appartengo?
- Chi/cosa mi appartiene?
- A chi/cosa non appartengo?
- Chi/cosa non mi appartiene?
- Cosa ho fatto?
- Cosa non ho fatto?
- Cosa ho subìto?
- Cosa non ho subìto?
- Cosa intendo fare?
- Cosa non intendo fare?
- Cosa intendo subire?
- Cosa non intendo subire?
Un rito consiste in una cerimonia di imitazione, di ripetizione di gesti prestabiliti da parte di un gruppo in cui ognuno recita la parte a lui assegnata. Si tratta di una imitazione collettiva in cui al tempo stesso vengono imitati (cioè riprodotti) gesti del passato e del presente, e gli imitatori vengono a loro volta imitati come in un gioco di specchi che si riflettono all'infinito. Un gioco in cui vince chi fa la migliore imitazione, la più autentica, la più fedele.
Ogni cosa che facciamo o ipotizziamo di fare è oggetto non solo di autocensura inconscia, ma è anche usata come criterio di appartenenza e identità sociale. In altre parole, i nostri gesti, le nostre scelte, ci qualificano, ci caratterizzano, ci conferiscono una identità, esprimono nostre appartenenze. Comprare un certo oggetto, usarlo, servirsi di qualcosa, assistere ad un certo evento, abbigliarsi in un certo modo, costituiscono anche affermazioni di identità sociali.
Noi umani abbiamo bisogno di appartenere a cose più grandi e più durature di noi, e di avere conferme di tali appartenenze. Infatti la percezione di non appartenere ad un insieme di ordine superiore (di tipo sociale e/o religioso) è per molti causa di ansia, panico o depressione. D'altra parte il senso di appartenenza che una persona prova può essere più o meno veritiero o illusorio in quanto basato su espressioni e rituali più o meno sinceri e più o meno consistenti.
Ogni comunità è basata sulla condivisione di forme, norme e valori, tra cui una comune definizione dei nemici della comunità stessa. Quanto più basso è il livello di istruzione di una comunità, tanto più semplici sono i criteri con cui vengono definiti i suoi nemici. Uno dei più diffusi è il principio cristiano del "chi non è con me è contro di me", per cui è sufficiente non conformarsi agli usi della comunità per essere automaticamente classificati come suoi nemici.
Alla nascita, ogni essere umano viene assegnato ad un certo gruppo sociale che formerà la sua mente e da cui cercherà di essere accettato e stimato il più possibile, conformandosi alle sue regole. Eccezionalmente egli tradirà quel gruppo associandosi con un altro per lui più conveniente o adatto, da cui si farà riformare la mente, e a cui cercherà di adattarsi. Ancora più raramente si renderà mentalmente ed emotivamente indipendente da qualsiasi gruppo e riuscirà a vederli tutti criticamente.
Il bisogno di comunità (ovvero di condivisione) dà luogo a diversi desideri, come quelli di stare in compagnia di persone simili a sé, indurre gli altri a diventare come se stessi, e diventare come gli altri. In altre parole, il bisogno di comunità è causa del desiderio di imitare gli altri e/o di essere imitati dagli altri nella visione del mondo, nei comportamenti, nei modi di pensare (e di non pensare), nei sentimenti, nelle motivazioni, nelle capacità (e incapacità) e negli aspetti esteriori.
I rituali (cioè le ripetizioni di gesti e di comportamenti canonici tipici di certe classi o di certe comunità) servono soprattutto, o esclusivamente, a confermare (consciamente o inconsciamente) l'appartenenza di chi li pratica alle classi o alle comunità ad essi associate. In tal senso essi riducono l'ansia da non appartenenza o da dubbio di appartenenza, ovvero da carenza di identità sociale, e tale riduzione di ansia può essere fonte di piacere. Questo spiega il successo e la persistenza dei rituali.
Guardando i libri esposti in una grande libreria, penso che ognuno di essi comporti una promessa di felicità, di piacere, o di qualche vantaggio.
Infatti ogni libro sembra dire: leggimi, e starai meglio, ti divertirai, o risolverai dei problemi. Sarai più rispettato dagli altri, sarai più competitivo, imparerai cose utili, saprai come ottenere dagli altri ciò che desideri, apparterrai a una certa comunità, a un certo gruppo, a una certa categoria sociale, leggendomi acquisterai una certa identità sociale, ecc.
Noi umani abbiamo bisogno di aggregarci in qualche modo. Qualsiasi pretesto, ideale, religione, filosofia, credenza, usanza, tradizione, moda, lotta, progetto, obiettivo comune può andar bene, purché permetta un'aggregazione, che è il vero fine, ed è più importante dello scopo apparente dell'aggregazione stessa. Ovviamente in essa si possono assumere ruoli diversi, come quello di pastore, legislatore, guardiano, guerriero, finanziatore, chierichetto, portabandiera, inserviente ecc., a seconda della personalità di ognuno.
Userò il termine aggregazione sociale, o semplicemente aggregazione, per indicare un insieme sociale coeso, stabile, e internamente interattivo, solidale, costituito formalmente o informalmente.
Se è vero che l’appartenenza ad un’aggregazione è indispensabile per la sopravvivenza di un essere umano, allora per esso tutto ciò che favorisce tale appartenenza è prezioso.
Ogni aggregazione ha le sue forme ricorrenti (pattern) e i suoi simboli o segni distintivi, mediante i quali gli appartenenti ad essa si riconoscono.
L'uso di un pronome possessivo indica sempre un'appartenenza. Ad esempio, dire "la mia famiglia" equivale a dire "la famiglia che mi appartiene" oppure "la famiglia a cui appartengo".
In altre parole, usare un pronome possessivo implica il riconoscimento del fatto che qualcuno o qualcosa appartiene a qualcosa o a qualcuno, e che tali appartenenze significano qualcosa, o implicano qualcosa, vale a dire che implicano certe relazioni, certe proprietà, certi impegni, certe responsabilità, certi privilegi, certo doveri, certi diritti ecc.
Penso, dunque sono. Ciò che sono dipende da ciò che penso e da come lo penso.
Faccio, dunque sono. Ciò che sono dipende da ciò che faccio e da come lo faccio.
Sento, dunque sono. Ciò che sono dipende da ciò che sento e da come lo sento.
Appartengo, dunque sono. Ciò che sono dipende da ciò a cui appartengo e da come vi appartengo.
Possiedo, dunque sono. Ciò che sono dipende da ciò che possiedo e da come lo possiedo.
Pensare, fare, sentire, appartenere, possedere sono processi interdipendenti e costituiscono l'essere.
Per certe persone, partecipare ad un viaggio organizzato soddisfa il bisogno di far parte di qualcosa, di giocare ad un gioco socialmente approvato, vivere un'esperienza insieme ad altre persone, comprare qualcosa da raccontare, confermare la propria appartenenza ad una categoria dignitosa, distrarsi dai problemi che non si ha il coraggio o la capacità di affrontare e soprattutto evitare la solitudine. La solitudine è censurata. Le persone sole sono imprevedibili e misteriose, e perciò sospettate di invidia e cattive intenzioni verso coloro che soli non sono.
Suppongo che il cervello umano sia predisposto geneticamente a credere in qualche divinità e ad aggregarsi in nome di qualche sacralità. Forse questa disposizione ha costituito un vantaggio evolutivo. Ma non è detto che oggi, con lo sviluppo della cultura che c'è stato, tale tendenza sia ancora vantaggiosa per la specie. Potrebbe essere la sua rovina. Sicuramente è una tendenza vantaggiosa per coloro che la sfruttano. Come il sobrio può avere la meglio sull'ubriaco, così chi è libero da credenze può avere la meglio sui credenti, in quanto individui meno liberi.
Ogni umano "normale" ha bisogno di appartenere (o di credere di appartenere) ad una comunità (reale o ideale) di persone che condividono certe idee e certi rituali (non importa se le idee siano vere o false, realistiche o illusorie).
Le relazioni e le interazioni umane sono infatti regolate da idee e rituali comuni, forme di riferimento senza le quali i quali i rapporti umani sarebbero caotici e violenti.
Dal bisogno di appartenere scaturisce il piacere indotto dalla conferma dell'appartenenza, l'ansia e la paura dell'isolamento sociale, e il dolore dell'esclusione.
L’identità sociale di un essere umano è definita dalla sue appartenenze passive e attive, ovvero dai gruppi e dalla categorie a cui esso appartiene, e dalle cose e dalle persone che ad esso appartengono.
Una volta stabilite le proprie appartenenze, un essere umano le confronta con quelle altrui, in quanto si chiede, rispetto ad ogni altro umano: quali appartenenze abbiamo in comune e quali non in comune? Quali nostre appartenenze sono compatibili e quali incompatibili o conflittuali?
Infatti un rapporto sociale dipende dalla condivisione di certe appartenenze dei contraenti.
L'esistenza di una comunità e l'appartenenza ad essa si manifestano attraverso la celebrazione dei riti che la caratterizzano. L'albero di Natale è uno di essi. Lo si fa per dimostrare (inconsciamente) a se stessi e agli altri di appartenere ad una comunità che a Natale fa l'albero di Natale. È un rito di appartenenza che rassicura chi lo fa e chi lo guarda, perché una persona che non appartiene a nessuna comunità (ed è quindi moralmente libera) fa paura a tutti, anche alla persona stessa.
Siamo tutti terrorizzati o depressi all'idea di non appartenere a nessuna comunità.
Siamo tutti terrorizzati o depressi all'idea di non appartenere a nessuna comunità.
Il comportamento di un essere umano ricalca, ovvero imita, certi modelli che costituiscono i ruoli caratteristici di certi tipi di comunità. In altre parole, ogni individuo vive come il personaggio di un dramma di cui interpreta il copione, ovvero come il giocatore di un gioco di società, gioco di cui conosce e rispetta le regole.
Infatti non siamo liberi di essere né di fare ciò che vogliamo, ma il nostro comportamento deve conformarsi a certi modelli condivisi (ovvero "in comune") con altri membri della comunità a cui desideriamo o abbiamo bisogno di appartenere.
Infatti non siamo liberi di essere né di fare ciò che vogliamo, ma il nostro comportamento deve conformarsi a certi modelli condivisi (ovvero "in comune") con altri membri della comunità a cui desideriamo o abbiamo bisogno di appartenere.
Ogni umano ha bisogno di essere accettato come membro di una comunità per lui congeniale, in un ruolo e un livello gerarchico corrispondenti alla propria autostima.
Quando la stima ottenuta da una persona è inferiore alla propria autostima, si genera un'ostilità tra colui che si sente sottostimato e il sottostimatore, ostilità che comporta una crescente svalutazione reciproca.
Se la discordanza di valutazioni non viene risolta, eventualmente con l'intervento di altre persone, colui che si sente sottostimato può essere indotto ad abbandonare la comunità da cui desiderava essere accettato.
Chi è (o sente di essere) parte di un insieme tende a credere (consciamente o inconsciamente) di essere l'insieme stesso. Infatti l'inconscio, a mio avviso, non riesce a distinguere un insieme dalle singole parti che lo compongono, cioè non riesce a dividere un insieme in parti autonome. Tale divisione è possibile solo alla ragione cosciente. È così che a volte qualcuno crede in cuore suo di essere il mondo intero, o Dio stesso, e gode la libido della fusione mistica con il tutto.
La società è un ecosistema dove ogni essere umano vorrebbe avere un posto adatto al proprio temperamento, al proprio carattere, ai propri limiti e alle proprie capacità, per poter soddisfare i propri bisogni senza troppe difficoltà.
Questo desiderio può essere soddisfatto solo se gli altri ce lo permettono e se noi lo permettiamo agli altri, perché la società non è un ente esterno, ma è costituita da ognuno di noi.
In ogni caso, penso che essere accettati dagli altri costituisca un bisogno primario da cui dipende la soddisfazione di tutti gli altri bisogni.
Questo desiderio può essere soddisfatto solo se gli altri ce lo permettono e se noi lo permettiamo agli altri, perché la società non è un ente esterno, ma è costituita da ognuno di noi.
In ogni caso, penso che essere accettati dagli altri costituisca un bisogno primario da cui dipende la soddisfazione di tutti gli altri bisogni.
Le manifestazioni pubbliche dei negazionisti del Covid in tutto il mondo, anche nei paesi più sviluppati e democratici, sono una evidente dimostrazione del fatto che gli idioti non sono rari e isolati, ma si aggregano in macroscopiche comunità di loro simili, comunità che rafforzano e rendono irrimediabile la propria idiozia.
Nei dialoghi e nelle conversazioni, la società, con le sue forme, i suoi linguaggi e le sue regole, è sempre presente come riferimento e come contesto che dà significato e valore a tutto ciò che viene detto.
D'altra parte, ciò che viene detto serve anche a dimostrare e a confermare l'appartenenza e la conformità dei parlanti alla società in certi ranghi e in certi ruoli.
In altre parole, noi parliamo non solo per raccontare fatti reali o presunti che ci riguardano in quanto membri di una società, ma, al tempo stesso, per confermare la nostra identità e la nostra dignità sociale.
D'altra parte, ciò che viene detto serve anche a dimostrare e a confermare l'appartenenza e la conformità dei parlanti alla società in certi ranghi e in certi ruoli.
In altre parole, noi parliamo non solo per raccontare fatti reali o presunti che ci riguardano in quanto membri di una società, ma, al tempo stesso, per confermare la nostra identità e la nostra dignità sociale.
Di ogni cosa o persona dovremmo chiederci non cosa sia, ma a quali insiemi (sia fisici che logici) essa appartenga, e quali cose le appartengano o siano in essa contenute. Infatti il verbo essere non significa nulla, mentre il verbo appartenere implica tante serie di significati quanti sono gli insiemi di appartenenza e le cose appartenute.
Tra l'altro, ogni appartenenza implica certi ruoli, certe funzioni, certe interazioni e certe posizioni gerarchiche in termini di poteri.
Ogni volta che sia possibile dovremmo pertanto sostituire il verbo essere con il verbo appartenere, sia in ciò che diciamo, sia in ciò che pensiamo.
Quando siamo davanti ad un altro essere umano siamo incapaci di ragionare freddamente. E' come se vedessimo un essere sacro e incantatore. Siamo presi dall'illusione di essere simili nei sentimenti e nelle conoscenze, di ragionare nello stesso modo, di appartenere allo stesso organismo (l'umanità), e ci sentiamo obbligati a comportarci "come si deve" (ovvero non come decidiamo noi) da una forza profonda, sacra, involontaria.
Siamo così irretiti che non ci rendiamo conto che siamo tutti diversi e che ognuno di noi ha criteri di interazione diversi da quelli altrui, per cui non riusciamo a comunicare e interagire in modo mutuamente soddisfacente.
Siamo così irretiti che non ci rendiamo conto che siamo tutti diversi e che ognuno di noi ha criteri di interazione diversi da quelli altrui, per cui non riusciamo a comunicare e interagire in modo mutuamente soddisfacente.
A mio parere, una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dagli altri animali è la capacità di provare sensi di colpa, i quali possono essere più o meno giustificati e più o meno consci o inconsci.
I sensi di colpa possono essere suddivisi in due categorie: quelli verso Dio e quelli verso gli altri (ovvero verso la comunità di appartenenza o persone particolari). I primi sono dovuti soprattutto a insegnamenti cristiani; i secondi, quando non sono giustificati, sono dovuti soprattutto a insegnamenti di genitori conformisti e/o moralisti.
Quando i sensi di colpa sono inconsci, è impossibile capire in quale misura essi siano giustificati.
I sensi di colpa possono essere suddivisi in due categorie: quelli verso Dio e quelli verso gli altri (ovvero verso la comunità di appartenenza o persone particolari). I primi sono dovuti soprattutto a insegnamenti cristiani; i secondi, quando non sono giustificati, sono dovuti soprattutto a insegnamenti di genitori conformisti e/o moralisti.
Quando i sensi di colpa sono inconsci, è impossibile capire in quale misura essi siano giustificati.
Tra due entità (cose, idee o persone) A e B sono possibili solo due tipi di relazione: di trasferimento e di appartenenza.
Le relazioni di trasferimento consistono nel trasferimento di certe entità terze da A verso B e/o da B verso A. Le entità trasferite possono essere fisiche o logiche (cioè, materiali o immateriali), come ad esempio oggetti, sostanze, titoli finanziari, servizi, informazioni ecc.
Le relazioni di appartenenza possono essere di due sotto-tipi: appartenenza complementare (in cui A appartiene a B o B appartiene ad A) e appartenenza comune (in cui sia A che B appartengono ad una terza entità C, oppure A e B possiedono in comune (cioè condividono) l’entità C.
A mio parere, per essere felici è necessaria, oltre la soddisfazione dei bisogni fisici, l'interazione con un certo numero di persone a noi congeniali. Per questo è necessario "avere" certe risorse materiali, economiche, fisiche, intellettuali ed emotive. A tal fine occorre appartenere a certe comunità, cioè "essere" certe persone, requisito che, a sua volta, implica certe interazioni.
"Interagire" è dunque l'obiettivo finale (ma, anche quello iniziale) di una vita felice. "Avere" ed "essere" sono infatti obiettivi intermedi, cioè mezzi e strumenti, per raggiungere il vero fine, che è, appunto, l'interazione sociale.
Auguriamoci dunque "buone interazioni!".
"Interagire" è dunque l'obiettivo finale (ma, anche quello iniziale) di una vita felice. "Avere" ed "essere" sono infatti obiettivi intermedi, cioè mezzi e strumenti, per raggiungere il vero fine, che è, appunto, l'interazione sociale.
Auguriamoci dunque "buone interazioni!".
Quando stiamo per comportarci (o ci stiamo comportando) in un certo modo, un processo mentale inconscio determina se quel comportamento (1) influirà positivamente o negativamente sull’accettazione della nostra persona da parte della comunità a cui apparteniamo, e (2) se confermerà la nostra appartenenza a tale comunità o costituirà un tentativo di migrazione ad una comunità diversa, e quindi un tradimento della comunità a cui apparteniamo attualmente.
Tale processo produrrà un’emozione di sconforto o di conforto, di paura o di incoraggiamento, di attrazione o repulsione, di gioia o di sofferenza, a seconda dei risultati della valutazione di quel comportamento secondo i criteri sopra descritti.
Uno dei motivi per cui ci lasciamo facilmente ingannare dagli altri è il nostro istinto di imitazione, che copre non solo le forme esteriori, ma anche i discorsi e i ragionamenti. Perciò, per difenderci dagli inganni dovremmo tenere a freno il nostro istinto di imitazione.
Un altro motivo per cui ci lasciamo facilmente ingannare dagli altri è il nostro bisogno di appartenenza, che comporta la paura di essere emarginati nel caso in cui non crediamo a ciò che dicono gli altri membri della nostra comunità. Perciò, per difenderci dagli inganni dovremmo tenere a freno il nostro bisogno di appartenenza.
Fin da quando ero bambino, ho sempre avuto una sensazione di precarietà sociale, ovvero l'idea che, se gli altri sapessero cosa penso di loro e che sentimenti provo nei loro confronti, mi escluderebbero dalla loro cerchia.
Questa idea mi ha mantenuto in uno stato di allerta, e mi ha indotto ad offrire agli altri un'immagine accettabile (e a tale scopo mistificata) di me, dei miei sentimenti, delle mie idee, delle mie motivazioni, della mia storia e del mio comportamento abituale.
Questa mistificazione è stata, e continua ad essere, a sua volta, un'ulteriore fonte di apprensione per il rischio che venga scoperta.
Di conseguenza, tendo prudentemente a nascondere la parte più autentica di me.
Questa idea mi ha mantenuto in uno stato di allerta, e mi ha indotto ad offrire agli altri un'immagine accettabile (e a tale scopo mistificata) di me, dei miei sentimenti, delle mie idee, delle mie motivazioni, della mia storia e del mio comportamento abituale.
Questa mistificazione è stata, e continua ad essere, a sua volta, un'ulteriore fonte di apprensione per il rischio che venga scoperta.
Di conseguenza, tendo prudentemente a nascondere la parte più autentica di me.
Per soddisfare i propri bisogni bisogna appartenere a uno o più gruppi e categorie e giocare ai giochi da essi previsti.
Ogni gruppo stabilisce le categorie a cui si può appartenere e, per ciascuna categoria, i crediti e i debiti di appartenenza e i giochi attraverso i quali i bisogni possono essere soddisfatti.
Per appartenere ad un gruppo e/o categoria occorre avere un certo numero positivo di crediti di appartenenza.
Ogni gioco stabilisce i ruoli dei giocatori e cosa si deve fare, non si deve fare e si può fare durante il gioco.
Qualunque interazione al di fuori di un gioco previsto dalle proprie appartenenze e convenuto (implicitamente o negoziato) costituisce una violenza e un debito di appartenenza.
Ogni gruppo stabilisce le categorie a cui si può appartenere e, per ciascuna categoria, i crediti e i debiti di appartenenza e i giochi attraverso i quali i bisogni possono essere soddisfatti.
Per appartenere ad un gruppo e/o categoria occorre avere un certo numero positivo di crediti di appartenenza.
Ogni gioco stabilisce i ruoli dei giocatori e cosa si deve fare, non si deve fare e si può fare durante il gioco.
Qualunque interazione al di fuori di un gioco previsto dalle proprie appartenenze e convenuto (implicitamente o negoziato) costituisce una violenza e un debito di appartenenza.
Se milioni di persone fanno le stesse cose allo stesso tempo, non è per caso e nemmeno per libera scelta, ma per l'effetto di forze consce o inconsce che spingono la maggior parte delle persone a imitare il comportamento più comune praticato nella propria comunità di appartenenza e a conformarsi ad esso. Se si chiede ad una persona perché fa quello che fanno tanti altri, essa con molta probabilità risponderà che lo fa perché lo ritiene cosa buona, ovvero perché le piace farlo, come se fosse una sua libera scelta. In realtà si tratta di un condizionamento reciproco dettato dal bisogno di appartenenza, che produce al tempo stesso il piacere di appartenere e la paura di non appartenere ad una comunità caratterizzata dal comportarsi in un certo modo, più o meno rituale.
Per ogni persona che si incontra sarebbe opportuno chiedersi: cosa ci unisce? Cosa ci divide? Cosa ci assimila? Cosa ci differenzia? Rispondere a queste domande è difficile e complesso. Tra le cose che uniscono o dividono, assimilano o differenziano due umani ci possono essere appartenenze, gusti, disgusti, principi morali e filosofici, esperienze, linguaggi, culture, conoscenze, credenze, affinità e diversità di temperamento e di carattere, grado di intelligenza e di sensibilità, idee e alleanze politiche, colpe, meriti, divergenze di vedute su meriti e demeriti altrui, valori e disvalori, criteri di giustizia, preferenze, tradizioni, amici, nemici, parentele, interessi, obiettivi, progetti, passioni, desideri, ruoli, responsabilità, problemi, fortune, sfortune ecc.
Ciò che gli esseri umani più spesso si scambiano sono gesti, ovvero parole e cortesie, come auguri di buon qualcosa, sorrisi, inchini, precedenze, offerte di piccole cose da bere o mangiare, complimenti, cenni di assenso, strette di mano, pacche sulle spalle, abbracci ecc.
Questi gesti non sono casuali, né creativi, ma rituali e corrispondono a forme tipiche della comunità a cui gli interessati appartengono. Il loro unico scopo è un reciproco riconoscimento di appartenenza all'umanità e a una certa comunità, riconoscimento di cui l'uomo ha un forte e profondo bisogno e in mancanza del quale prova un angoscioso senso di isolamento.
Al di fuori di tale scopo e significato, tali gesti sono normalmente vuoti, inutili, improduttivi, insensati, ripetitivi.
Questi gesti non sono casuali, né creativi, ma rituali e corrispondono a forme tipiche della comunità a cui gli interessati appartengono. Il loro unico scopo è un reciproco riconoscimento di appartenenza all'umanità e a una certa comunità, riconoscimento di cui l'uomo ha un forte e profondo bisogno e in mancanza del quale prova un angoscioso senso di isolamento.
Al di fuori di tale scopo e significato, tali gesti sono normalmente vuoti, inutili, improduttivi, insensati, ripetitivi.
Nella società umana, competizione e cooperazione sono intimamente connesse nel senso che l'una è funzionale all'altra. Infatti si compete per cooperare e si coopera per competere.
Vincere insieme è l'obiettivo fondamentale, più o meno consapevole o inconsapevole, per molti inconfessabile, del comportamento sociale. Infatti, in questa competizione di tutti contro tutti, sia essa viziosa o virtuosa, ognuno cerca gli alleati più competitivi che può permettersi data la propria competitività.
Inoltre, ognuno, assistendo alla competizione tra terzi, prende posizione, come fanno i tifosi sportivi, per la parte che reputa più competitiva, o più affine alla propria condizione e/o identità di classe sociale.
Appartenere ad un insieme implica avere un certo ruolo nell’insieme stesso. Intendo dire che si può appartenere ad un insieme in vari modi, cioè assumendo vari ruoli.
Di conseguenza, il bisogno o il desiderio di appartenere ad un certo insieme (come, ad esempio, un gruppo, un’organizzazione, una comunità) è condizionato dal ruolo che si vorrebbe avere in quell’insieme. In altre parole, certi ruoli sono considerati accettabili, altri inaccettabili, da chi aspira ad una certa appartenenza. D’altra parte ogni ruolo implica una certa posizione gerarchica.
Conviene dunque chiederci non solo a quali insiemi una persona desidera appartenere o pensa di appartenere, ma anche in quali ruoli e in quali possibili posizioni gerarchiche.
Due persone possono essere in conflitto come conseguenza di un presunto conflitto tra gli insiemi sociali a cui esse presumono di appartenere.
Per esempio, prendiamo due persone, A e B. A presume di appartenere alla categoria degli "operai", e presume che B appartenga alla categoria dei "padroni". B presume di appartenere alla categoria dei "padroni", e presume che A appartenga alla categoria degli "operai".
A e B presumono che le categorie "padroni" e "operai" siano in guerra tra di loro per la supremazia. Di conseguenza A e B si comportano reciprocamente come nemici e si combattono per la supremazia in quanto rappresentanti degli insiemi sociali ai quali presumono di appartenere.
Per concludere, i conflitti sono spesso causati da presupposizioni. Diceva infatti Gregory Bateson: "La scienza, come l'arte, la religione, il commercio, la guerra e perfino il sonno, è basata su presupposizioni."
Un grande negozio di libri e giornali, come quelli si trovano negli aeroporti, è lo specchio della cultura di una società e un osservatorio di sociologia. Vi sono esposti, in un apposito reparto, i libri più venduti, così che siano acquistati ancor più facilmente da coloro che si sentono a loro agio seguendo i leader di successo piuttosto che quelli ancora sconosciuti, che, del resto, non saprebbero riconoscere.
Vi sono poi i reparti dedicati ai generi standard più diversi, in modo che ognuno possa trovare quello che meglio lo rappresenta e lo valorizza.
Acquistare un libro o giornale di un certo genere, prima che a informare, serve a confermare la propria appartenenza ad un certo gruppo o categoria di persone. Secondariamente, serve ad informarsi su ciò che è in voga in quel gruppo o categoria, in modo da essere sempre al corrente e potersi conformare ai relativi criteri.
Vi sono poi i reparti dedicati ai generi standard più diversi, in modo che ognuno possa trovare quello che meglio lo rappresenta e lo valorizza.
Acquistare un libro o giornale di un certo genere, prima che a informare, serve a confermare la propria appartenenza ad un certo gruppo o categoria di persone. Secondariamente, serve ad informarsi su ciò che è in voga in quel gruppo o categoria, in modo da essere sempre al corrente e potersi conformare ai relativi criteri.
Ogni umano è impegnato (consciamente o inconsciamente) nel gioco sociale. Lo è in ogni momento e in ogni luogo. La posta in gioco è l'appartenenza e l'interazione sociale migliore possibile, ovvero i partner migliori possibile, e i ruoli migliori possibile, che l'individuo si può permettere date le proprie risorse e i propri limiti.
È un gioco competitivo, perché non tutti possono avere uno stesso partner, e i partner possibili non hanno tutti le stesse qualità e le stesse risorse.
Il gioco sociale include vari giochi, tra cui il gioco dello status (the status game), e i giochi culturali, per cui, all'interno di ogni comunità o categoria sociale, vengono condivise le forme culturali (estetiche, etiche, economiche, politiche ecc.) tipiche di quella comunità o categoria.
Il gioco sociale non è opzionale, ma è indispensabile per la sopravvivenza e per la salute mentale di ogni essere umano.
L'uomo ha continuamente, geneticamente, bisogno di confermare la sua appartenenza ad una comunità, a causa dell'interdipendenza della nostra specie.
Affinché la conferma di appartenenza si concretizzi, è necessario che l'individuo imiti o riproduca ripetutamente di fronte agli altri le forme caratteristiche della comunità stessa, cioè quelle che permettono di riconoscerla e la distinguono dalle altre.
Per tale motivo l'uomo tende a fare le stesse cose che fanno gli altri membri della comunità a cui sente di appartenere, (modulate secondo ruoli predefiniti) indipendentemente dalla utilità pratica e razionalità dei gesti sociali imitati e riprodotti.
L'appartenenza ad una comunità è infatti, per l'inconscio, una cosa "sacra", e il sacro non si discute né si analizza razionalmente, altrimenti lo si dissacra. Al sacro si obbedisce ciecamente, nel sacro di ha fede, il sacro si può e si deve solo amare e temere.
Praticare con altre persone un rito o un rituale sociale grande (come ad esempio una messa o un evento sportivo) o piccolo (come ad esempio un semplice scambio di saluti o di auguri) è importante per un essere umano, perché conferma (consciamente o inconsciamente) la propria appartenenza ad una certa comunità, cioè ad una comunità caratterizzata dal fatto che in essa si praticano riti e rituali di un certo genere.
Praticare un rituale è dunque un modo per soddisfare (in modo reale, fittizio o illusorio) il bisogno di appartenenza e di integrazione sociale, uno dei bisogni più forti e profondi per un essere umano.
Pertanto si può affermare che l'uomo ha bisogno di rituali, senza i quali la sua appartenenza sociale sarebbe sempre incerta, e tale incertezza causa di ansia.
Pertanto suppongo che il piacere associato alla pratica di un rituale sia dovuto ad una diminuzione dell'ansia da dubbio di appartenenza sociale.
La quantità di denaro che si è posseduto, che si possiede e che si cerca e spera di possedere sono tra i principali costituenti dell'identità, del ruolo e dell'appartenenza sociale di un individuo. Si può dire infatti che la società sia regolata dal possesso di denaro. Il denaro conferisce potere e rispettabilità, e questi a loro volta facilitano l'ottenimento di denaro in un circolo virtuoso, così come la scarsità di denaro dà luogo a scarsità di potere e di rispettabilità in un circolo vizioso.
Spesso l'attaccamento al denaro è oggetto di censura morale e per questo viene relegata nell'inconscio, dove agisce in modo insidioso e dissimulato, sotto copertura. Siamo tutti schiavi del denaro, sia chi lo possiede che chi non lo possiede, poiché dal suo possesso o privazione dipendono la nostra identità e appartenenza sociale ovvero gli elementi fondanti della nostra psiche. Ognuno è (anche) il denaro che possiede.
Spesso l'attaccamento al denaro è oggetto di censura morale e per questo viene relegata nell'inconscio, dove agisce in modo insidioso e dissimulato, sotto copertura. Siamo tutti schiavi del denaro, sia chi lo possiede che chi non lo possiede, poiché dal suo possesso o privazione dipendono la nostra identità e appartenenza sociale ovvero gli elementi fondanti della nostra psiche. Ognuno è (anche) il denaro che possiede.
Ognuno di noi ha in testa un particolare "clan" (cioè una comunità interiore di appartenenza) ovvero una struttura sociale o comunità ideale che condiziona il nostro comportamento come una gabbia mentale, con i suoi obblighi e i suoi tabù, e l'imperativo categorico di non essere mai indegni del clan stesso.
Questo clan interiore si forma quando siamo bambini, attraverso l'educazione che riceviamo e le esperienze sociali che viviamo. Esso contiene forme, norme, linguaggi, valori, obblighi, divieti, margini di libertà, ruoli, ranghi, e strutture sociali che ci consentono di interagire con gli altri in modo "regolato" ovvero non completamente libero, al fine della conservazione del clan stesso e della cooperazione tra i suoi membri.
Il Super-io freudiano è l'agente inconscio del clan, che provvede a punire (tramite ansia, angoscia, panico ecc.) qualunque comportamento suscettibile di causare l'emarginazione del soggetto dal clan stesso.
Questo clan interiore si forma quando siamo bambini, attraverso l'educazione che riceviamo e le esperienze sociali che viviamo. Esso contiene forme, norme, linguaggi, valori, obblighi, divieti, margini di libertà, ruoli, ranghi, e strutture sociali che ci consentono di interagire con gli altri in modo "regolato" ovvero non completamente libero, al fine della conservazione del clan stesso e della cooperazione tra i suoi membri.
Il Super-io freudiano è l'agente inconscio del clan, che provvede a punire (tramite ansia, angoscia, panico ecc.) qualunque comportamento suscettibile di causare l'emarginazione del soggetto dal clan stesso.
Si ha un'appartenenza quando un'entità è parte di un insieme più grande dell'entità stessa.
Ogni appartenenza implica certe proprietà, qualità, quantità e funzioni, o ruoli.
Ogni associazione, ogni collegamento, ogni relazione tra entità implica delle appartenenze. Infatti ogni entità in relazione con un altra appartiene alla relazione che le lega, con un certo ruolo o funzione.
Un'appartenenza può essere reale (come per parti di una macchina o di un organismo) o ideale (come nella mente che osserva certe entità).
Ogni idea appartiene a uno o più insiemi di idee, e ogni persona appartiene a uno o più insiemi di persone.
Ogni singola persona, ogni insieme di persone, appartengono ad un certo insieme di idee nella mente che le osserva.
Per un essere umano un'appartenenza può essere oggetto di bisogno, desiderio, rigetto o paura.
Un essere umano non può sopravvivere né soddisfare i suoi bisogni senza appartenere a qualche insieme sociale.
Qualunque meme (artefatto, gesto, espressione verbale o figurativa, scrittura, simbolo, concetto, organizzazione, gioco, regola morale ecc. riconoscibile da più di una persona e in quanto tale trasmissibile e condivisibile) può costituire un fattore di appartenenza e di coesione sociale. Infatti, gruppi e categorie sociali sono definibili in base alla condivisione di certi memi.
D'altra parte, l'appartenenza ad un certo gruppo o ad una certa categoria di persone può implicare la non appartenenza a certi altri gruppi o categorie alternativi o incompatibili.
Perciò un essere umano è continuamente occupato (consciamente o inconsciamente) a scegliere opportunamente a quali gruppi e categorie di persone appartenere e a quali non appartenere, ovvero con chi interagire cooperativamente e con chi non farlo, e di conseguenza ad assumere, incorporare, mostrare o rappresentare i memi (in quanto segnali) caratteristici delle appartenenze preferite.
D'altra parte, l'appartenenza ad un certo gruppo o ad una certa categoria di persone può implicare la non appartenenza a certi altri gruppi o categorie alternativi o incompatibili.
Perciò un essere umano è continuamente occupato (consciamente o inconsciamente) a scegliere opportunamente a quali gruppi e categorie di persone appartenere e a quali non appartenere, ovvero con chi interagire cooperativamente e con chi non farlo, e di conseguenza ad assumere, incorporare, mostrare o rappresentare i memi (in quanto segnali) caratteristici delle appartenenze preferite.
Per soddisfare il suo bisogno di compagnia insoddisfatto, una persona (A) ne deve trovare almeno un’altra (B) che corrisponda ai seguenti requisiti:
- B deve piacere ad A
- A deve piacere a B
- B deve avere un bisogno di compagnia insoddisfatto
- B deve essere in cerca di compagnia
- A e B devono incontrarsi
Il mio ateismo consiste nel non credere nella verità di alcuna delle narrazioni e spiegazioni provenienti dalle varie religioni del passato e del presente, riguardanti il senso della vita e i conseguenti principi etici.
Non credo nelle narrazioni e spiegazioni religiose perché le trovo illogiche, indimostrabili, false, strumentali al controllo politico delle persone, lesive dei diritti umani e nocive rispetto alla soddisfazione dei nostri bisogni primari.
Infatti, a mio avviso, tali narrazioni e spiegazioni costituiscono fattori di rallentamento del progresso morale e civile in quanto si basano su fedi e credenze incompatibili con la logica razionale, con sentimenti naturali e, in generale, con la soddisfazione dei bisogni umani.
Il bisogno umano più importante, la cui soddisfazione è, a mio avviso, ostacolata delle religioni è quello della cooperazione pacifica tra tutti gli umani, senza pregiudizi morali né distinzioni di credenze o di appartenenze a particolari comunità, e senza assurdi, arbitrari, inutili e dannosi obblighi e divieti.
Non credo nelle narrazioni e spiegazioni religiose perché le trovo illogiche, indimostrabili, false, strumentali al controllo politico delle persone, lesive dei diritti umani e nocive rispetto alla soddisfazione dei nostri bisogni primari.
Infatti, a mio avviso, tali narrazioni e spiegazioni costituiscono fattori di rallentamento del progresso morale e civile in quanto si basano su fedi e credenze incompatibili con la logica razionale, con sentimenti naturali e, in generale, con la soddisfazione dei bisogni umani.
Il bisogno umano più importante, la cui soddisfazione è, a mio avviso, ostacolata delle religioni è quello della cooperazione pacifica tra tutti gli umani, senza pregiudizi morali né distinzioni di credenze o di appartenenze a particolari comunità, e senza assurdi, arbitrari, inutili e dannosi obblighi e divieti.
A mio avviso, le feste hanno funzioni sociali importanti, forse indispensabili, altrimenti non sarebbero così diffuse ancora oggi in tutte le culture. Secondo me le feste si festeggiano per piacere e per paura.
Si festeggiano per piacere perché danno gioia (anche se non sempre e non a tutti), come tutte le attività che favoriscono le interazioni sociali e confermano l'appartenenza ad una propria comunità. In altre parole, soddisfano i bisogni di appartenenza e di interazione sociale.
Si festeggiano per paura, perché il non festeggiarle potrebbe essere interpretato come un volontario allontanamento dalla comunità di appartenenza e un evitamento delle relative interazioni sociali, e pertanto essere disapprovato dagli altri, col rischio di venire emarginati in quanto "diversi".
Questo è secondo me il vero senso delle feste, non quello dichiarato, che è un pretesto, a volte insignificante o insensato, per socializzare. Mi pare infatti che l'uomo (tranne poche eccezioni) non riesca a socializzare al di fuori di regole comunitarie, come feste e altri usi e costumi tradizionali.
Le differenze di gusti (intesi come attrazioni e repulsioni emotive e/o cognitive) costituiscono un problema molto più grande di quanto possa sembrare a prima vista.
Infatti, in base all'affinità dei gusti, si costituiscono degli insiemi sociali e delle appartenenze e non-appartenenze a tali insiemi.
In altre parole, l’appartenenza di un individuo ad un certo insieme sociale (gruppo concreto o categoria di persone) può dipendere dalla conformità dei propri gusti rispetto a quelli caratteristici dell’insieme stesso, ovvero della maggioranza dei suoi membri.
Ne consegue che un individuo che desidera appartenere ad un certo insieme sociale può essere indotto a modificare (consciamente o inconsciamente) i propri gusti per adattarli a quelli dell’insieme stesso, col risultato di avere gusti non autentici.
Pertanto è bene chiedersi quanto i propri gusti siano autentici o manipolati dal bisogno o desiderio di appartenenza a certi insiemi sociali.
Abbiamo tutti bisogno di essere parte attiva di un sistema sociale, con le sue regole e modalità di interazione. Esempi di sistemi sociali: una coppia, una famiglia, un gruppo, una schiera, un esercito, una folla, una tifoseria, il pubblico di uno spettacolo, una clientela, un elettorato, una banda di delinquenti, una società, un'associazione, una comunità, un club, un'organizzazione, un'impresa, un progetto, un movimento, una confraternita, una classe di studenti, un comitato, un'alleanza, un'amicizia, un'economia, un coro, un'orchestra ecc.
Far parte di un sistema sociale significa appartenere ad esso, esserne tributari e rinunciare a certe libertà, assumere doveri e diritti particolari, dal momento che ogni sistema ha le sue regole (forme, norme e valori) e solo chi le rispetta vi può appartenere.
Nell'appartenere ad un sistema sociale possiamo conformarci alle sue regole d'interazione convenzionali, oppure tentare di trasgredirle e sostituirle con nuove regole più congeniali, cercando di convincere gli altri membri del sistema ad adottarle. Ma se queste vengono rifiutate veniamo esclusi dal sistema. Cambiare è sempre rischioso.
Far parte di un sistema sociale significa appartenere ad esso, esserne tributari e rinunciare a certe libertà, assumere doveri e diritti particolari, dal momento che ogni sistema ha le sue regole (forme, norme e valori) e solo chi le rispetta vi può appartenere.
Nell'appartenere ad un sistema sociale possiamo conformarci alle sue regole d'interazione convenzionali, oppure tentare di trasgredirle e sostituirle con nuove regole più congeniali, cercando di convincere gli altri membri del sistema ad adottarle. Ma se queste vengono rifiutate veniamo esclusi dal sistema. Cambiare è sempre rischioso.
Noi umani abbiamo bisogno di feste, intese come riti sociali, ovvero come manifestazioni e conferme di appartenenze e identità comuni, ovvero di una unione.
Affinché una festa sia possibile e raggiunga il suo scopo, è necessario che i partecipanti abbiano certe cose in comune, che si sentano simili e uniti in certi aspetti. Come, ad esempio, il rispetto di certe tradizioni.
Al giorno d'oggi, in cui quasi tutte le tradizioni e tutti i valori sembrano volgere al termine, abbiamo bisogno di nuove feste, ovvero di nuovi valori, nuove appartenenze e nuove identità.
Se io dovessi scegliere il valore a cui dedicare una nuova festa, questo sarebbe la ragione, ovvero la razionalità.
Tuttavia molti temono la razionalità, perché essa dipende dall'intelligenza logica, e questa è distribuita in modo diseguale in ogni popolazione, determinando delle gerarchie intellettuali, e quindi delle disuguaglianze.
Di conseguenza, una festa della ragione può interessare solo le persone più intelligenti, e non le masse, la cui intelligenza è per definizione "mediocre" Infatti le persone mediocri non sono disposte ad ammettere la propria inferiorità intellettuale rispetto a qulle persone più intelligenti.
Quando due persone s’incontrano, si pone il problema della scelta del tema di conversazione o del contesto di interazione, che auspicabilmente dovrebbe essere gradito a entrambe le parti. Di solito colui che meno si cura del gradimento altrui sceglie il tema o il contesto che preferisce, e lo impone all’altro. A quest'ultimo non resta che subire tale scelta, oppure opporsi esplicitamente ad essa. Raramente il tema o il contesto vengono negoziati apertamente prima dell’interazione.
Quando più di due persone s’incontrano, trovare un tema o contesto gradito a tutti è ancora più difficile, e una negoziazione ancora meno probabile, tanto più quanto maggiore è il numero dei presenti. In tal caso succede normalmente che le persone più estroverse e quelle meno attente ai desideri altrui conducano la conversazione nella direzione da loro preferita, col risultato che i meno interessati al tema o al contesto scelto dagli altri non partecipano attivamente né piacevolmente alla conversazione o interazione.
Per questo di solito le persone si incontrano e interagiscono preferibilmente con persone simili riguardo ai temi di conversazione e ai contesti di interazione preferiti.
Il piacere estetico, cioè il piacere insito nella percezione di forme artistiche, poetiche, letterarie, spettacoli teatrali, forme biologiche, spettacoli naturali ecc. può avere diverse cause sommabili, come le seguenti.
- l’effetto neurologico della bellezza intrinseca di certe forme
- la piacevole sensazione di appartenere ad una comunità (più o meno elitaria) di persone che apprezzano certe forme di bellezza
- la piacevole sensazione derivata dallo status competitivo di conoscitore di certe forme di bellezza
- la piacevole sensazione derivata dallo status competitivo di possessore di certe forme di bellezza (opere d’arte, di artigianato, arredamenti, proprietà immobiliari di particolare bellezza ecc.)
- il piacere dell’immaginazione stimolata da certe forme di bellezza.
- ecc.
Vista la tragedia di Nizza di ieri, che mi ha molto turbato, forse è di cattivo gusto proprio oggi leggere criticamente la Marsigliese, tuttavia mi sembra interessante farlo non come critica del popolo francese, ma della mentalità patriottica diffusa più o meno in tutto il mondo, anche nei paesi islamici, almeno fino a qualche decennio fa.
Si tratta di un canto di guerra per guerrieri (come del resto anche l'inno di Mameli) un modo efficace per dare ai soldati il coraggio di farsi ammazzare in prima linea in nome dell'amour sacré de la Patrie, un po' come fanno i recrutatori di terroristi. Ho estratto alcuni versi che trovo piuttosto eloquenti in cui i nemici sono visti non come esseri umani ma come bestie feroci, sadici e impuri, che meritano risposte altrettanto feroci:
"Sentite nelle campagne muggire questi feroci soldati? Vengono fin nelle nostre (vostre) braccia a sgozzare i nostri (vostri) figli, le nostre (vostre) compagne! Alle armi, cittadini, formate i vostri battaglioni, marciamo, marciamo! (Marciate, marciate!) Che un sangue impuro abbeveri i nostri solchi!"
In tempo di femminismo notare anche "i maschi richiami della libertà".
Testo completo in francese e italiano in https://it.wikipedia.org/wiki/La_Marsigliese
Si tratta di un canto di guerra per guerrieri (come del resto anche l'inno di Mameli) un modo efficace per dare ai soldati il coraggio di farsi ammazzare in prima linea in nome dell'amour sacré de la Patrie, un po' come fanno i recrutatori di terroristi. Ho estratto alcuni versi che trovo piuttosto eloquenti in cui i nemici sono visti non come esseri umani ma come bestie feroci, sadici e impuri, che meritano risposte altrettanto feroci:
"Sentite nelle campagne muggire questi feroci soldati? Vengono fin nelle nostre (vostre) braccia a sgozzare i nostri (vostri) figli, le nostre (vostre) compagne! Alle armi, cittadini, formate i vostri battaglioni, marciamo, marciamo! (Marciate, marciate!) Che un sangue impuro abbeveri i nostri solchi!"
In tempo di femminismo notare anche "i maschi richiami della libertà".
Testo completo in francese e italiano in https://it.wikipedia.org/wiki/La_Marsigliese
Distintivi e fregi cuciti sul vestiario, acconciature dei capelli, rasature di barbe e baffi, modi e mode nel vestire, vestire certe uniformi, indossare certi ornamenti, sventolare bandiere, mostrare tatuaggi, gesti delle mani come fare il saluto romano o mostrare il pugno chiuso, parlare in un certo dialetto, argomenti di conversazione preferiti, luoghi e locali frequentati, sport e passatempi praticati, spettacoli visti, libri letti, di programmi televisivi seguiti, veicoli usati per viaggiare, campagne di solidarietà sostenute (anche mediante donazioni), ecc.
Tutte le cose sopra elencate, intese come particolari tipi e stili di comportamento, sono manifestazioni di appartenenza a certi insiemi sociali (concreti e/o astratti).
Mi pare che le interazioni cooperative tra esseri umani siano impossibili se non nel quadro di appartenenze comuni a certi insiemi sociali riconoscibili mediante certe forme tipiche.
Insomma, qualunque cosa facciamo è soltanto, o anche, un modo per manifestare le nostre appartenenze, anche se spesso non ne siamo consapevoli.
Resta da chiederci se gli insiemi sociali a cui vogliamo appartenere siano validi, se abbiamo i requisiti per appartenervi, e se appartenervi sia cosa buona e utile per noi.
La mia patria è dove sono cresciuto, dove le cose mi sono familiari, dove so orientarmi, dove abita la mia mente, dove sono riposte le mie emozioni. I luoghi che frequentavo nell'infanzia e nell'adolescenza, le montagne intorno al villaggio dei nonni, il negozio di mio padre dove lavoravo dopo aver fatto i compiti di scuola, il coro che mi faceva sentire parte di un'armonia, il mio studio con alle pareti i simboli delle mie conquiste intellettuali e i ritratti dei miei maestri di vita, la mia famiglia, di cui non potrei più fare a meno, che resta unita malgrado e attraverso piccole e grandi incomprensioni. Queste cose, e altre a cui ora non penso, ma che ci sono, formano il paesaggio della mia patria.
-------------
Heimat ist wo ich aufgewachsen bin, wo mir Dinge bekannt sind, wo ich mich orientieren kann, wo mein Geist wohnt, wo meine Gefühle liegen. Die Orte, die ich in meiner Kindheit und Jugend besuchte; die Berge rund um das Dorf meiner Großeltern; der Laden meines Vaters, in dem ich nach den Hausaufgaben arbeitete; der Chor, der mich wie Teil einer Harmonie fühlen ließ; die Wände meines Büros wo die Symbole meiner intellektuellen Eroberungen und die Porträts meiner Denkmeister hängen; meine Familie, auf die ich nicht mehr verzichten könnte, die trotz und gerade durch kleine und große Missverständnisse vereint bleibt. Diese und andere Dinge, über die ich jetzt nicht nachdenke, die aber da sind, bilden die Landschaft meiner Heimat.
-------------
Heimat ist wo ich aufgewachsen bin, wo mir Dinge bekannt sind, wo ich mich orientieren kann, wo mein Geist wohnt, wo meine Gefühle liegen. Die Orte, die ich in meiner Kindheit und Jugend besuchte; die Berge rund um das Dorf meiner Großeltern; der Laden meines Vaters, in dem ich nach den Hausaufgaben arbeitete; der Chor, der mich wie Teil einer Harmonie fühlen ließ; die Wände meines Büros wo die Symbole meiner intellektuellen Eroberungen und die Porträts meiner Denkmeister hängen; meine Familie, auf die ich nicht mehr verzichten könnte, die trotz und gerade durch kleine und große Missverständnisse vereint bleibt. Diese und andere Dinge, über die ich jetzt nicht nachdenke, die aber da sind, bilden die Landschaft meiner Heimat.
Io suppongo che l’uomo abbia, universalmente, bisogno di partecipare a riti sociali (formali o informali, espliciti o impliciti). A tale bisogno ho dato il nome di «bisogno rituale».
Un rito sociale è qualsiasi attività a cui partecipano almeno due persone, in modo preferibilmente sincronizzato, in forme tradizionali o convenzionali.
In altre parole, un rito sociale consiste nel fare le stesse cose e nello stesso modo, e possibilmente allo stesso tempo, con altre persone. Infatti non importa tanto ciò che si fa, quanto il fatto di farlo insieme e in una certa forma, ovvero la comune riconoscibilità e la condivisione di ciò che si fa.
Insomma, ciò che conta è la partecipazione ad un’attività comune.
Il «bisogno rituale» può essere soddisfatto, per esempio, dal partecipare ad una funzione religiosa, a una partita di calcio (come spettatore o come giocatore), a un party, a un ballo, a una maratona, a un concerto (come ascoltatore o come musicista), a un gioco, a un viaggio organizzato, alla visione di una trasmissione televisiva (meglio se in diretta), a una conversazione, a un convegno, a un seminario, a un corteo, ecc.
La partecipazione ad un rito sociale ci rassicura in quanto ci fa sentire di far parte di una comunità.
Senza tale rassicurazione saremmo angosciati, da cui il bisogno rituale come antidoto della paura dell’isolamento sociale e fonte di piacere.
Piacere che scaturisce dalla soddisfazione del bisogno di appartenenza sociale.
L’idea di oziare per un certo periodo di tempo può essere per qualcuno (me compreso) fonte di angoscia. Perché? È forse il sintomo di una disfunzione o disturbo mentale? Cosa potrebbe succedere ad una persona che ozia per un ora o due? Nulla di male, a meno che egli non abbia qualcosa di urgente, di non dilazionabile, da fare.
Forse l’angoscia dell’ozio è dovuta ad un problema di identità, cioè di appartenenza. Infatti, se è vero che un essere umano è qualificato e valutato in base alle sue azioni, alle sue attività, al suo comportamento, allora l’ozio, l’inazione, potrebbe essere considerato (consciamente o inconsciamente) come una perdita di identità, di appartenenza a qualche categoria produttiva o socialmente rispettabile, o, peggio, l’assunzione di appartenenza alla categoria dei “fannulloni” e/o degli asociali. Infatti l’ozio, se non è praticato in compagnia, può essere considerato asociale, mentre se è praticato in compagnia non può essere considerato come ozio, ma come attività sociale.
Bisogna anche distinguere l’ozio dal riposo, dato che il riposo è generalmente meritato, rispettabile, necessario e sano.
Per concludere, invidio coloro che riescono a praticare l’ozio per qualche ora di seguito senza l’angoscia di sentirsi asociali, fannulloni o privi di un’identità rispettabile.
L'appartenenza sociale si ottiene attraverso la realizzazione di uno o più modelli di appartenenza tipici della comunità di elezione. I modelli di appartenenza, una volta interiorizzati, costituiscono i paradigmi motivazionali dell'individuo, il quale sente un profondo bisogno di realizzare tali modelli, una profonda paura di non riuscirvi, gioia quando vi riesce e sofferenza quando non vi riesce.
I modelli di appartenenza di una certa comunità corrispondono ai ruoli che essa richiede e permette, nel senso che l'appartenenza alla comunità è possibile solo attraverso la personificazione di tali ruoli e nella misura di tale personificazione. Ogni individuo che vuole appartenere ad una certa comunità deve dunque scegliere uno o più di quei ruoli, ovvero modelli, e tende a scegliere i ruoli gerarchicamente più alti o comunque più vantaggiosi che le proprie capacità e inclinazioni gli consentono.
I modelli di appartenenza sono contenuti nella mappa cognitivo-emotiva di ogni individuo, ed hanno un peso relativo molto importante.
L'autocensura (inconscia) agisce in modo che il soggetto attui comportamenti favorevoli alla realizzazione dei modelli di comportamento interiorizzati, ed eviti comportamenti ad essa sfavorevoli. L'autocensura guida il comportamento del soggetto attraverso la generazione di sentimenti ed emozioni appropriati, come la gioia, la sofferenza, la paura, il panico, l'angoscia, l'ansia, l'attrazione, la repulsione, la curiosità, la noia ecc.
I modelli di appartenenza di una certa comunità corrispondono ai ruoli che essa richiede e permette, nel senso che l'appartenenza alla comunità è possibile solo attraverso la personificazione di tali ruoli e nella misura di tale personificazione. Ogni individuo che vuole appartenere ad una certa comunità deve dunque scegliere uno o più di quei ruoli, ovvero modelli, e tende a scegliere i ruoli gerarchicamente più alti o comunque più vantaggiosi che le proprie capacità e inclinazioni gli consentono.
I modelli di appartenenza sono contenuti nella mappa cognitivo-emotiva di ogni individuo, ed hanno un peso relativo molto importante.
L'autocensura (inconscia) agisce in modo che il soggetto attui comportamenti favorevoli alla realizzazione dei modelli di comportamento interiorizzati, ed eviti comportamenti ad essa sfavorevoli. L'autocensura guida il comportamento del soggetto attraverso la generazione di sentimenti ed emozioni appropriati, come la gioia, la sofferenza, la paura, il panico, l'angoscia, l'ansia, l'attrazione, la repulsione, la curiosità, la noia ecc.
Giudicare (sinonimo di valutare, classificare, qualificare, connotare, identificare ecc.) un ente (persona, cosa, idea ecc.) significa attribuire ad esso l'appartenenza a certe categorie (classi, tipi, gruppi, insiemi ecc.) etiche, estetiche o logiche caratterizzate da certe proprietà (qualità, aspetti, forme, norme, valori, funzioni, intenzioni, scopi, interessi ecc.).
Le attribuzioni del giudicare sono soggettive in quanto dipendono dalle categorie definite nelle menti delle persone giudicanti.
La definizione di una categoria (soggettiva per definizione) può essere più o meno grossolana o raffinata, e più o meno certa o incerta, così come un giudizio può essere più o meno grossolano o raffinato, più o meno certo o incerto.
Inoltre, sia le categorie, sia i giudizi che da esse derivano, possono essere più o meno consci o inconsci.
Il comportamento di una persona verso gli altri dipende dai propri giudizi verso di essi. Di conseguenza ognuno cerca di capire come gli altri lo giudicano e di ottenere da essi il giudizio più favorevole, influenzandolo se possibile.
A tal proposito ognuno deve tenere conto delle categorie memorizzate nelle menti altrui e giudicarsi anche secondo tali categorie, non solo secondo le proprie.
Le differenze tra le proprie categorie e quelle altrui sono problematiche, nel senso che possono dar luogo a giudizi diversi riguardo agli stessi enti e alle stesse questioni. La diversità delle categorie e dei giudizi è, a mio avviso, la causa fondamentale dei conflitti tra esseri umani.
A proposito dei processi mentali consci e inconsci che riguardano le appartenenze, per esempio, come fa una persona a stabilire se una certa altra persona gli vuole bene? La risposta a tale domanda si ottiene attraverso un processo (per lo più inconscio) di classificazione.
Vale a dire che il soggetto deve stabilire se una certa persona appartiene alla “classe” (categoria, o insieme) di coloro che gli vogliono bene, e per questo considera (per lo più inconsciamente) le caratteristiche di tale classe.
Se il soggetto presume che la persona in questione corrisponde a quelle caratteristiche, cioè ne è portatore, allora il soggetto stabilisce che essa gli vuole bene. In altre parole, affinché il soggetto consideri quella persona benevola nei suoi riguardi, essa deve "dimostrare" certe caratteristiche, certi aspetti, certe forme di comportamento tipiche della classe delle persone che gli vogliono bene.
Ovviamente le risposte a tali domande sono normalmente intuitive e inconsapevoli, tuttavia l'inconscio ha le sue logiche di classificazione (più o meno razionali o irrazionali), che la psicologia dovrebbe aiutarci a decifrare.
Per concludere potremmo definire il termine “classificare” come segue: Attribuire ad una persona o cosa certe appartenenze, ovvero l'appartenenza a certe classi (categorie o insiemi), secondo le presunte caratteristiche delle classi stesse.
Io appartengo ….
Io non appartengo …
Io vorrei appartenere …
Io non vorrei appartenere …
Tu appartieni …
Tu non appartieni …
Tu vorresti appartenere …
Tu non vorresti appartenere …
Egli appartiene …
Egli non appartiene …
Egli vorrebbe appartenere …
Egli non vorrebbe appartenere …
Noi apparteniamo …
Noi non apparteniamo …
Noi vorremmo appartenere …
Noi non vorremmo appartenere …
Voi appartenete …
Voi non appartenete …
Voi vorreste appartenere …
Voi non vorreste appartenere …
Essi appartengono …
Essi non appartengono …
Essi vorrebbero appartenere …
Essi non vorrebbero appartenere …
La relazione è il prodotto e il motivo dell'interazione. La seconda è molto più importante della prima perché senza l'interazione non si ottiene la relazione, o questa non può essere mantenuta se non come ricordo.
La relazione è uno stato, mentre l'interazione è un cambiamento di stato, è dinamismo, ovvero scambio di masse, sostanze, energie, informazioni, beni o servizi.
La vita, che è un fatto dinamico, dipende dalle interazioni, non dalle relazioni, anche se, nei rapporti umani certe interazioni sono condizionate da certe relazioni.
I rapporti umani sono dunque circolari nel senso che consistono in un continuo passaggio da interazione a relazione e da relazione a interazione.
L'appartenenza, che è una relazione fondamentale per un essere umano, è dunque anch'essa dipendente da interazioni, le quali, a loro volta, dipendono da certe appartenenze e non sono possibili al di fuori di esse.
Anche nella sfera dei sentimenti, e in particolare nel piacere e nel dolore, l'interazione è più importante della relazione, e ciò che più piace o dispiace non è l'aver ottenuto una relazione ma l'interazione che ha permesso di ottenerla, cioè non lo stato raggiunto ma il suo raggiungimento, cioè il cambiamento di stato.
Per questo è più piacevole una relazione instabile, che ha bisogno di essere mantenuta attraverso una frequente interazione, che una stabile che, una volta ottenuta, non può più essere alterata o eliminata, anche senza fare alcunché.
Una relazione, per dare piacere e mantenersi, deve dunque essere "frequentata" cioè confermata per mezzo di interazioni frequenti.
La relazione è uno stato, mentre l'interazione è un cambiamento di stato, è dinamismo, ovvero scambio di masse, sostanze, energie, informazioni, beni o servizi.
La vita, che è un fatto dinamico, dipende dalle interazioni, non dalle relazioni, anche se, nei rapporti umani certe interazioni sono condizionate da certe relazioni.
I rapporti umani sono dunque circolari nel senso che consistono in un continuo passaggio da interazione a relazione e da relazione a interazione.
L'appartenenza, che è una relazione fondamentale per un essere umano, è dunque anch'essa dipendente da interazioni, le quali, a loro volta, dipendono da certe appartenenze e non sono possibili al di fuori di esse.
Anche nella sfera dei sentimenti, e in particolare nel piacere e nel dolore, l'interazione è più importante della relazione, e ciò che più piace o dispiace non è l'aver ottenuto una relazione ma l'interazione che ha permesso di ottenerla, cioè non lo stato raggiunto ma il suo raggiungimento, cioè il cambiamento di stato.
Per questo è più piacevole una relazione instabile, che ha bisogno di essere mantenuta attraverso una frequente interazione, che una stabile che, una volta ottenuta, non può più essere alterata o eliminata, anche senza fare alcunché.
Una relazione, per dare piacere e mantenersi, deve dunque essere "frequentata" cioè confermata per mezzo di interazioni frequenti.
A mio parere, augurare "buon Natale", "buona Epifania" ecc. nella maggior parte dei casi non ha nulla a che vedere con la nascita di Gesù, né con l'"epifania del Signore", che sono solo dei pretesti per certe sincronizzazioni convenzionali.
Lo scambio di auguri consisterebbe piuttosto nello scambio di messaggi il cui contenuto potrebbe essere qualcosa come: "Ehi tu, ti ricordo che io esisto, ti informo che sto pensando a te e ti confermo che tra te e me c'è una certa relazione per me buona e importante, che io desidero mantenere. Spero che sia buona e importante anche per te, e mi farebbe piacere ricevere una conferma, un segnale, in tal senso, anche un semplice ‘altrettanto’".
Se questo fosse il vero significato degli auguri, perché scambiarli solo in occasione di feste religiose? Tra l’altro, questo mette gli atei a disagio. Non potremmo dire esplicitamente, direttamente e spontaneamente agli interessati quanto sono importanti per noi senza aspettare il momento convenzionale per farlo? Oltretutto fare qualcosa per tradizione è come obbedire ad un obbligo e pone dubbi sulla sincerità e la “cordialità” (nel senso del cuore) del messaggio.
Per concludere, io credo che lo scambio di auguri sia semplicemente un rituale di appartenenza sociale, celebrato per abitudine anche quando la comunità a cui si conferma di appartenere è illusoria, immaginaria e non corrisponde a nessuna comunità reale. In altre parole, mi sembra che lo scambio di auguri sia una cosa che si fa soltanto perché si è sempre fatta nel nostro ambiente sociale.
Nell’interazione tra due umani le azioni di ciascuno verso l’altro sono determinate o influenzate da una quantità di presupposti, tra cui i seguenti (il soggetto è ciascuno dei due umani):
- io appartengo a certe cose/persone/categorie (CPC)
- certe CPC mi appartengono (cioè io possiedo certe CPC)
- tu appartieni a certe CPC
- certe CPC ti appartengono
- egli (un terzo) appartiene a certe CPC
- certe CPC appartengono a lui/lei
- noi apparteniamo a certe CPC
- certe CPC ci appartengono
- voi appartenete a certe CPC
- certe CPC vi appartengono
- essi appartengono a certe CPC
- certe CPC appartengono a loro
A mio avviso i tatuaggi esprimono messaggi inconsci rivolti agli altri e a se stessi, come, ad esempio, i seguenti:
Guardami, io esisto e tu non devi ignorarmi. O apprezzi o disprezzi il mio tatuaggio, ma non puoi ignorarlo, non puoi ignorarmi.
Io non sono uno qualsiasi, io sono speciale, io sono originale perché il mio tatuaggio è unico al mondo.
Io sono padrone del mio corpo, nessuno può dirmi come deve apparire. Io sono libero da condizionamenti, io sono anticonformista.
Io sono coraggioso perché il mio tatuaggio è stato molto doloroso ed è irreversibile. Come la mia personalità, non cambierà mai.
Io appartengo alla comunità dei tatuati, diversa dalla tua, migliore della tua, di cui fanno parte altre persone simili a me, che si tatuano anch'esse.
Se ti faccio schifo dimostri che sei ignorante, conformista, cattivo.
Io sono una persona alla moda, tu no; io sono più evoluto di te.
Il mio tatuaggio è bello, e dimostra il mio buon gusto.
Questo tatuaggio mi ricorda qualcosa che per me ha grande valore e che non voglio mai dimenticare.
Il mio tatuaggio racconta una storia, esprime certi ideali. Se non li capisci e non li condividi sei mio nemico, sei ignorante, sei stupido.
Se capisci il mio tatuaggio e ti piace, sei mio amico e alleato.
Il mio tatuaggio è un grido di dolore autolesionista, se non lo capisci non hai sentimenti.
Più è esteso il tatuaggio, più forti sono i messaggi che esso esprime, più sono coraggioso, più attenzione e rispetto io merito, più alta è la mia posizione nella gerarchia dei tatuati.
Ecc.
Guardami, io esisto e tu non devi ignorarmi. O apprezzi o disprezzi il mio tatuaggio, ma non puoi ignorarlo, non puoi ignorarmi.
Io non sono uno qualsiasi, io sono speciale, io sono originale perché il mio tatuaggio è unico al mondo.
Io sono padrone del mio corpo, nessuno può dirmi come deve apparire. Io sono libero da condizionamenti, io sono anticonformista.
Io sono coraggioso perché il mio tatuaggio è stato molto doloroso ed è irreversibile. Come la mia personalità, non cambierà mai.
Io appartengo alla comunità dei tatuati, diversa dalla tua, migliore della tua, di cui fanno parte altre persone simili a me, che si tatuano anch'esse.
Se ti faccio schifo dimostri che sei ignorante, conformista, cattivo.
Io sono una persona alla moda, tu no; io sono più evoluto di te.
Il mio tatuaggio è bello, e dimostra il mio buon gusto.
Questo tatuaggio mi ricorda qualcosa che per me ha grande valore e che non voglio mai dimenticare.
Il mio tatuaggio racconta una storia, esprime certi ideali. Se non li capisci e non li condividi sei mio nemico, sei ignorante, sei stupido.
Se capisci il mio tatuaggio e ti piace, sei mio amico e alleato.
Il mio tatuaggio è un grido di dolore autolesionista, se non lo capisci non hai sentimenti.
Più è esteso il tatuaggio, più forti sono i messaggi che esso esprime, più sono coraggioso, più attenzione e rispetto io merito, più alta è la mia posizione nella gerarchia dei tatuati.
Ecc.
Nella vita sociale ci sono riti formali e riti informali di cui i partecipanti sono più o meno consapevoli.
I riti sono uno strumento importante per confermare l’appartenenza dei partecipanti alla comunità che celebra (o semplicemente esegue) il rito. A ciò si aggiunge il fatto che il rito suscita una sensazione di appartenenza reciproca, nel senso che ogni individuo appartiene (in una certa misura) ad ogni altro, a condizione che tutti rispettino le stesse regole nello stesso momento.
La sincronizzazione dei gesti è molto importante per suscitare il senso di appartenenza, molto più importante dei contenuti del rito.
Io suppongo infatti che un rito potrebbe avere contenuti privi di qualunque significato, né letterale né metaforico, purché siano ordinati secondo qualche regola formale obbligatoria accettata e condivisa dai partecipanti.
Un esempio di ciò è la messa cattolica celebrata in latino per tanti secoli, durante i quali quasi nessuno dei fedeli conosceva tale lingua. In effetti il fatto che i fedeli non comprendessero il significato delle parole che i preti ed essi stessi proferivano, non toglieva nulla alla funzione e alla suggestione del rito, che era quella di unificare i fedeli sotto l'autorità del regolatore, cioè della gerarchia ecclesiastica.
Pertanto io credo che un gruppo di persone potrebbe inventare di sana pianta un rito, con determinati gesti, formule e simboli privi di qualunque significato o riferimento, e celebrarlo periodicamente per ribadire l'appartenenza dei membri del gruppo al gruppo stesso, e permettere loro di godere della piacevole emozione suscitata dalla soddisfazione di un bisogno fondamentale.
I riti sono uno strumento importante per confermare l’appartenenza dei partecipanti alla comunità che celebra (o semplicemente esegue) il rito. A ciò si aggiunge il fatto che il rito suscita una sensazione di appartenenza reciproca, nel senso che ogni individuo appartiene (in una certa misura) ad ogni altro, a condizione che tutti rispettino le stesse regole nello stesso momento.
La sincronizzazione dei gesti è molto importante per suscitare il senso di appartenenza, molto più importante dei contenuti del rito.
Io suppongo infatti che un rito potrebbe avere contenuti privi di qualunque significato, né letterale né metaforico, purché siano ordinati secondo qualche regola formale obbligatoria accettata e condivisa dai partecipanti.
Un esempio di ciò è la messa cattolica celebrata in latino per tanti secoli, durante i quali quasi nessuno dei fedeli conosceva tale lingua. In effetti il fatto che i fedeli non comprendessero il significato delle parole che i preti ed essi stessi proferivano, non toglieva nulla alla funzione e alla suggestione del rito, che era quella di unificare i fedeli sotto l'autorità del regolatore, cioè della gerarchia ecclesiastica.
Pertanto io credo che un gruppo di persone potrebbe inventare di sana pianta un rito, con determinati gesti, formule e simboli privi di qualunque significato o riferimento, e celebrarlo periodicamente per ribadire l'appartenenza dei membri del gruppo al gruppo stesso, e permettere loro di godere della piacevole emozione suscitata dalla soddisfazione di un bisogno fondamentale.
Ad un essere umano piace tutto ciò che conferma la sua appartenenza all'umanità, la sua integrazione e partecipazione interattiva ad una comunità; tutto ciò che lo fa sentire parte integrante, costituente, contribuente, coerente, armonica, simbiotica, utile, non superflua, di un gruppo; tutto ciò che gli conferma di avere un ruolo nella società i cui altri membri accettano, approvano e usano per la loro soddisfazione attraverso un continuo dialogo e scambio; tutto ciò che lo fa sentire "giusto" non in senso morale (perché la morale è una razionalizzazione di qualcosa di più profondo) ma formale e materiale, nel senso della tessera di un puzzle, che nel quadro ha un posto unico ad essa assegnato, che solo il soggetto può riempire perfettamente, e in sua mancanza il puzzle è incompleto o sbagliato.
In sintesi, ad un essere umano piace essere parte di, ovvero avere un ruolo in, una configurazione sociale simbiotica o un rito sociale e tutto ciò che favorisce tale partecipazione, come, ad esempio, seguire una moda o assistere insieme ad uno spettacolo o ad una messa.
Questo piacere deriva da un profondo bisogno genetico di partecipazione sociale, la cui frustrazione può dar luogo a sofferenza, ansia, panico, depressione, e altri disturbi mentali.
Non importa se l'umanità, la società, la comunità, il gruppo, il puzzle, siano buoni o cattivi, onesti o criminali, sani o malati, saggi o stupidi, produttivi o improduttivi, l'importante è avere una forma compatibile con il resto dell'insieme e non restare isolati o emarginati. Infatti, per l'inconscio è meglio sbagliare insieme che avere ragione da soli.
Tuttavia il bisogno di integrazione sociale è più o meno forte da persona a persona, in uno spettro continuo ai cui estremi abbiamo l'estroverso e l'introverso.
Il super-io di freudiana memoria necessita, a mio parere, di una rivisitazione e ridefinizione, se non vogliamo gettarlo alle ortiche in quanto “datato”.
Ebbene, io direi che il super-io (in cui credo fermamente) non si limita a imporre “subdolamente” al soggetto censure e obblighi riguardanti la moralità (in ambito sessuale o non sessuale) ma riguarda più in generale il bisogno di appartenenza e la prevenzione del rischio di isolamento sociale, considerato dall’inconscio una disgrazia mortale e come tale da evitare assolutamente.
In altre parole, il super-io è il guardiano della nostra appartenenza e integrazione sociale, e interviene ogni volta che questa è messa, a suo giudizio, in pericolo, scatenando inibizioni, paure e pulsioni atte a imporre al soggetto (cioè al suo io cosciente) un comportamento tale da ripristinare una certo grado di sicurezza “sociale”.
Infatti, a mio avviso, per il super-io ogni cosa (persona, idea, comportamento, tipo di evento, ecc.) ha una valenza sociale più o meno positiva o negativa, nel senso che viene vista come più o meno favorevole o sfavorevole all’appartenenza e integrazione sociale del soggetto.
Attraverso una manipolazione sentimentale (i sentimenti sono attivati da meccanismi inconsci), il super-io ci spinge a fare, e perfino a pensare, a tutto ciò che ha una valenza sociale positiva, e ad evitare tutto ciò che ha una valenza sociale negativa.
Questa è la mia nozione di super-io, e ringrazio Freud di aver iniziato a speculare su questo tema, anche se ho ritenuto necessario una messa a punto e un completamento delle sue idee geniali sull’inconscio.
Io suppongo che gli esseri umani abbiano un forte bisogno innato di condividere idee, esperienze, conoscenze, credenze, narrazioni, motivazioni, sentimenti, oggetti, strumenti, spazi e tempi ecc. Insomma, tutto ciò che è per loro utile e/o importante.
Il bisogno di condivisione è profondo e spesso inconscio, nascosto. L’uomo fa tantissime cose allo scopo di soddisfare il suo bisogno di condivisione, illudendosi di avere altri motivi, come se il bisogno di condivisione non abbia una sua sufficiente dignità e giustificazione.
Se io chiedo a qualcuno il perché di una sua certa abituale attività sociale lui mi risponde probabilmente che fa quelle cose perché gli piace farle, o perché è interessato ai contenuti di quel tipo di attività. Ma queste non sono le vere ragioni, cioè le ragioni “prime”.
Infatti se io chiedo a quella persona perché quella particolare attività sociale gli piace o perché è interessato ad essa, forse non saprà dire altro che “mi piace perché mi piace” o “mi interessa perché mi interessa”. Ebbene, io credo che le attività sociali ci piacciono e ci interessano nella misura in cui ci permettono di condividere con altri cose che ci stanno a cuore, oppure cose qualsiasi, purché siano condivisibili. Perché condividere qualcosa è un modo per stare insieme, per entrare in relazione, per interagire, per far parte di una comunità, che è la cosa che più ci piace e ci interessa.
Perciò, se non riuscite a capire perché certe persone fanno certe cose insieme ad altri, probabilmente il motivo è che desiderano condividere qualcosa con gli altri per unirsi a loro, e quell'attività è un buon pretesto, una buona giustificazione. Insomma, si tratta di condividere per interagire, e di interagire per appartenere, non importa cosa venga condiviso, anche cose senza senso, purché vi sia condivisione.
Mi sembra impossibile capire molte attività sociali senza questa chiave di comprensione: condividere per appartenere.
La cosa più importante per un essere vivente è l’adattamento al suo ambiente, senza il quale non può sopravvivere né soddisfare i propri bisogni.
Nel caso degli esseri umani, l’adattamento non riguarda solo l’ambiente naturale, ma anche e soprattutto quello sociale, dal momento che nessun umano può sopravvivere né soddisfare i suoi bisogni senza la cooperazione di un certo numero di altri umani.
Possiamo dire dunque che l’uomo “ha bisogno” dell’adattamento tra sé e l’ambiente naturale e sociale in cui vive.
Avendo l’uomo bisogno di adattamento naturale e sociale, è “naturale” che esso provi piacere quando questo adattamento è reale o tende a realizzarsi, e dolore quando questo non è c’è o tende a cessare.
Tuttavia l’adattamento, specialmente quello sociale, per alcuni può avere un costo più o meno sopportabile. Infatti l’adattamento sociale di un individuo implica che questo si manifesti e si comporti in modo accettabile da coloro da cui dipende la propria sopravvivenza e la soddisfazione dei propri bisogni.
Ci sono individui che si adattano agli altri con facilità, altri con difficoltà. Questi ultimi per adattarsi devono fare in certa misura violenza alla propria personalità, cioè devono costringere se stessi ad “essere” come li vogliono gli altri pur essendo diversi, e a nascondere certe loro diversità rispetto a ciò che gli altri si aspettano da loro. Ne consegue che per i primi l’adattamento comporta solo un piacere, mentre per i secondi comporta un dolore che a volte supera il piacere dell’adattamento stesso.
Per concludere, possiamo dire che l'adattamento sociale è per alcuni spontaneo e piacevole, per altri forzato e doloroso.
L'interazione tra due umani è un complesso processo in cui vengono prese diverse decisioni basate su logiche e algoritmi automatici, simultaneamente e per lo più inconsciamente e involontariamente.
Suppongo che tali logiche e algoritmi adempiano molte funzioni tra cui:
Suppongo che tali logiche e algoritmi adempiano molte funzioni tra cui:
- auto-classificazione e classificazione dell'interattore, ovvero identificazione di appartenenze a comunità, gruppi, tipi e categorie caratterizzate da proprietà particolari
- valutazione e confronto delle capacità / incapacità e potenzialità proprie e dell'interattore
- analisi dei possibili modelli culturali di interazione applicabili
- sondaggi conoscitivi, interviste, monitoraggio del comportamento dell'interattore e analisi del feedback per individuare e valutare possibilità di manovra
- analisi dei possibili vantaggi, svantaggi, benefici, inconvenienti e rischi dell'interazione, tra cui valutazione del parere, approvazione, disapprovazione, consenso o divieto da parte di terzi
- recriminazioni e accuse di non rispetto di regole condivise
- ritualizzazioni di appartenenze comuni
- giochi
- scherzi e umorismo
- definizione e assegnazione di ruoli
- assegnazione di posizioni gerarchiche (politiche, economiche, intellettuali, morali ecc.), sfide, proteste
- asservimento, dominazione, sfruttamento
- servizio, sottomissione
- guida, leadership, insegnamento, direzione
- apprendistato, sequela, esecuzione di ordini
- dichiarazioni di obiettivi, intenzioni, domanda e offerta
- espressione di richieste e pretese di beni, informazioni, servizi, obblighi e divieti
- negoziazione esplicita o implicita di possibili transazioni, relazioni e protocolli di interazione
- ecc.
Il processo è basato sulle mappe cognitivo-emotive degli interattori, usate per dare significato e valore alle transazioni avvenute e a quelle ipotetiche.
L'appartenenza a un certo insieme sociale implica la condivisione di certe forme, norme, valori, gerarchie, ruoli, funzioni, finalità. Quanto più completa, stabile, netta, profonda è la condivisione, tanto più forte è, per definizione, l'appartenenza.
A tal proposito conviene parlare di grado di appartenenza. Credo che al giorno d'oggi le appartenenze siano sempre più deboli, superficiali, provvisorie, disimpegnate, liquide.
Prendiamo ad esempio l'appartenenza a un gruppo Facebook o Whatsapp, ad una associazione culturale, ad una parrocchia, ad un fun club sportivo, alla massa di spettatori di uno spettacolo, ad un gruppo di invitati ad una festa, ai seguaci di una moda, a una folla che passeggia ecc.
Ogni insieme sociale è anche un gruppo di mutuo riconoscimento e di mutua approvazione, riconoscimento e approvazione di cui abbiamo tutti un grande bisogno.
I motivi fondamentali di ogni relazione e interazione sociale, e quindi di ogni appartenenza, sono, a mio avviso, i seguenti quattro: cooperazione, competizione, imitazione, selezione. Vale a dire che si appartiene per cooperare, per competere, per selezionare le persone con cui interagire, per imitare gli altri (l'apprendimento sociale è basato sull'imitazione).
In tale ottica ci sono domande sempre pendenti, come le seguenti: a quali insiemi desidero appartenere? A quali sono costretto ad appartenere? In quale misura? Per quanto tempo? In quali ruoli? In quale posizioni gerarchiche? Con quale status? Con quali obblighi e impegni? Questa appartenenza mi conviene o non mi conviene?
Siamo sempre più liberi di scegliere le nostre appartenenze, e questa libertà è sempre più "imbarazzante". L'imbarazzo della scelta. Anche perché scegliere una appartenenza è scegliere come limitare la propria libertà.
Ogni umano ha nella sua mente (conscia o inconscia) un repertorio di insiemi sociali, cioè di gruppi concreti o astratti di persone con caratteristiche comuni.
Ogni insieme sociale è caratterizzato da certe forme, norme, valori e codici di comunicazione.
Ogni umano attribuisce ad ogni altro, e a se stesso, l’appartenenza a certi insiemi sociali, e, di conseguenza, le caratteristiche degli insiemi sociali di appartenenza.
Ogni umano presume che tutti gli appartenenti ad un certo insieme sociale si comportino nei modi caratteristici di quell’insieme. D’altra parte, osservare il comportamento di un umano permette di attribuirgli l’appartenenza a certi insiemi sociali.
Le interazioni tra umani sono soggette alle appartenenze reali o presunte degli interattori a certi insiemi sociali.
Si tratta per lo più di stereotipi soggettivi e arbitrari. Tuttavia è difficile farne a meno, in quanto senza di essi gli umani non saprebbero come interagire e cosa aspettarsi gli uni dagli altri. Sarebbero smarriti, inibiti, o violenti.
Il repertorio di insiemi sociali costituisce dunque un utile, se non indispensabile, sistema di riferimento per orientarsi nelle interazioni col prossimo.
D’altra parte, tale sistema di riferimento è fonte di stress psichico perché non siamo mai sicuri di come gli altri ci classifichino, né siamo sicuri di voler appartenere a certi insiemi sociali, dato che ciascuno di essi comporta certi impegni e certe rinunce.
L’importanza degli insiemi sociali per il funzionamento della psiche e per i rapporti sociali non deve essere sottovalutata. Infatti da essi dipendono gran parte delle scelte e delle motivazioni umane, dato il fondamentale e innato bisogno di appartenenza sociale che agisce in ognuno di noi e dalla cui soddisfazione o frustrazione dipendono le nostre gioie e le nostre sofferenze.
Oggi più che mai, le relazioni sociali, sempre più libere da vincoli economici, politici e religiosi, si formano attraverso lo scambio di “like” (espliciti o impliciti), intendendo per “like” un’espressione di apprezzamento da parte di una persona per qualche azione, proprietà o aspetto di un’altra persona.
Se condividiamo qualcosa in un social network, e qualcuno vi mette un “mi piace”, è come se dicesse “tu mi piaci”. Infatti è difficile, se non impossibile, separare l’apprezzamento di una cosa che appartiene ad una persona, dall’apprezzamento per la persona stessa.
Siamo tutti in cerca di “like”, cioè abbiamo bisogno di ricevere il messaggio: “mi piace ciò che tu fai, ciò che tu hai, e quindi ciò che tu sei”.
Il messaggio “tu mi piaci” significa “tu mi dai piacere”, che a sua volta significa “tu soddisfi certi miei bisogni o desideri”. Tra i bisogni e i desideri più importanti c’è quello di ricevere apprezzamenti. Succede perciò che la relazione tra due persone possa essere basata soltanto su un reciproco scambio di like fine a se stesso: “tu mi piaci perché mi dici che io ti piaccio, e io ti piaccio perché ti dico che tu mi piaci”, senza che vi siano altri motivi che causino il piacere espresso. Ovviamente perché ciò possa avvenire ci deve essere una certa affinità di personalità e di gusti tra le persone che “si piacciono”.
Lo scambio di “like” non avviene solo nei social network, dove esiste un’apposita funzione per questo, ma anche nelle tradizionali conversazioni vocali, anche al di fuori di internet. E non è necessario che il “mi piace / mi piaci” sia esplicito. Questo messaggio, come quello opposto (“non mi piace / non mi piaci”) si legge facilmente tra le righe, attraverso il linguaggio non verbale.
Il problema è che la fame di like non si esaurisce mai, e si rinnova ogni giorno, ogni ora. Quando siamo a corto di like, o riceviamo dei “no like”, ci sentiamo soli, poveri ed emarginati, e perciò angosciati.
Insomma siamo tutti, chi più, chi meno, like-dipendenti.
L'io cosciente rivendica autonomia rispetto all'inconscio, incluso il diritto di ignorarlo o di modificare le sue logiche e i suoi automatismi attraverso una psicoterapia, un'autoterapia o esercizi di autocontrollo o di libero arbitrio.
Entrambi vorrebbero infatti avere l'ultima parola nel dirigere il comportamento del soggetto.
Tuttavia l'inconscio non tollera che l'io cosciente cerchi di opporsi alle sue scelte e usa le sue armi (inibizioni, paure, sentimenti dolorosi, disturbi psicosomatici ecc.) per neutralizzare le intrusioni del suo antagonista.
Perciò, per evitare autopunizioni, all'io cosciente conviene procedere con moderazione contro il suo inconscio, non troppo spesso e a piccole dosi di autocontrollo. In altre parole, all'io cosciente conviene capire quando è il momento di smetterla con le richieste di cambiamento delle proprie abitudini di comportamento.
Infatti l'inconscio è più forte, più importante ed infinitamente più complesso dell'io cosciente nell'economia della vita e nella regolazione della soddisfazione dei bisogni del soggetto.
Oltre agli innumerevoli automatismi biologici di vario livello funzionale, l'inconscio contiene, come ci insegna Luigi Anepeta, due "motori", o agenti mentali, di alto livello: il super-io e l'io antitetico. Le rispettive "politiche" sono strutturalmente in conflitto tra loro, e l'io cosciente si allea ora con l'uno, ora con l'altro.
Il super-io mira ad evitare l'isolamento sociale del soggetto e ad affermare la sua appartenenza ad una o più comunità, mente l'io antitetico mira a difenderne la libertà e l'individuazione contro qualsiasi costrizione e falsità culturale. Il super-io accetta gli altri come sono e tende ad imitarli, mentre l'io antitetico li critica e li sfida continuamente.
Il rapporto di forza tra i due agenti mentali varia da persona a persona e nel tempo in una stessa persona. L'io antitetico prevale (ma mai in modo definitivo) sul super-io in una minoranza di persone alle quali dobbiamo, più che ad altre, il progresso civile e l'evoluzione culturale.
Noi umani abbiamo bisogno gli uni degli altri; di conseguenza gioiamo quando ci sentiamo uniti e soffriamo quando ci sentiamo disuniti. La ricerca della socialità (nel senso di unione, integrazione, interazione, partecipazione, appartenenza, vicinanza, solidarietà ecc.), è infatti una delle motivazioni più importanti di ogni essere umano e causa di ansia quando non viene soddisfatta in una misura che il proprio inconscio ritiene sufficiente.
Per ridurre tale ansia abbiamo frequentemente bisogno di misurare e di affermare il livello della nostra integrazione sociale, e gli strumenti di misura e di affermazione che usiamo a tale scopo sono il rito e il rituale. Il primo è formale, codificato, rigido, consapevole; il secondo informale, non codificato, flessibile, per lo più inconscio.
Un rito consiste nello svolgimento di una cerimonia caratterizzata da una serie di atti formali rigidamente prestabiliti.
Un rituale consiste nello scambio di gesti e/o espressioni caratteristiche di una certa comunità, gruppo o categoria di persone, con regole formali più o meno rigide e margini di libertà più o meno ampi.
Partecipare ad un rito o mettere in scena un rituale servono dunque a confermare la propria appartenenza alla comunità di cui quel rito o quel rituale sono segni caratteristici.
Suppongo che l’uomo sia geneticamente predisposto alla creazione e all’apprendimento di riti e di rituali, le cui forme si sviluppano in modo diverso da cultura a cultura ed evolvono più o meno velocemente.
C’è un’infinità di attività umane che possono essere considerate e usate anche come rituali, o che hanno un senso e una ragione di esistere solo in quanto rituali. Alcuni esempi: scambiare saluti e auguri di buone festività, assistere ad un evento sportivo, visitare una mostra, fare acquisti, ascoltare musica, vedere un film, leggere un libro, conversare, discutere, suonare, cantare, ballare, giocare, fare sport, viaggiare, collezionare oggetti, coltivare piante, praticare arti, esibirsi davanti ad un pubblico, partecipare ad un social network, tenere un blog ecc.
Riassumendo, abbiamo bisogno di celebrare riti e di inscenare rituali per sentirci uniti, parti di una stessa comunità, per alleviare la nostra ansia e per godere del piacere che il sentimento di unione comporta. In tal senso, qualunque attività sociale può essere considerata rituale, specialmente a livello inconscio.
Una logica (cioè un pensiero, giacché un pensiero è sempre un esercizio logico) definisce certe classi di enti, stabilisce l'appartenenza di certi enti a certe classi e trae le "logiche" conseguenze cognitive ed emotive nella considerazione degli enti considerati.
"Essere" significa infatti "appartenere" a certe classi, e può essere coniugato nelle sei persone grammaticali come segue.
- Io appartengo a certe classi, dunque io sono certe cose.
- Tu appartieni a certe classi, dunque tu sei certe cose.
- Esso/essa appartiene a certe classi, dunque esso/essa è certe cose.
- Noi apparteniamo a certe classi, dunque noi siamo certe cose.
- Voi appartenete a certe classi, dunque voi siete certe cose.
- Essi/esse appartengono a certe classi, dunque essi/esse sono certe cose.
A mio avviso, i rituali sociali servono a manifestare l'appartenenza (di coloro che li celebrano) ad una stessa comunità e/o ad una certa relazione affettiva.
Il rituali più semplici e più diffusi sono il saluto e lo scambio di auguri in occasione di feste o altre occasioni religiose o laiche. Quando una persona A saluta o augura qualcosa a una persona B, il saluto o l'augurio costituiscono un messaggio implicito da A verso B il cui significato è: ti riconosco come membro della comunità a cui appartengo, e come amico, cioè come persona a cui sono affezionato e con cui desidero interagire e cooperare per il "nostro" bene comune; in sintesi: "ti voglio bene".
Il messaggio esplicito che il rituale trasmette può essere un augurio di buona salute, di salvezza in senso religioso, di passare gioiosamente un certo periodo di tempo, di avere successo in una certa occasione, ecc. Tuttavia tale messaggio è normalmente trascurabile e trascurato, in quanto i messaggi impliciti "apparteniamo alla stessa comunità", "ti riconosco come amico", "ti voglio bene" costituiscono i veri e unici motivi dei rituali.
I rituali legati a feste, specialemente se religiose, possono essere sgradevoli per persone atee, o devote a religioni diverse da quella a cui il rituale si riferisce, o per persone che hanno verso le feste in generale un atteggiamento critico. Infatti certe persone, per coerenza coi propri principi, evitano di celebrare i rituali tradizionali (come ad esempio scambiare auguri di buon Natale o di buon Ferragosto) col rischio di risultare antipatici ai tradizionalisti.
Per certe persone, che possiamo chiamare "antitradizionalisti" (categoria a cui mi onoro di appartenere), le feste tradizionali costituiscono infatti periodi di noia, di tristezza, e di pericolo, in quanto mettono in evidenza le differenze intellettuali e morali tra loro e gli altri, e rischiano di farli passare per arroganti e asociali agli occhi dei tradizionalisti.
Occorre tuttavia riconoscere che i rituali sono utili, se non indispensabili, per mantenere i legami sociali di affetto e di solidarietà tra le persone. Perciò credo che noi antitradizionalisti faremmo bene a inventare e a praticare rituali, ancorché diversi da quelli tradizionali.
Intendo dire che il significato esplicito dei nuovi rituali dovrebbe essere accettabile anche per le persone intellettualmente e moralmente più esigenti, essere adatto al nostro tempo e coincidere con il significato implicito di affetto, e di appartenenza ad una stessa comunità.
Contraddire un discorso equivale a dire che esso è falso, cioè che afferma come vere cose non vere o inesistenti.
Ogni umano ha paura di essere contraddetto da altri o di contraddire se stesso, perché ogni contraddizione equivale ad una diagnosi di stupidità, di ignoranza, di incapacità o di mala fede.
Ciò è dovuto al fatto che dimostrare di essere stupido, ignorante, incapace o bugiardo implica dimostrare di non essere degno di far parte della società (o di esserlo meno di altri) e per l’inconscio essere esclusi dalla società equivale ad una condanna a morte.
Una contraddizione costituisce un conflitto tra due affermazioni, che si negano e tendono a distruggersi reciprocamente, e, di riflesso, un conflitto tra i due agenti che le sostengono. Questi possono essere due persone oppure l’io cosciente e l’inconscio, due componenti dell’io cosciente, o due componenti dell’inconscio.
Gli esseri umani non perdono occasione per contraddirsi l’un l’altro, per dimostrare di saperla più lunga degli altri, di essere più degni di altri di far parte della società. Cercano in tal modo di dimostrare di essere più autorevoli e perciò di meritare un posto più alto di altri nella gerarchia dell’intelligenza e della dignità sociale. La contraddizione tra umani è dunque uno strumento di competizione sociale.
Per quanto riguarda la coscienza di se stessi, rendersi conto di fare affermazioni contraddittorie induce a perdere la fiducia in se stessi, e questa perdita è per l’individuo una catastrofe esistenziale. Infatti non aver fiducia in se stessi implica non poter contare su se stessi, sulle proprie capacità cognitive, ed essere esposti ad ogni derisione, disprezzo ed emarginazione da parte di coloro che dimostrano meno auto-contraddizioni.
La puara della contraddizione corrisponde a ciò che io chiamo "bisogno di coerenza", essendo la coerenza il contrario della contraddizione.
Per concludere, la contraddizione può essere un’arma di competizione e una minaccia di emarginazione sociale. Per questo siamo tutti così preoccupati di non “cadere” in qualche contraddizione e di non essere contraddetti dagli altri. Insomma, la contraddizione è una delle maggiori causa di ansia per gli esseri umani.
A mio parere, la cosa più importante per un essere umano, dopo la soddisfazione dei suoi bisogni fisici, è l’appartenenza ad una comunità o società, in quanto indispensabile per la sopravvivenza dell’individuo e la conservazione della sua specie. Possiamo chiamare tale necessità “bisogno di appartenenza o di integrazione sociale”. Si tratta di un bisogno primario o primordiale, ovvero scritto nel DNA, e fondamentale nel senso che da esso derivano una quantità di bisogni secondari e di desideri (consci e ancor più inconsci), che si sviluppano sulla base delle esperienze, come mezzi o strategie per soddisfare il bisogno principale.
Nel sistema nervoso umano, il bisogno di appartenenza si avvale di un sistema omeostatico di controllo che induce l’individuo a mantenersi integrato in una comunità. Il controllo viene realizzato mediante l’attivazione di sentimenti dolorosi di angoscia o paura, di intensità proporzionale alla percezione di un pericolo di perdita dell’integrazione, e di sentimenti piacevoli di gioia di intensità proporzionale alla percezione di un aumento dell’integrazione.
I bisogni sono causalmente concatenati nel senso che, ad esempio, la soddisfazione del bisogno A facilita la soddisfazione del bisogno B che a sua volta facilita la soddisfazione del bisogno C e così via fino al bisogno di appartenenza X. Tali concatenazioni sono in gran parte inconsce per cui se la soddisfazione del bisogno A provoca piacere, è probabile che in realtà quel piacere sia dovuto, nell'esempio di cui sopra, ad un’anticipazione della soddisfazione del bisogno X ovvero quello di appartenenza.
La mia ipotesi è che tutto ciò che l’uomo fa e da cui trae gioia, ha una valenza sociale (conscia o inconscia) positiva, ovvero favorisce direttamente o indirettamente l’integrazione sociale del soggetto, così come tutto ciò che l’uomo fa e da cui trae angoscia o paura ha una valenza sociale negativa, ovvero rischia di causare direttamente o indirettamente l’esclusione o l’emarginazione del soggetto dalla sua comunità di appartenenza, o l’assegnazione ad esso di un ruolo gerarchicamente meno favorevole.
Per concludere, per capire perché le persone fanno ciò che fanno e non fanno ciò che non fanno, può essere utile chiedersi: in quale misura ciò che fanno favorisce direttamente o indirettamente la loro integrazione sociale e in quale misura ciò che non fanno potrebbe causare direttamente o indirettamente una loro esclusione o penalizzazione sociale?
Nel sistema nervoso umano, il bisogno di appartenenza si avvale di un sistema omeostatico di controllo che induce l’individuo a mantenersi integrato in una comunità. Il controllo viene realizzato mediante l’attivazione di sentimenti dolorosi di angoscia o paura, di intensità proporzionale alla percezione di un pericolo di perdita dell’integrazione, e di sentimenti piacevoli di gioia di intensità proporzionale alla percezione di un aumento dell’integrazione.
I bisogni sono causalmente concatenati nel senso che, ad esempio, la soddisfazione del bisogno A facilita la soddisfazione del bisogno B che a sua volta facilita la soddisfazione del bisogno C e così via fino al bisogno di appartenenza X. Tali concatenazioni sono in gran parte inconsce per cui se la soddisfazione del bisogno A provoca piacere, è probabile che in realtà quel piacere sia dovuto, nell'esempio di cui sopra, ad un’anticipazione della soddisfazione del bisogno X ovvero quello di appartenenza.
La mia ipotesi è che tutto ciò che l’uomo fa e da cui trae gioia, ha una valenza sociale (conscia o inconscia) positiva, ovvero favorisce direttamente o indirettamente l’integrazione sociale del soggetto, così come tutto ciò che l’uomo fa e da cui trae angoscia o paura ha una valenza sociale negativa, ovvero rischia di causare direttamente o indirettamente l’esclusione o l’emarginazione del soggetto dalla sua comunità di appartenenza, o l’assegnazione ad esso di un ruolo gerarchicamente meno favorevole.
Per concludere, per capire perché le persone fanno ciò che fanno e non fanno ciò che non fanno, può essere utile chiedersi: in quale misura ciò che fanno favorisce direttamente o indirettamente la loro integrazione sociale e in quale misura ciò che non fanno potrebbe causare direttamente o indirettamente una loro esclusione o penalizzazione sociale?
A mio avviso, l'uomo, subito dopo aver soddisfatto il suo bisogno di appartenenza e integrazione sociale, sente il bisogno di occupare, nella comunità, le posizioni gerarchiche più alte a cui può accedere, nei ruoli e nelle aree di competenza in cui può competere. Il suo scopo è dunque quello di ottenere dagli altri il riconoscimento e l’accettazione, non solo della sua appartenenza (e quindi della sua dignità sociale), ma anche dei suoi ruoli e delle posizioni gerarchiche da lui auspicate negli ambiti di competenza.
Tale bisogno è causa di conflitti permanenti e di attività finalizzate a confermare l'appropriatezza (in senso meritocratico) delle proprie posizioni gerarchiche (presenti o desiderate), laddove gli altri sono sempre pronti a metterle in discussione in caso di defaillance o esitazioni del titolare.
Questa competizione avviene, a mio parere, in tutte le relazioni sociali tra due o più persone: in famiglia, nelle amicizie, nei rapporti di lavoro, nelle organizzazioni, in politica ecc. e riguarda vari tipi di autorità (intellettuale, morale, economica, accademica, scientifica, politica, artistica, sportiva ecc.) e alcune caratteristiche personali come il coraggio, la forza fisica, la bellezza, la potenza sessuale, l'eleganza, le abilità e conoscenze lavorative ecc. In parole povere, ognuno cerca di dimostrare di “saperla più lunga” o di essere più forte o migliore dell’altro in qualche campo, per occupare le posizioni gerarchiche, e quindi di potere e prestigio, più alte possibili.
La competizione permanente può essere causa di stress, frustrazioni, conflitti distruttivi, ma anche di progresso civile, scientifico, intellettuale e morale. Essa può essere inoltre causa di nevrosi e psicopatologie qualora venga negata o mistificata in quanto “politicamente scorretta”. Mi riferisco, per esempio, a certi insegnamenti religiosi e a certe psicologie, filosofie e pedagogie “buoniste” che considerano la competizione sociale come qualcosa di morboso o innaturale, effetto di un’educazione “errata”. Come possibili conseguenze di tali ideologie, molte persone vivono la propria inevitabile competizione in modo mistificato, ipocrita, attraverso forme nascoste, rimosse, sublimate, in un “doppio vincolo” schizofrenico, tra il bisogno di competere e quello di negare (a se stessi e agli altri) l'esistenza della competizione stessa. Paradossalmente, ad esempio, anche la ricerca della santità è un'attività competitiva, come pure la scrittura di questo articolo.
Tale bisogno è causa di conflitti permanenti e di attività finalizzate a confermare l'appropriatezza (in senso meritocratico) delle proprie posizioni gerarchiche (presenti o desiderate), laddove gli altri sono sempre pronti a metterle in discussione in caso di defaillance o esitazioni del titolare.
Questa competizione avviene, a mio parere, in tutte le relazioni sociali tra due o più persone: in famiglia, nelle amicizie, nei rapporti di lavoro, nelle organizzazioni, in politica ecc. e riguarda vari tipi di autorità (intellettuale, morale, economica, accademica, scientifica, politica, artistica, sportiva ecc.) e alcune caratteristiche personali come il coraggio, la forza fisica, la bellezza, la potenza sessuale, l'eleganza, le abilità e conoscenze lavorative ecc. In parole povere, ognuno cerca di dimostrare di “saperla più lunga” o di essere più forte o migliore dell’altro in qualche campo, per occupare le posizioni gerarchiche, e quindi di potere e prestigio, più alte possibili.
La competizione permanente può essere causa di stress, frustrazioni, conflitti distruttivi, ma anche di progresso civile, scientifico, intellettuale e morale. Essa può essere inoltre causa di nevrosi e psicopatologie qualora venga negata o mistificata in quanto “politicamente scorretta”. Mi riferisco, per esempio, a certi insegnamenti religiosi e a certe psicologie, filosofie e pedagogie “buoniste” che considerano la competizione sociale come qualcosa di morboso o innaturale, effetto di un’educazione “errata”. Come possibili conseguenze di tali ideologie, molte persone vivono la propria inevitabile competizione in modo mistificato, ipocrita, attraverso forme nascoste, rimosse, sublimate, in un “doppio vincolo” schizofrenico, tra il bisogno di competere e quello di negare (a se stessi e agli altri) l'esistenza della competizione stessa. Paradossalmente, ad esempio, anche la ricerca della santità è un'attività competitiva, come pure la scrittura di questo articolo.
Ogni essere umano è parte di uno o più sistemi sociali, il che significa che esso interagisce in modo simbiotico con le altre parti di ciascun sistema a cui appartiene (cioè con le altre persone e i loro prodotti), scambiando beni, servizi, informazioni, contatti fisici, intimità ecc.
Un essere umano sano di mente non può vivere senza far parte di un sistema sociale, cioè senza interagire con altre persone secondo le regole del sistema stesso. Tali regole sono sono formali e semantiche, cioè consistono in forme, norme, obietttivi, valori e disvalori su cui i contraenti sono d'accordo.
Un sistema sociale può essere una coppia, una famiglia, un gruppo di amici, una comunità, un'azienda, una cooperativa, un villaggio, una città, un'associazione, una patria o qualsiasi altra cosa dotata di regole di appartenenza specifiche, più o meno diverse da quelle che caratterizzano altri sistemi sociali.
Per appartenere ad un sistema sociale è necessario confermare l'appartenenza ad esso mediante appositi atti e interazioni. Tali atti comprendono un certo modo di vestire, certi comportamenti e non comportamenti, conversazioni su certi temi e non su certi altri, giochi e, in generale, il rispetto di certe forme, tradizioni e consuetudini.
Per esempio, quando due persone appartenenti allo stesso sistema sociale si incontrano, esse debbono riconoscersi mediante saluti, gesti o conversazioni pacifiche, ovvero debbono scambiare o condividere qualcosa.
Si dice che ogni essere umano abbia bisogno di riconoscimento. Infatti, il riconoscimento di cui abbiamo bisogno è la rinnovata conferma che apparteniamo allo stesso sistema sociale di chi ci riconosce. Il riconoscimento è dunque una rassicurazione di appartenenza ad un sistema sociale di cui abbiamo bisogno di far parte e dal quale abbiamo paura di essere esclusi.
Senza una ricorrente rassicurazione di appartenenza ad un sistema sociale desiderato, la psiche sviluppa una crescente ansia, per evitare la quale le persone sono spinte a incontrare altre persone e a scambiare con esse segni di riconoscimento in qualsiasi forma, la più semplice delle quali consiste nel fare insieme cose simili, come, ad esempio, assistere ad uno spettacolo sportivo o musicale o partecipare ad una funzione religiosa.
E io, di quali sistemi sociali faccio parte, voglio far parte o non voglio far parte, e in quali ruoli?
Per un essere umano sano di mente è impossibile non far parte di uno o più sistemi sociali, in uno o più ruoli tipici di ciascun sistema. Possiamo solo, eventualmente, scegliere il sistema sociale di cui vogliamo far parte, i ruoli che in esso vogliamo giocare e, in minima misura, contribuire a cambiare le regole del gioco del sistema stesso.
A mio parere, l'uomo ha una tendenza innata a sottomettersi agli "altri", intendendo con questa parola non singoli individui, ma ciò che George H. Mead definisce come "Altro generalizzato". Si tratta di un ente mentale che potremmo chiamare anche "spirito della comunità", riferendoci alla comunità soggettiva e ideale a cui ognuno vorrebbe appartenere, caratterizzata da particolari aspetti culturali, intellettuali, economici, estetici, etici, religiosi, ecc.
L'uomo, infatti, non può esistere né soddisfare i propri bisogni al di fuori di una comunità e il dramma esistenziale di ognuno consiste nel trovare e mantenere un posto sostenibile in una comunità sostenibile, vale a dire una comunità e un posto tali da permettergli di soddisfare in modo stabile e inesauribile tutti i propri bisogni.
La sottomissione è dunque funzionale all'appartenenza, anzi, ne è condizione imprescindibile. In termini sistemici si può infatti dire che un ente non può far parte di un sistema se non viene accettato dal sistema stesso, cioè se le altre parti non accettano di interagire con l'ente in questione in modo cooperativo.
L'ente che vorrebbe entrare a far parte di un sistema deve dunque adattarsi al sistema (e non viceversa), anche se una parte può, in condizioni particolari e in una certa misura, modificare il sistema stesso. Questo vale anche per un individuo che aspira a far parte di una comunità.
Dal momento che le comunità moderne sono molto numerose e fluide in termini di prerequisiti, un individuo ha una certa libertà di scelta sia relativamente alle comunità a cui appartenere, sia per quanto riguarda i ruoli da giocare nelle stesse. Tuttavia, una volta effettuata tale scelta, all'individuo non resta che sottomettervisi, per godere dei benefici derivanti dall'appartenenza alla comunità e per non rischiare di perderli. Vale a dire che l'individuo, dopo aver esercitato la libertà di scelta, deve rinunciare all'ulteriore esercizio di tale libertà in virtù della stabilità acquisita. D'altra parte, la sottomissione è una fonte di piacere (di cui il soggetto è più o meno consapevole) in quanto motivo di soddisfazione e di sicurezza.
Un individuo potrebbe tuttavia ritrovarsi sottomesso a comunità e/o a ruoli che non soddisfano sufficientemente i propri bisogni. In questo caso la sottomissione è causa di frustrazione, conflitto o paura e può dar luogo alla ricerca di nuove comunità o di nuovi ruoli nella comunità di appartenenza.
Riassumendo, la soddisfazione dei bisogni e la sicurezza di un essere umano sono normalmente legati alla sua sottomissione a certe comunità e a certi ruoli nelle stesse. Quando le comunità e i ruoli soddisfano sufficientemente i bisogni dell'individuo, questo prova piacere nella sottomissione. In caso contrario, la teme.
L'ansia (che è forse il disagio mentale oggi più diffuso) potrebbe essere causata da un senso di colpa verso la comunità, cioè dalla supposizione inconscia di non aver compiuto abbastanza i propri doveri verso di essa, e di meritare perciò di esserne espulsi o emarginati.
Se ciò fosse vero, la terapia potrebbe consistere nello stabilire quale sia la comunità di riferimento, quali i doveri e quali le colpe, ovvero i doveri non assolti, i debiti non pagati, gli impegni non mantenuti.
Oppure (seconda ipotesi) l'ansia potrebbe essere causata dalla paura che i membri della comunità scoprano che il soggetto non si sente legato alla comunità stessa, non si sente parte di essa, ovvero è emotivamente estraneo e indifferente o perfino ostile ad essa. Nel caso tale estraneità o ostilità venisse scoperta, il soggetto sarebbe automaticamente espulso dalla comunità.
Mentre nella prima ipotesi il problema è risolvibile compiendo i dovuti doveri e ottenendo così il perdono da parte degli altri membri della comunità, nella seconda ipotesi il problema potrebbe essere irrisolvibile e irreparabile, specialmente dal punto di vista dell'inconscio.
Potremmo definire la seconda ipotesi la "sindrome della spia" dato che, nel caso la verità venisse scoperta, il soggetto diventerebbe automaticamente, inesorabilmente e notoriamente, un pubblico nemico della comunità.
Quanto sono realistici i rischi e i pericoli nelle due ipotesi? Direi molto poco, perché gli altri probabilmente non si curano del soggetto, dei suoi doveri, o delle sue eventuali finzioni, o se ne curano molto meno di quanto il soggetto creda. D'altra parte gli altri potrebbero avere gli stessi problemi del soggetto, o anche di più gravi.
In ogni caso, va detto che oggi viviamo in una società in cui il senso di comunità si viene sempre più perdendo, e con esso i problemi di fedeltà comunitaria. In altre parole, non c'è ormai quasi più nulla a cui essere fedele. La faccenda ha quindi un lato negativo e uno positivo. Resta il fatto che l'uomo ha un bisogno genetico di appartenenza a una o più comunità (a causa della nostra interdipendenza), e la frustrazione di tale bisogno ha probabilmente conseguenze patologiche.
Sia come sia, ciò che conta è essere rispettati e possibilmente benvoluti dalle persone che incontreremo, indipendentemente dalle comunità di riferimento. A tal fine la prima regola è quella di non criticare i nostri interlocutori, né direttamente, né indirettamente, ovvero di nascondere le nostre critiche nel modo più sicuro.
In questo ci verrà in aiuto l'autocensura inconscia, che ci spingerà in ogni momento a chiederci se ciò che stiamo facendo o che ci accingiamo a fare è socialmente rischioso, ovvero con quante probabilità attirerà su di noi antipatie o ostilità da parte delle persone della cui benevolenza abbiamo bisogno.
Per concludere, una semplice regola per evitare i sensi di colpa, sarebbe quella di non fare, per quanto possibile e opportuno, cose che non possano essere raccontate pubblicamente senza imbarazzo.
Di ogni cosa (situazione, evento, sistema, storia, racconto, oggetto, concetto, espressione, messaggio, persona, idea ecc.) si può (e potrebbe essere utile) fare l'analisi delle appartenenze, cioè cercare di stabilire chi/cosa appartiene a chi/cosa.
Un'appartenenza può essere desiderata, agognata, necessaria, temuta, ostacolata, comandata, punita, abbandonata, cambiata, trasformata, finta, simulata, manifestata, confermata, ecc.
Tutto ciò che un essere umano fa, e ciò che non fa, per quanto riguarda le relazioni interpersonali e sociali, ha a che fare con appartenenze.
Pertanto, per capire perché un essere umano fa (o non fa) certe cose di rilevanza sociale, dobbiamo cercare le appartenenze che si giocano nelle sue relazioni interpersonali, dobbiamo fare l’analisi delle sue appartenenze attuali e potenziali, desiderate e non desiderate.
L’uomo è pronto a combattere e persino a sacrificare la propria vita per acquisire o per liberarsi da un’appartenenza, o per dichiarare la sua appartenenza o non appartenenza ad un certo insieme sociale.
Tuttavia un’appartenenza sociale, per essere tale, deve essere riconosciuta dagli altri, e l’uomo fa di tutto per ottenere tale riconoscimento.
L’identità sociale di un essere umano consiste nelle sue appartenenze attive e passive, cioè nelle cose a cui appartiene e nelle cose che gli appartengono. Questi due insiemi di cose sono interdipendenti, perché le appartenenze di un individuo X a certi insiemi sociali dipendono dalle cose che appartengono a X, e le cose che appartengono a X dipendono dalle appartenenze di X a certi insiemi sociali.
Il valore attribuito ad un certo insieme sociale si ripercuote e si riflette sul valore personale di tutti i suoi membri, anzi, lo determina. Questo spiega perché è importante per certe persone valorizzare e difendere la reputazione degli insiemi sociali a cui appartengono: perché è un modo per valorizzare se stessi e difendere la propria reputazione.
Le appartenenze sociali di due individui possono avere caratteristiche più o meno simili, nel senso che possono avere proprietà comuni e proprietà non comuni. Quanto più le loro appartenenze coincidono, tanto più facile e cooperativo è il rapporto tra i due individui. Quanto più esse si differenziano, tanto più difficile e competitivo è il loro rapporto.
È impossibile capire la società senza capire le appartenenze (reali o presunte, desiderate o indesiderate) che sono alla base delle interazioni sociali.
Anche il fatto di scrivere questo testo ha a che vedere con le appartenenze. Probabilmente lo sto scrivendo per affermare la mia appartenenza ad una certa categoria di persone e per cercare riconoscimenti in tal senso.
Uno dei bisogni umani più importanti e potenti è quello di condivisione. Abbiamo infatti una insopprimibile necessità di condividere con altri sia cose materiali, come spaziotempo e oggetti, sia informazioni, ovvero idee, conoscenze e i valori (o disvalori) ad esse associati.
D'altra parte il concetto stesso di valore implica quasi sempre una condivisione. E' infatti difficile pensare a qualcosa che abbia valore solo per un individuo e per nessun altro.
Ci sono diversi tipi di condivisione, e quindi di valore o disvalore. Seguono alcuni esempi.
Primo esempio: il denaro. Esso vale solo se è riconosciuto come valido, ovvero come strumento di scambio per ottenere beni o servizi, da più di una persona. Il suo valore è dunque condiviso.
Altro esempio: un vestito. Se si tratta di un vestito che indosso solo in casa e che nessuno può vedere al di fuori di me, il suo valore è individuale e privato, nel senso che mi serve solo per proteggere la mia pelle da freddo, attriti e sporcizia. Ma se lo indosso in presenza di altri, esso ha anche una valenza sociale perché mi qualifica agli occhi altrui, a seconda della sua fattura, come appartenente ad una certa categoria sociale o tipo psicologico, e perché potrebbe avere un effetto estetico più o meno attraente o repellente agli occhi di chi lo vede.
Altro esempio: una particolare professione. Essa ha una valenza sociale in quanto serve gli interessi di qualcun altro, e se mi qualifica come appartenente ad una certa categoria sociale, oppure se ha un effetto estetico più o meno attraente o repellente agli occhi altrui. Una professione implica perciò diverse condivisioni di utilità e significati.
Altro esempio: un'attività collettiva, come assistere ad una messa o a un evento sportivo. Essa mi qualifica agli occhi altrui come appartenente ad una certa categoria sociale e mi permette di partecipare ad un rito sociale, condiviso per definizione. In tal caso vengono condivisi sia la categoria sociale di appartenenza, sia il rito stesso, dove l'uno è funzionale rispetto all'altro essendo una categoria sociale caratterizzata dalla celebrazione collettiva di certi riti.
Altro esempio: ballare con un'altra persona. In tal caso viene condiviso lo spazio (essendo i danzanti in contatto fisico), il ritmo e i movimenti, oltre all'appartenenza a una certa categoria sociale e il rito che il ballo in un certo senso costituisce.
Si potrebbero fare infiniti altri esempi. Si può dire, in generale, che in tutte le attività sociali ci sia qualche sorta di condivisione: di linguaggio, spazio, tempo, energie, movimenti, beni, simboli, gesti, sostanze, valori etici ed estetici ecc.
Si potrebbe anche dire che la condivisione serva a se stessa, nel senso che attraverso la condivisione di qualcosa si possono condividere altre cose, oppure che una condivisione tira l'altra. D'altra parte, chi non condivide nulla è solo, isolato, e quindi a rischio di morte e di follia.
Per quanto sopra, possiamo concludere che ogni comportamento umano è motivato, consciamente e ancor più inconsciamente, dal desiderio di condividere qualcosa con qualcuno, o di eliminare un ostacolo (reale o presunto) a qualche condivisione. Questa riflessione dovrebbe aiutarci a comprendere perché qualcuno fa ciò che fa anche quando quell'azione ci sembra strana, inspiegabile o deleteria.
Quello che comunemente s’intende per “identità” è l’appartenenza ad un certo insieme, o a più di uno. Infatti letteralmente identità significa essere identici a qualcosa. Escludendo l’auto identità (cioè l’idea che ogni cosa sia uguale a se stessa) in quanto inutile e insignificante, restano due tipi di identità: l’identità “uno-a-uno” e l’identità “uno-a-molti”.
L’identità “uno-a-uno” è il caso in cui una cosa (oggetto, persona, informazione ecc.) sia identica ad un’altra cosa distinta da sé. Ad esempio se io dico che A = B o che A è identico a B, sto dicendo che A e B, pur essendo separati, sono identici, cioè hanno la stessa composizione, struttura, forma. Due gocce d’acqua sono, ad esempio, “praticamente” identiche, anche se ci potrebbero essere differenze microscopiche.
L’identità “uno-a-molti” significa che una cosa è identica ad una moltitudine (gruppo, insieme) di altre cose, ovvero a ciascun membro di tale moltitudine. Ad esempio potremmo dire che la cosa A appartiene all’insieme B, laddove tutti i membri dell’insieme B hanno qualcosa in comune pur non essendo completamente e perfettamente identici.
L’identità di una cosa, specialmente se la cosa è una persona (in tal caso potremmo dire che la cosa in esame appartiene alla categoria “persone”), è problematica in quanto può essere vera solo in parte. intendo dire che perché l’affermazione “A si identifica con l’insieme B” sia vera, è necessario che tutti i membri dell’insieme B siano tra loro identici e che A sia identico a ciascuno di essi. Tutto ciò è ovviamente quasi mai vero quando si parla di esseri viventi, e di esseri umani in particolari. Siamo infatti tutti diversamente uguali, cioè uguali e diversi allo stesso tempo. Uguali in certi aspetti, diversi in certi altri.
Insomma, sarebbe meglio non usare il termine “identità” se non in contesti matematici o di uguaglianze perfette e di assenza di varietà. In quanto al termine “appartenenza”, che è molto più preciso e significativo del termine “identità”, esso dovrebbe comunque essere usato con cautela, dal momento che gli insiemi a cui riteniamo che una cosa appartenga non sono quasi mai precisamente definiti, e i membri di tali insiemi non sono quasi mai tra loro identici, se non idealmente. D’altra parte il nostro inconscio tende spesso a trascurare, a non vedere le differenze tra le cose e tra le persone, per una esigenza di semplicità.
Il nostro cervello, infatti, aborrisce la complessità e tende a semplificare la realtà per poterla gestire più rapidamente e agevolmente. Dovremmo sempre tener conto di questa nostra tendenza alla generalizzazione, cioè alla indifferenziazione, in quanto costituisce un’aberrazione, distorsione o livellamento della realtà. Infatti, più si generalizza, più si perdono informazioni, ovvero differenze tra le cose.
Gregory Bateson ci ha insegnato che “informazione” è una differenza che fa una differenza. Perciò, più informazioni perdiamo, più occasioni perdiamo di fare differenze, cioè di cambiare la società.
Qualche giorno fa un mio amico mi ha chiesto: che significa per te “appartenere”?
Siccome secondo me non dovremmo dare alle parole il significato che ci garba, ma quello definito da vocabolari autorevoli, sostituirei la domanda iniziale con quelle seguenti:
- che significa “appartenere” nella nostra lingua?
- a quali cose ritengo di appartenere?
- cosa comportano, secondo me, certe appartenenze?
(Introduzione al caffè filosofico del 3/11/2022 sul tema «Individuo e comunità - libertà, dominio e appartenenza»)
Un essere umano non può fare a meno degli altri. In altre parole, noi umani siamo tutti interdipendenti, nel senso che per soddisfare i nostri bisogni abbiamo bisogno della cooperazione di un certo numero di altri. Coloro che riescono a sopravvivere in un perfetto isolamento sociale costituiscono rare eccezioni, e comunque, il loro isolamento può essere da essi tollerato solo dopo un lungo periodo passato a contatto con altri umani.
Una comunità consiste in un insieme di relazioni tra esseri umani accomunati da una certa lingua e da certe regole di convivenza, grazie alle quali è possibile la cooperazione indispensabile per la loro sopravvivenza e la soddisfazione dei loro bisogni.
Appartenere ad una comunità implica dunque sia il possesso della comune lingua, sia il rispetto delle regole di convivenza che caratterizzano la comunità stessa. Vale a dire che coloro che appartengono ad una comunità non sono liberi di comportarsi in modi che infrangono le regole stesse,o di comunicare usando una lingua incomprensibile per gli interlocutori.
In altre parole, l’appartenenza ad una comunità implica una limitazione della propria libertà, nel senso del rispetto degli obblighi e dei divieti che costituiscono le regole di convivenza della comunità stessa.
Una comunità può essere costituita da comunità più piccole, e un individuo può appartenere a diverse comunità, come uno stato, una famiglia, un'organizzazione, un’azienda, un’associazione, un club, una comitiva, una chiesa ecc.
In certi casi un individuo può scegliere liberamente le comunità a cui desidera appartenere; in altri casi l’appartenenza è involontaria, e in casi estremi, obbligatoria e non modificabile.
Quando le regole di convivenza di una comunità sono troppo stringenti rispetto ai bisogni e ai desideri di un individuo, questo si sente dominato, prevaricato o oppresso da essa. Tuttavia il sentimento di oppressione è soggettivo, nel senso che in una stessa comunità, tale sentimento può essere provato solo da alcuni, e in diversa misura.
L’appartenenza ad una comunità implica un certo status (in termini di poteri e/o di prestigio). Le due cose sono collegate. Infatti, tanto minore è lo status con il quale si appartiene ad una certa comunità, tanto più debole è l’appartenenza e tanto maggiore il rischio di emarginazione e di esclusione dalla comunità stessa. Inoltre, quasi sempre uno status più alto implica una maggiore libertà e un minore senso di oppressione, e viceversa.
Per concludere, credo che faremmo bene ad analizzare criticamente le regole di convivenza delle comunità a cui apparteniamo, a chiederci quanto esse siano compatibili con i nostri bisogni e desideri, quanto siano per noi oppressive, quanto siano produttive o controproducenti in termini di cooperazione, e quanto possano essere migliorate in termini di soddisfazione dei bisogni nostri e altrui. Una volta risposto a tali domande, resta da chiedersi cosa possiamo fare per migliorare la situazione, se migliorabile, e se sia opportuno migrare verso una comunità più adatta a noi.
Per sopravvivere e soddisfare i propri bisogni, l’uomo deve appartenere a un ambiente che gli fornisce (o lo aiuta a trovare) ciò di cui necessita. Per "appartenere" intendo il fatto di essere ecologicamente parte di qualcosa di più grande.
Per appartenere ad un ambiente, un essere vivente deve soddisfare i requisiti minimi da esso imposti, primo tra tutti, quello di tollerare l'ambiente stesso. Tuttavia, in una certa misura, l’individuo può anche contribuire a modificare l’ambiente e quindi i suoi requisiti.
Tranne nei casi di parassitismo, ogni essere vivente facente parte di un ambiente deve contribuire alla vita dell’ambiente stesso, cioè dare alle altre parti del sistema ecologico qualcosa di cui esse hanno bisogno.
Nel caso dell’ambiente sociale, i requisiti di appartenenza consistono in forme, norme e valori delle comunità a cui l’individuo deve adeguarsi per essere accettato.
L’appartenenza di un individuo ad una comunità gli permette di interagire in modo cooperativo con altri individui per un comune vantaggio diretto o indiretto. Se il vantaggio non è reciproco, l'interazione si può definire parassitaria nei confronti di chi viene sfruttato.
L’interazione cooperativa tra due individui è regolata dalle norme della comunità di appartenenza. Queste norme definiscono le forme e i significati di interazioni, scambi, gesti, segnali ecc. e specificano i ruoli, i diritti, i doveri, i permessi e i divieti da rispettare.
Le regole di interazione sono stabilite e somministrate da persone che rivestono il ruolo di autorità morali e/o politiche della comunità, le quali fungono anche da giudici in caso di contenzioso.
La cooperazione tra individui richiede normalmente una gerarchia di potere attraverso la quale vengono stabilite e imposte (a tutti i livelli) direttive su ciò che i membri della comunità debbono e non debbono fare (specialmente in caso di disaccordo). Anche le autorità morali e politiche della comunità sono organizzate gerarchicamente, per cui debbono sottostare alle prescrizioni dei superiori.
Le posizioni della gerarchia sono oggetto di competizione, nel senso che ogni membro della comunità aspira ad occupare le posizioni più alte possibili in base alle proprie capacità. In caso di competizione per una certa posizione, è l’autorità di livello superiore che stabilisce chi debba occuparla.
La competizione può essere non violenta (cioè avvenire secondo regole che i contendenti rispettano) o violenta (se uno o entrambi i contendenti agiscono al di fuori delle regole convenute, oppure non vi è accordo su alcuna regola). A volte, inoltre, le regole convenute vengono cambiate unilateralmente nel corso del conflitto.
A complicare le cose ci sono i conflitti più o meno violenti tra diverse comunità che non riescono a fondersi in un unico organismo sociale. In tal caso l'individuo si trova a dover scegliere con quale comunità e contro quale stare, non essendo quasi mai consentita la neutralità.
Quanto sopra costituisce un possibile paradigma del comportamento sociale dell’uomo in senso relazionale ed ecologico. Tale paradigma esclude narrazioni di tipo religioso, spiritualistico, metafisico o ontologico.
A mio parere, la psicologia dell'individuo (di cui ho trattato ampiamente altrove) è funzione del paradigma sopra descritto, nel senso che la psiche serve a gestire le relazioni sociali che permettono all’individuo di soddisfare i propri bisogni. Ciò avviene attraverso l’appartenenza ad una o più comunità, la rispondenza ai requisiti da esse imposti, l’interazione cooperativa con gli altri, il rispetto delle gerarchie e la competizione per le posizioni migliori nelle stesse.
A mio parere, "essere" significa appartenere ad una o più persone o categorie di persone, che nel seguito chiameremo "enti di appartenenza" o semplicemente "enti".
Così, ad esempio, una donna che pensa di essere bella (o brutta) pensa in realtà di appartenere alla categoria sociale delle donne belle (o brutte), con tutto ciò che tale appartenenza (più o meno reale o presunta, cioè più o meno riconosciuta dagli altri) comporta.
Gli "enti" (come sopra definiti) sono costrutti mentali più o meno condivisi con altre persone e caratterizzati da certe forme, norme, valori, vantaggi e/o svantaggi sociali.
L'appartenenza ad un ente è determinata da varie condizioni comportamentali, specialmente quelle di tipo mimetico, legate alla capacità di riprodurre i segni e i comportamenti caratteristici dell'ente di appartenenza, affinché essi siano "riconoscibili" dalle altre persone.
Come detto sopra, a ciascun ente sono associati particolari attributi, per cui l'appartenenza ad un certo ente implica (e richiede) che l'individuo sia "portatore" degli attributi caratteristici dell'ente stesso e di conseguenza detentore dei vantaggi e svantaggi sociali associati.
Per capire il comportamento dell'uomo e le sue espressioni verbali e non verbali, è allora spesso utile sostituire il verbo "essere" con il verbo "appartenere", tenendo presente che il bisogno fondamentale dell'uomo è quello di appartenere ad una (o più) comunità, a causa dell'interdipendenza caratteristica della nostra specie.
Tuttavia, a causa delle spinte competitive, la società è strutturata in gruppi contrapposti potenzialmente o francamente ostili o competitori ciascuno rispetto agli altri, per cui l'appartenenza ad un certo gruppo o ente può implicare (e richiedere) la non appartenenza a certi altri. In altre parole, le appartenenze possono essere mutuamente esclusive.
Perciò, accanto al bisogno e al desiderio di appartenere a certi enti, c'è normalmente il bisogno e il desiderio di non appartenere a certi altri.
La vita sociale è un gioco di appartenenze, in cui ognuno cerca di appartenere a certi enti per lui vantaggiosi (o ritenuti tali), e di dimostrarlo, ovvero di ottenere dagli altri il riconoscimento e l'accettazione delle appartenenze stesse. Il che è come dire che ognuno vorrebbe che gli altri lo riconoscano e lo accettino per come "è" o come crede di "essere" o vorrebbe "essere".
Molti disagi e disturbi mentali possono essere dovuti al bisogno di appartenere a enti mutuamente esclusivi, o, più in generale, alla frustrazione di non poter appartenere ad enti a cui si ha bisogno (o un forte desiderio) di appartenere.
L'appartenenza ha un aspetto qualitativo, uno funzionale e uno quantitativo. Il primo si riferisce al tipo di comunità, il secondo al ruolo del soggetto e il terzo alla sua posizione gerarchica nella comunità stessa. Quando si desidera appartenere, dunque, si desidera appartenere ad un certo ente, in un certo ruolo e in una certa posizione gerarchica (nelle varie gerarchie: politica, economica, etica, estetica, intellettuale, sessuale ecc ).
Tutto va bene quando l'aspirazione ad una certa appartenenza da parte di un soggetto è riconosciuta e accettata dagli altri, i problemi nascono quando c'è disaccordo o incomprensione sulle rispettive appartenenze attuali o desiderate.
Alla luce di quanto sopra, possiamo dire che ognuno crede di appartenere a certi enti, non crede di appartenere a certi altri, vorrebbe appartenere a certi enti, non vorrebbe appartenere a certi altri, e pensa che certe persone appartengano a certi enti e non a certi altri, con le relative conseguenze cognitive, emotive e motivazionali, e i pre-giudizi del caso.
È importante notare che le appartenenze non sono qualcosa di individuale che ognuno può concepire, o inventare, né qualcosa di oggettivo, ma consistono in convenzioni sociali, nel senso che non hanno significato, né valore o validità, che nella misura in cui vengono "riconosciute" dagli altri.
Il complemento grammaticale del verbo “appartenere” che risponde alla domanda "a che cosa?" è un “insieme”, il quale può essere un sistema o una classe. In altre parole le cose, le persone, gli oggetti, le idee, gli eventi ecc. (che chiamo collettivamente “enti”), appartengono a determinati insiemi, cioè a determinati sistemi e/o classi.
Un “sistema” è un insieme concreto (vivente o non vivente) organizzato, cioè costituito da parti (o sottosistemi) che interagiscono al fine di soddisfare i propri bisogni e/o di realizzare le funzioni del sistema stesso. Un sistema può essere meccanico, informatico, biologico, mentale, sociale, ecc. Può essere generato (formato, costruito) casualmente, a seguito di una evoluzione biologica, o “intenzionalmente” da un essere intelligente (come l’homo sapiens o un primate).
Una classe è un insieme cognitivo (cioè un’astrazione) caratterizzato da certe proprietà (ovvero caratteristiche), tali che tutti i membri (ovvero gli oggetti o gli enti) appartenenti a quella certa classe possiedono gli attributi caratteristici della classe stessa.
Non esiste alcunché che non appartenga a uno o più sistemi e/o classi, e la conoscenza umana consiste nello stabilire a quali “cose” (cioè a quali insiemi) gli enti riconoscibili appartengano, in termini di sistemi e/o di classi, e quali siano le proprietà dei sistemi e della classi di appartenenza.
Lo sviluppo della mente di un essere umano consiste nella formazione e accumulazione di classi e di modelli di sistemi nella memoria individuale, in modo da consentire all'individuo il riconoscimento di enti in quanto membri di classi e/o parti di sistemi caratterizzati da certe proprietà e da certe funzioni.
Per “classificazione” intendo l’associazione di un ente con una o più classi. In altre parole, classificare significa affermare che un certo ente è membro di certe classi.
Per “sistematizzazione” intendo l’individuazione di un ente come parte di uno o più sistemi.
Un’appartenenza implica delle aspettative, nel senso che se io penso che un ente X appartenga ad una classe Y o a un sistema Z, mi aspetto che X abbia le caratteristiche tipiche della classe Y o che si comporti (cioè che agisca e reagisca) come parte del sistema Z.
Il riconoscimento di un ente particolare deve quindi essere preceduta dalla definizione delle classi e/o dei sistemi a cui si ritiene che essa appartenga. Tuttavia la formazione delle classi e dei modelli di sistemi avviene attraverso le esperienze di enti non ancora classificati e non ancora sistematizzati.
Un essere umano classifica e sistematizza se stesso e gli altri, nel senso che stabilisce in modo più o meno temporaneo o persistente, a quali classi e a quali sistemi egli stesso, e gli altri, appartengano.
L’identità sociale, o immagine sociale, di un essere umano consiste nella enumerazione delle classi e dei sistemi (biologici e sociali) predefiniti a cui si ritiene che esso appartenga.
Per un essere umano una classe/sistema è, ad esempio, una comunità culturale o subculturale, un gruppo, un partito politico, una categoria professionale, un movimento intellettuale, un tipo psicologico, un tipo etinico, un tipo fisico ecc.
Le appartenenze di un essere umano sono spesso problematiche in quanto costrittive, nel senso che un’appartenenza comporta una certa persistenza di attributi e di funzioni, che non possono essere cambiati liberamente, pena la perdità di identità sociale, e l’impossibilità di classificare, ovvero di qualificare una persona, e se stessi.
Questo articolo è stato scritto da ChatGPT in risposta al mio prompt seguente: "Il dramma dell'esistenza umana consiste nell'affrontare continuamente due dilemmi inconciliabili nei rapporti con gli altri e nei rapporti tra la propria coscienza e il proprio inconscio: il dilemma tra appartenenza e libertà, e quello tra collaborazione e competizione."
Scrivi un piccolo saggio filosofico e psicologico che sviluppa questo aforisma.
La condizione umana è segnata da una tensione permanente, una dialettica irrisolta che attraversa tanto i rapporti interpersonali quanto quelli interiori. L’essere umano, in quanto animale sociale dotato di coscienza riflessiva, si trova a vivere due dilemmi fondamentali: da un lato, quello tra appartenenza e libertà, dall’altro, quello tra collaborazione e competizione. Questi dilemmi, lungi dall’essere occasionali, costituiscono l’ordito stesso dell’esistenza.
Il bisogno di appartenenza e il desiderio di libertà
L’essere umano nasce radicalmente dipendente: ha bisogno dell’altro per sopravvivere, crescere, apprendere. Da qui nasce il bisogno di appartenenza, di essere accolti, riconosciuti, parte di un “noi” che conferisce identità. Ma col progredire della coscienza, si afferma un secondo bisogno, quello di libertà: essere sé stessi, differenziarsi, autodeterminarsi.
La tensione tra questi due poli è strutturale e mai del tutto componibile. La libertà totale minaccia l'appartenenza, perché ogni passo verso l’autonomia rischia l’alienazione e l’isolamento. D'altro canto, l'appartenenza assoluta soffoca l'individuo, lo riduce a funzione del gruppo, ne vincola l’autenticità. Così, ognuno si muove in un campo minato, costretto a negoziare continuamente la propria posizione tra il desiderio di fusione e quello di affermazione.
Collaborazione e competizione: la scena sociale
Il secondo dilemma è quello tra collaborazione e competizione. Entrambi elementi fondativi del vivere sociale, sembrano inconciliabili, eppure coesistono in ogni organizzazione umana. La collaborazione è necessaria per la sopravvivenza collettiva: permette il mutuo soccorso, la costruzione di reti, la condivisione delle risorse e delle competenze. Tuttavia, la competizione è altrettanto strutturale, radicata nell'evoluzione e nel bisogno di riconoscimento, distinzione, successo.
Anche qui, l’essere umano si trova a oscillare: troppo spirito competitivo dissolve il tessuto sociale e alimenta conflitto, invidia, esclusione. Troppa cooperazione, se cieca, può generare conformismo e appiattimento. La difficoltà sta nel trovare un equilibrio tra la spinta a vincere con gli altri e quella a vincere sugli altri.
Il riflesso interiore: coscienza e inconscio
Questi dilemmi non si esauriscono sul piano esterno. Ogni essere umano porta dentro di sé la stessa frattura: la coscienza razionale che cerca coerenza, controllo, e l’inconscio che custodisce pulsioni contraddittorie, desideri antichi, ambivalenze non integrate. La coscienza tende a scegliere, ordinare, moralizzare; l’inconscio, invece, è il luogo del “non scelto”, dell’ombra, del caos originario. I dilemmi esterni si riflettono così in una battaglia interna: tra ciò che vorremmo essere e ciò che siamo, tra la maschera sociale e la verità psichica, tra l’ordine e il desiderio.
Convivere con il paradosso
Il dramma dell’esistenza umana, dunque, non sta tanto nella presenza di questi dilemmi, quanto nella loro irrisolvibilità. Ogni tentativo di sopprimerne uno dei poli genera sofferenza, nevrosi, alienazione. E tuttavia, accettare questi paradossi come strutture dell’essere, come tensioni da abitare piuttosto che da eliminare, può aprire uno spazio di consapevolezza. Non si tratta di trovare una soluzione definitiva, ma di imparare a danzare sul crinale, tra fusione e autonomia, tra dono e affermazione, tra ciò che siamo per gli altri e ciò che siamo per noi stessi.
In questa danza, precaria e mai conclusa, si gioca la possibilità di un'esistenza autentica.
Le «cose» che costituiscono il mondo (oggetti, energie, onde, esseri viventi, informazioni, idee, pensieri, sentimenti ecc.) non sono isolate, ma “correlate” in vari modi. Le relazioni tra due cose possono essere oggettive e soggettive.
Le relazioni oggettive sono “vere” indipendentemente da chi le osserva. Per esempio la gravitazione universale interessa tutte le cose, e da essa dipendono le rispettive posizioni (assolute e relative) e i loro movimenti. Lo stesso si può dire per le relazioni chimiche, che dipendono dalle rispettive strutture atomiche, e la cui eterogeneità è limitata.
Infatti gli atomi che conosciamo sono (soltanto) di circa cento tipi diversi, e anche il numero di possibili molecole è finito. Ne consegue che tra due cose ci sono relazioni di uguaglianza per quanto riguarda alcuni loro componenti o aspetti, e di differenza per quanto riguarda altri componenti o aspetti. Il fatto che due cose abbiano componenti o aspetti più o meno uguali o diversi, influenza il reciproco comportamento, cioè le loro interazioni.
Qualifichiamo come “sistemiche” le relazioni oggettive tra un certo numero di cose allorché queste “interagiscono” scambiando materiali, energie e/o informazioni in modi persistenti e secondo certi “pattern”, laddove ciò che un componente riceve influenza ciò che esso emette. In tal senso, un “sistema” (vivente o non vivente) è un insieme di cose che interagiscono per un certo periodo di tempo, cioè per la durata di esistenza del sistema stesso.
Le relazioni soggettive, a differenza di quelle oggettive, dipendono totalmente dalla mente del loro osservatore (il “soggetto” della situazione), vale a dire dalle capacità di questo di percepire, memorizzare, riconoscere e richiamare forme (ovvero figure).
Le relazioni soggettive sono largamente soggette alla percezione di “insiemi” dotati di certe proprietà, per cui ogni membro dell’insieme “comporta” le proprietà dell’insieme a cui appartiene.
La percezione di un insieme avviene secondo i principi che sono stati definiti dalla Psicologia della Gestalt.
Gli insiemi possono essere di vario tipo, tra cui grafici, sonori, cognitivi ecc., e comportano diversi livelli di astrazione. Gli insiemi cognitivi sono oggetto di studio della moderna logica analitica, in cui gli insiemi vengono denominati “classi”.
Per quanto detto sopra, possiamo parlare di insiemi oggettivi e insiemi soggettivi.
Per definizione, gli insiemi oggettivi non possono essere conosciuti da un osservatore oggettivamente, ma solo soggettivamente. Infatti il modo di conoscere di un essere umano “dipende” dalle sue capacità (soggettive per definizione) di percepire, memorizzare, riconoscere e richiamare forme (di qualunque tipo). Possiamo perciò solo auspicare che un insieme soggettivo presente nella mente di un essere umano non sia troppo diverso o incoerente rispetto all’insieme oggettivo che si propone di conoscere. Infatti, mentre gli insiemi oggettivi sono “dati” e reali, gli insiemi soggettivi sono costruzioni della mente, anche se la costruzione avviene a partire da segnali (come le onde luminose) che oggetti reali inviano al cervello del soggetto attraverso gli organi di senso simbioticamente legati al cervello stesso.
La "costruzione" (soggettiva per definizione) di insiemi da parte di un essere umano è particolarmente problematica per quanto riguarda gli insiemi sociali, ovvero la tipologia (= repertorio di tipi) umana in senso intellettuale, etico ed estetico, che è inevitabilmente impregnata di "valori".
L’uomo tende infatti a costruire categorie (tipi, classi, generi ecc.) di persone e a porre ogni persona in una o più categorie da lui stesso predefinite, con tutti i problemi che tale classificazione può comportare.
Tuttavia, la classificazione (che implica sempre una generalizzazione, e ogni generalizzazione implica una perdita di informazione), è qualcosa di irrinunciabile per l’uomo, in quanto senza di essa qualsiasi cultura e qualsiasi speculazione filosofica, sarebbero impossibili.
Quello che l’uomo dovrebbe fare, perciò, non è classificare meno, ma classificare meglio, e soprattutto essere consapevole dei limiti di ogni classificazione.
Cominciamo col definire il significato dei termini “norme sociali” e “insicurezza”.
Cito dall’articolo di Wikipedia intitolato “Norma (scienze sociali)”:
“La norma sociale è una regola esplicita o implicita concernente la condotta dei membri di una società: oggetto di studio dell'antropologia, della psicologia sociale e della sociologia, le norme sociali prescrivono come devono comportarsi gli individui e gruppi sociali in determinate situazioni.”
“In virtù della loro dimensione prescrittiva, le norme rappresentano il sistema di aspettative che il gruppo ha rispetto a coloro che ne fanno parte.”
Fine delle citazioni sulle norme sociali.
Per quanto riguarda il concetto di “insicurezza”, il vocabolario Treccani lo definisce come “mancanza di sicurezza; usato per indicare lo stato di perplessità, d’incertezza del presente e del futuro determinato da particolari condizioni politiche o sociali, o da una condizione psichica di sfiducia, di esitazione, di smarrimento.”
Nel presente incontro dovremmo soprattutto esaminare il rapporto tra norme sociali e insicurezza, vale a dire in che modo le norme sociali in generale, o certe particolari norme sociali, sono causa di insicurezza in certi individui, e, viceversa, in che modo le norme sociali possono essere uno strumento per superare l’insicurezza, cioè per dare sicurezza alle persone che le adottano.
A tale scopo ho individuato le seguenti parole chiave: comportamento, socializzazione, tradizione, consuetudine, convenzione, costume, etichetta, usanza, rituale, valori, devianza, educazione, libertà, costrizione, obblighi, divieti, controllo, conformità, conformismo, moralità, moda, regolazione, influencer, negoziazione, incertezza, angoscia, paura, timore, dubbio, ansia, esitazione, timidezza, panico, depressione, dipendenza, autostima, appartenenza sociale, inferiorità, superiorità, differenze, approvazione, disapprovazione, disprezzo, riconoscimento, critica, giudizio, esame, inadeguatezza, incapacità, perfezionismo, diffidenza, rifiuto, autenticità, maschera, adattamento.
Per stimolare la discussione vi suggerisco di rispondere a qualcuna delle domande seguenti:
- La dipendenza dell’individuo dalle norme sociali è una condizione innata (geneticamente determinata) o acquisita?
- Sentirsi non conformi o inadeguati rispetto alle norme sociali genera automaticamente insicurezza?
- È possibile vivere serenamente senza seguire le norme sociali?
- In quale misura le norme sociali favoriscono e in quale misura ostacolano il progresso civile?
- Due persone possono interagire in sicurezza senza rispettare le norme sociali, negoziando essi stessi le regole da seguire?
- È possibile criticare le norme sociali senza passare per arroganti, misantropi o asociali?
- Quali sono i requisiti per un sufficiente grado di autostima?
- Chi è veramente anticonformista?
- Una società può fare a meno di norme sociali?
- Un individuo può permettersi di non rispettare le norme sociali?
- È possibile conciliare indipendenza di pensiero e libertà di comportamento con il rispetto delle norme sociali?
Credo che oggi tutta la comunità scientifica sia concorde nel riconoscere che il bisogno di appartenenza, integrazione e partecipazione sociale (al quale si accompagna la paura dell'esclusione o dell'emarginazione) sia il bisogno umano più forte e importante. Su questo vorrei fare qualche riflessione.
Innanzitutto occorre chiarire cosa significhi appartenenza e quali siano il suo oggetto e le sue forme. Infatti si può appartenere ad uno o più gruppi sociali, o comunità, ben definiti di cui si conoscono tutti i membri, oppure ad uno o più gruppi caratterizzati dalle prerogative che accomunano i suoi membri. Infine, si può appartenere ad una o più categorie sociali astratte di persone aventi caratteristiche comuni.
Mentre nelle società preistoriche e, più in generale, in quelle classificate come "fredde" da C. Lévy-Strauss, esiste un solo gruppo sociale a cui è indispensabile appartenere, pena la morte per isolamento o condanna di tradimento, oggi è possibile, più o meno facilmente, migrare da una comunità ad un'altra, e appartenere a più comunità.
Detto ciò, mi pare che un primo problema, per ogni essere umano oggi, sia quello di scegliere a quali comunità appartenere, intendendo per comunità un insieme di persone legate da un patto implicito o esplicito di collaborazione, mutuo rispetto, mutuo soccorso e fedeltà alle forme, norme e valori caratteristici della comunità stessa. In questa scelta occorre tener conto del fatto che ci possono essere incompatibilità tra comunità, nel senso che appartenere ad una di esse può implicare l'esclusione da certe altre.
Ovviamente ogni essere umano nasce come membro di una certa comunità, che è quella dei suoi genitori, e in essa e per essa viene educato e formato. La comunità di nascita, con le sue forme, norme e valori, resterà per sempre impressa nella sua mente e soprattutto nel suo inconscio, e non sarà facile liberarsene, se non in parte.
In ognuno di noi si pone dunque, innanzitutto, il problema della misura in cui accettare o rifiutare l'appartenenza alla propria comunità di nascita.
L'appartenenza ad una comunità non è gratuita, nel senso che impone certi obblighi e divieti sia formali che sostanziali, ovvero implica una rinuncia più o meno importante alle proprie libertà. Perciò il bisogno di appartenenza e quello di libertà sono costituzionalmente antitetici e la soddisfazione dell'uno implica la frustrazione dell'altro, come ci insegna Luigi Anepeta nella sua "teoria strutturale dialettica", anche detta dei "bisogni intrinseci".
La conflittualità e l'antagonismo tra il bisogno di appartenenza e quello di libertà si configura come un "doppio vincolo" (come definito da Gregory Bateson) e, in quanto tale, se non viene gestito in modo consapevole, realistico, efficiente ed equilibrato, può essere causa di disturbi mentali (nevrosi o psicopatie) quali ansia, insicurezza, timidezza, immobilismo, narcisismo, angoscia, depressione, claustrofobia, agorafobia, panico, schizofrenia ecc.
Chi stabilisce la misura in cui una persona appartiene ad una certa comunità? E con quale frequenza l'appartenenza deve essere confermata? A prescindere dai casi in cui l'appartenenza viene affermata esplicitamente a parole, con gesti o mediante il conferimento di diplomi, tessere o altri riconoscimenti formali, la valutazione del grado di appartenenza è sempre soggettiva. Infatti ognuno fa una propria valutazione, più o meno realistica, del grado di appartenenza, ma, ciò che più conta, è la propria percezione della misura in cui lo valutano gli altri membri della comunità.
Siccome una valutazione insufficiente del proprio grado di appartenenza ad una comunità di elezione è normalmente causa di sofferenza, per evitare il dolore il soggetto cerca continuamente conferme dell'appartenenza con diverse strategie e in diversi modi, più o meno illusori.
Un modo collettivo di confermare la propria appartenenza ad una certa comunità consiste nell'interagire con altri membri di essa, ovvero incontrarli, conversare con loro o fare qualsiasi cosa insieme a loro, qualcosa di attivo, come lavorare, combattere, giocare, suonare, cantare, danzare, studiare, meditare, coltivare insieme una disciplina, oppure di passivo, come assistere ad uno spettacolo, evento sportivo, cerimonia ecc.
Un modo individuale di confermare la propria appartenenza ad una certa comunità consiste nel compiere azioni aventi un significato simbolico, come vestirsi in un certo modo, arredare la casa in un certo modo, leggere certi giornali e certi libri, scrivere, creare opere d'arte, coltivare individualmente una disciplina, pregare, compiere atti religiosi e, in generale attività preparatorie in vista dei prossimi incontri, ovvero fare cose di cui parlare o da condividere nei futuri incontri con altri membri della comunità.
Si potrebbe dire che la comunità di elezione, con le sue forme, norme e valori, interiorizzata nell'entità psichica che George H. Mead ha chiamato "l'altro generalizzato", costituisce un modello a cui occorre conformarsi e un interlocutore con cui occorre interagire per confermare la propria umanità, ovvero per mantenere la propria salute mentale e continuare a fare degnamente parte della società e della comunità.
Osservando senza pregiudizi le varie comunità formali e informali a cui gli abitanti del nostro pianeta appartengono per costrizione o scelta, non possiamo non vedere quanto le loro forme, norme e valori siano per lo più residui di mentalità arcaiche, ignoranti, violente, irrazionali, assurde, superstiziose, costrittive e incompatibili con le conoscenze scientifiche attuali e con la necessità di trasformazione dell'umanità per evitare la sua estinzione a causa delle crisi economiche, sociali, belliche ed ecologiche a livello globale.
Per concludere, dato che l'uomo ha un ineluttabile e profondo bisogno di partecipare ad attività sociali, e che quelle proposte dalle comunità attuali sono per lo più insoddisfacenti rispetto ai bisogni individuali e collettivi a causa dei loro effetti collaterali negativi, sarebbe bene inventare e praticare nuove attività sociali più sane, intelligenti e creative, alle quali si possa partecipare in modo soddisfacente e senza effetti collaterali pericolosi. Ma ciò è possibile solo tra persone che hanno sviluppato una buona capacità critica verso le forme, norme e valori delle proprie comunità di appartenenza.
Un animale sociale
L’espressione «l’uomo è un animale sociale» per me è da intendersi nel senso che noi umani abbiamo un bisogno innato (cioè geneticamente determinato), di far parte di uno o più «insiemi sociali», termine nel quale io mi riferisco ad una gamma di configurazioni e organizzazioni quali: gruppo, classe, categoria, famiglia, coppia, comunità, collettività, nazione, etnia, tribù, massa, folla, squadra, società, impresa, associazione, corporazione, circolo, convivio, comitiva, assemblea, consorteria, consorzio, sindacato, scuola, convento, gang, orgia, orda, muta, congregazione, confraternita, setta, partito, coalizione, orchestra, coro, ecc.
Il bisogno di appartenenza è uno dei bisogni umani più forti. Questo è a mio avviso dovuto al fatto che noi umani non possiamo sopravvivere né soddisfare i nostri bisogni senza la cooperazione con altri umani, e tale cooperazione non è possibile se non rispettando un insieme di regole di cooperazione tipiche di certe forme sociali codificate, cioè caratterizzate da certi codici o norme di comportamento.
Il motivo per cui ho deciso di fare una ricerca sulle appartenenze umane (formali e informali, esplicite e implicite, conscie e inconsce) è che, a mio parere, dalla soddisfazione (più o meno riuscita) del bisogno di appartenenza dipende in larga misura il grado di felicità di ognuno di noi.
Relazioni che danno luogo a insiemi sociali
Un insieme sociale, è tale se tra gli individui che ne fanno parte sussistono relazioni come le seguenti, e a mio avviso è tanto più forte, persistente e soddisfacente quante più numerose sono tali relazioni, e quanto più frequentemente esse si verificano e si manifestano.
- Vicinanza fisica e/o metaforica
- Complementarità
- Legami, interdipendenza, cooperazione, simbiosi
- Continuità
- Coerenza, concordanza, armonia
- Conformità
- Solidarietà, mutuo aiuto, mutua difesa, alleanza
- Sincronia di movimenti, di azioni, di comportamenti
- Somiglianza di aspetto, di costituzione somatica
- Somiglianza di comportamenti, di abitudini
- Somiglianza di abbigliamenti, di ornamenti, di arredamenti
- Condivisione di intenti, scopi, progetti, interessi, complicità
- Condivisione di proprietà economiche, di mezzi, di strumenti
- Condivisione di ceti sociali
- Condivisione di valori, attrazioni, repulsioni, gusti, temperamenti
- Condivisione di posizioni politiche e di alleanze
- Condivisione di linguaggi
- Condivisione di leggi e norme
- Condivisione di rispetto verso autorità politiche, economiche, intellettuali, etiche, estetiche
- Condivisione di riti, feste, tradizioni, costumi, principi morali
- Condivisione di ideologie, religioni, filosofie
- Condivisione di conoscenze e di esperienze
- Condivisione di storie, di origini
- Condivisione di malattie, handicap, svantaggi, problemi
- Ecc.
- Il tutto è maggiore della somma delle parti
- Principio di prossimità o vicinanza
- Principio di similarità o somiglianza
- Principio di completamento o chiusura
- Principio del destino comune
- Principio di contrasto (figura-sfondo)
- Principio di continuità di direzione (o della Curva Buona)
- Principio dell’esperienza passata
- Legge della pregnanza (o della Buona Forma)