Categoria: Autocensura
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L’uomo censura gli altri e se stesso.
Un pensiero non condivisibile viene inibito dall'autocensura.
L'autocensura non agisce soltanto sulle azioni ma anche sui pensieri.
L'autocensura è indispensabile ma le sue logiche possono cambiare.
Qualunque cosa facciamo o pensiamo è soggetta ad un'autocensura conscia o inconscia.
Se dobbiamo mentire, meglio farlo consciamente che inconsciamente. Nel secondo caso mentiamo anche a noi stessi.
La mia autocensura mi impedisce di capire le interazioni sociali in chiave sistemica, che è l’unica chiave di comprensione realistica.
La logica di un essere umano è un percorso ad ostacoli: ci sono assiomi, postulati e cognizioni che non possono essere messi in discussione.
Non è la punizione divina che dobbiamo temere (perché Dio non punisce) ma quella del nostro super-io. Infatti, per lui il benessere della nostra comunità è più importante di quello della nostra persona.
Nella mente umana c'è un congegno che, alla percezione della bellezza, inietta nel cervello una certa quantità di droga stupefacente che dà piacere, allevia il dolore, e allenta le autocensure consce e quelle inconsce.
A volte ci convinciamo e crediamo di amare qualcuno che in realtà odiamo, di rispettare qualcuno che in realtà disprezziamo. Infatti il super-io ci impone di rimuovere, ovvero di nascondere a noi stessi, ogni odio e ogni disprezzo politicamente scorretti.
L'io cosciente e l'inconscio competono per dirigere l'attenzione e il pensiero del soggetto dove questi processi provocano meno dolore e più piacere. Il guaio è che l'io cosciente e l'inconscio hanno spesso idee diverse circa le fonti del dolore e del piacere.
Ho sfidato il mio super-io e adesso mi aspetto le sue subdole, ostili e morbose reazioni "per il mio bene" cioè per proteggermi dal rischio di essere espulso dalla comunità. Ma sarò vigile e saprò scoprire e respingere ogni suo tentativo di boicottare la mia libertà.
Se capisci che il tuo nemico è dentro la tua mente e non al di fuori, puoi difenderti meglio da lui e avere una disposizione d'animo più amichevole verso gli altri.
Alludo al super-io, che ci punisce quando non rispettiamo le forme, le norme e i valori della nostra comunità.
Alludo al super-io, che ci punisce quando non rispettiamo le forme, le norme e i valori della nostra comunità.
Noi non pensiamo né agiamo liberamente perché dal modo in cui pensiamo e agiamo dipendono gli atteggiamenti altrui nei nostri confronti. In altre parole, il nostro posto nella società e la nostra reputazione dipendono dal mondo in cui pensiamo e agiamo. Tale dipendenza determina un'autocensura inconscia dei nostri pensieri.
Chi sfida il suo super-io deve aspettarsi subdole, ostili e morbose reazioni di questo guardiano, messe in atto "a fin di bene" cioè per proteggere la persona dal rischio di essere espulsa dalla comunità. Perciò lo sfidante dovrà essere vigile per riconoscere e respingere ogni tentativo da parte del super-io di boicottare la sua libertà.
L’autocensura è quel meccanismo mediante il quale «gli altri» controllano il comportamento dell’individuo. Infatti l’autocensura ha la funzione di evitare che l’individuo si comporti in modo da dispiacere agli altri “importanti” per lui, mettendo così a rischio la propria appartenenza alla comunità virtuale che quelle persone costituiscono.
La vita è un oscuro e instabile compromesso tra ciò che vorremmo e ciò che possiamo (avere, essere, fare), complicata dal fatto che non sappiamo ciò di cui abbiamo veramente bisogno, né ciò che veramente possiamo, dal fatto che i nostri stessi desideri e la verità sono oggetto di censura e autocensura, e dal fatto che i bisogni insoddisfatti si gonfiano fino a scoppiare o vengono rimossi. Cosi le nostre aspirazioni e le conseguenti frustrazioni hanno alti e bassi.
Ogni cosa che facciamo o ipotizziamo di fare è oggetto non solo di autocensura inconscia, ma è anche usata come criterio di appartenenza e identità sociale. In altre parole, i nostri gesti, le nostre scelte, ci qualificano, ci caratterizzano, ci conferiscono una identità, esprimono nostre appartenenze. Comprare un certo oggetto, usarlo, servirsi di qualcosa, assistere ad un certo evento, abbigliarsi in un certo modo, costituiscono anche affermazioni di identità sociali.
Il comportamento di un essere umano segue logiche diverse da quelle che esso presume di conoscere e che dichiara a se stesso e agli altri.
Dobbiamo perciò distinguere le logiche presunte da quelle reali, che sono normalmente nascoste, negate, rimosse, anche perché contraddicono quelle presunte, e sono censurate dall’inconscio in quanto considerate immorali e/o politicamente sconvenienti.
Compito della psicologia e della filosofia dovrebbe essere quello di decifrare, analizzare e interpretare le logiche reali nascoste del comportamento umano.
Il processo inconscio di autocensura si pone continuamente queste due domande:
- quanto e con chi è condivisibile ciò che hai fatto, che stai facendo, e che prevedi di fare?
- quali cose che dovresti condividere non stai condividendo?
Ogni essere umano è giudicato dagli altri per ciò che pensa, sente, ama, odia, crede, dice, fa ecc. e per ciò che non pensa, non sente, non ama, non odia, non crede, non dice, non fa, ecc.
Dal risultato del giudizio dipende il reciproco atteggiamento e comportamento di attrazione o repulsione, accettazione o rifiuto, premio o punizione, amicizia o inimicizia, simpatia o antipatia, pace o guerra, solidarietà o indifferenza ecc.
Di conseguenza, ogni essere umano cerca di prevedere e prevenire il giudizio altrui sulla propria persona, auto-giudicandosi, consciamente o inconsciamente.
Dal risultato dell'auto-giudizio (che possiamo chiamare autocensura) e dalle proprie inclinazioni dipende l'eventuale sottomissione, adattamento, resistenza o ostilità rispetto alle aspettative altrui.
Ognuno di noi ha in testa un particolare "clan" (cioè una comunità interiore di appartenenza) ovvero una struttura sociale o comunità ideale che condiziona il nostro comportamento come una gabbia mentale, con i suoi obblighi e i suoi tabù, e l'imperativo categorico di non essere mai indegni del clan stesso.
Questo clan interiore si forma quando siamo bambini, attraverso l'educazione che riceviamo e le esperienze sociali che viviamo. Esso contiene forme, norme, linguaggi, valori, obblighi, divieti, margini di libertà, ruoli, ranghi, e strutture sociali che ci consentono di interagire con gli altri in modo "regolato" ovvero non completamente libero, al fine della conservazione del clan stesso e della cooperazione tra i suoi membri.
Il Super-io freudiano è l'agente inconscio del clan, che provvede a punire (tramite ansia, angoscia, panico ecc.) qualunque comportamento suscettibile di causare l'emarginazione del soggetto dal clan stesso.
Questo clan interiore si forma quando siamo bambini, attraverso l'educazione che riceviamo e le esperienze sociali che viviamo. Esso contiene forme, norme, linguaggi, valori, obblighi, divieti, margini di libertà, ruoli, ranghi, e strutture sociali che ci consentono di interagire con gli altri in modo "regolato" ovvero non completamente libero, al fine della conservazione del clan stesso e della cooperazione tra i suoi membri.
Il Super-io freudiano è l'agente inconscio del clan, che provvede a punire (tramite ansia, angoscia, panico ecc.) qualunque comportamento suscettibile di causare l'emarginazione del soggetto dal clan stesso.
Il 'motore morale' è un algoritmo sentimentale inconscio sempre attivo. Esso calcola in ogni momento in che misura stiamo soddisfacendo i desideri altrui e ci fa sentire piacere o dolore in modo proporzionale a tale soddisfazione. Simultaneamente al motore morale, è attivo un altro algoritmo sentimentale inconscio, il 'motore egoico', che calcola in ogni momento in che misura stiamo soddisfacendo i nostri desideri e ci fa sentire piacere o dolore in modo proporzionale a tale soddisfazione. Se i risultati dei due algoritmi sono concordi, proviamo sentimenti coerenti, se i risultati sono discordi, proviamo sentimenti contrastanti. I sentimenti coerenti ci motivano decisamente all'azione per il mantenimento del piacere e/o l'allontanamento del dolore, quelli contrastanti ci immobilizzano e ci rendono ansiosi e indecisi. Nel secondo caso siamo in presenza di un doppio vincolo, nel senso che il soddisfacimento dei desideri altrui provoca la frustrazione dei propri e viceversa.
Può succedere, in certe circostanze, che la volontà dell'io cosciente venga messa fuori uso, cioè inibita, da un altro agente mentale che sostituisce la sua volontà a quella dell'io e prende il controllo della persona suscitando ansia o panico. Tale agente (sul quale l'io cosciente non ha alcun potere diretto) potrebbe corrispondere al “super-io” teorizzato da Sigmund Freud.
In tali casi, ciò che l'io cosciente può fare per ristabilire la sua volontà è chiedere l'aiuto di un'altra persona da cui farsi stimolare o guidare, preferibilmente uno psichiatra, uno psicoterapeuta o uno psicologo.
Questi fenomeni possono avvenire in misura più o meno grande, anche nella vita di tutti i giorni e in ognuno di noi. Paradossalmente, essi sono tanto più probabili quanto più il soggetto è libero da impegni, occupazioni, difficoltà, bisogni insoddisfatti o problemi da risolvere. Per questo ipotizzo che il super-io serva essenzialmente a reprimere o limitare la libertà del soggetto (dagli impegni sociali).
In tali casi, ciò che l'io cosciente può fare per ristabilire la sua volontà è chiedere l'aiuto di un'altra persona da cui farsi stimolare o guidare, preferibilmente uno psichiatra, uno psicoterapeuta o uno psicologo.
Questi fenomeni possono avvenire in misura più o meno grande, anche nella vita di tutti i giorni e in ognuno di noi. Paradossalmente, essi sono tanto più probabili quanto più il soggetto è libero da impegni, occupazioni, difficoltà, bisogni insoddisfatti o problemi da risolvere. Per questo ipotizzo che il super-io serva essenzialmente a reprimere o limitare la libertà del soggetto (dagli impegni sociali).
A mio parere, il libero arbitrio (se esiste) è soggetto ad autocensura in senso psicoanalitico. Intendo parlare di un libero arbitrio veramente libero, cioè non soggetto alle pressioni dei sentimenti e delle emozioni.
Suppongo che ciò sia dovuto al fatto che un essere umano capace di fare scelte e prendere decisioni in modo totalmente indipendente dai propri sentimenti e dalle proprie emozioni è considerato “disumano” dalla maggior parte della gente, ed è pertanto destinato ad essere emarginato da qualsiasi comunità, cosa che per l'inconscio equivale alla morte fisica.
Sigmund Freud ci ha insegnato il meccanismo dell’autocensura, per cui il super-io boicotta le intenzioni del soggetto che infrangono i principi morali inculcati nella sua psiche, e in particolare quelli che inibiscono la libera espressione della sua sessualità e i comportamenti “politicamente scorretti”.
A mio avviso, anche l’esercizio del “vero” libero arbitrio rientra nei comportamenti socialmente inaccettabili ed è pertanto oggetto di autocensura. I sintomi dell’attività di questo meccanismo possono essere ansia, angoscia, paure, inibizioni, paralisi più o meno estese, amnesie, attacchi di panico, depressione, sensi di colpa, senso di incapacità, auto-punizioni, ricerca del fallimento nei propri progetti ecc.
Suppongo che ciò sia dovuto al fatto che un essere umano capace di fare scelte e prendere decisioni in modo totalmente indipendente dai propri sentimenti e dalle proprie emozioni è considerato “disumano” dalla maggior parte della gente, ed è pertanto destinato ad essere emarginato da qualsiasi comunità, cosa che per l'inconscio equivale alla morte fisica.
Sigmund Freud ci ha insegnato il meccanismo dell’autocensura, per cui il super-io boicotta le intenzioni del soggetto che infrangono i principi morali inculcati nella sua psiche, e in particolare quelli che inibiscono la libera espressione della sua sessualità e i comportamenti “politicamente scorretti”.
A mio avviso, anche l’esercizio del “vero” libero arbitrio rientra nei comportamenti socialmente inaccettabili ed è pertanto oggetto di autocensura. I sintomi dell’attività di questo meccanismo possono essere ansia, angoscia, paure, inibizioni, paralisi più o meno estese, amnesie, attacchi di panico, depressione, sensi di colpa, senso di incapacità, auto-punizioni, ricerca del fallimento nei propri progetti ecc.
L'appartenenza sociale si ottiene attraverso la realizzazione di uno o più modelli di appartenenza tipici della comunità di elezione. I modelli di appartenenza, una volta interiorizzati, costituiscono i paradigmi motivazionali dell'individuo, il quale sente un profondo bisogno di realizzare tali modelli, una profonda paura di non riuscirvi, gioia quando vi riesce e sofferenza quando non vi riesce.
I modelli di appartenenza di una certa comunità corrispondono ai ruoli che essa richiede e permette, nel senso che l'appartenenza alla comunità è possibile solo attraverso la personificazione di tali ruoli e nella misura di tale personificazione. Ogni individuo che vuole appartenere ad una certa comunità deve dunque scegliere uno o più di quei ruoli, ovvero modelli, e tende a scegliere i ruoli gerarchicamente più alti o comunque più vantaggiosi che le proprie capacità e inclinazioni gli consentono.
I modelli di appartenenza sono contenuti nella mappa cognitivo-emotiva di ogni individuo, ed hanno un peso relativo molto importante.
L'autocensura (inconscia) agisce in modo che il soggetto attui comportamenti favorevoli alla realizzazione dei modelli di comportamento interiorizzati, ed eviti comportamenti ad essa sfavorevoli. L'autocensura guida il comportamento del soggetto attraverso la generazione di sentimenti ed emozioni appropriati, come la gioia, la sofferenza, la paura, il panico, l'angoscia, l'ansia, l'attrazione, la repulsione, la curiosità, la noia ecc.
I modelli di appartenenza di una certa comunità corrispondono ai ruoli che essa richiede e permette, nel senso che l'appartenenza alla comunità è possibile solo attraverso la personificazione di tali ruoli e nella misura di tale personificazione. Ogni individuo che vuole appartenere ad una certa comunità deve dunque scegliere uno o più di quei ruoli, ovvero modelli, e tende a scegliere i ruoli gerarchicamente più alti o comunque più vantaggiosi che le proprie capacità e inclinazioni gli consentono.
I modelli di appartenenza sono contenuti nella mappa cognitivo-emotiva di ogni individuo, ed hanno un peso relativo molto importante.
L'autocensura (inconscia) agisce in modo che il soggetto attui comportamenti favorevoli alla realizzazione dei modelli di comportamento interiorizzati, ed eviti comportamenti ad essa sfavorevoli. L'autocensura guida il comportamento del soggetto attraverso la generazione di sentimenti ed emozioni appropriati, come la gioia, la sofferenza, la paura, il panico, l'angoscia, l'ansia, l'attrazione, la repulsione, la curiosità, la noia ecc.
Una delle paure umane più importanti e diffuse è quella dell'isolamento sociale. Essa agisce a livello inconscio ancor più che a quello conscio ed è tra i principali determinanti del comportamento e delle inibizioni dello stesso.
Dovremmo allora chiederci se questa paura sia qualcosa di buono, utile, adattivo da un punto di vista evoluzionistico, oppure qualcosa di infausto, che rende la vita insoddisfacente, sgradevole, angosciosa.
La mia risposta è ambivalente. Da una parte tale paura è salutare perché senza di essa probabilmente la specie umana si sarebbe già estinta per scarsità di cooperazione. Da un'altra essa è forse la principale causa delle nevrosi e dell'infelicità umana, perché, come diceva Jean de La Bruyère: "Tutto il nostro male viene dal non poter stare soli."
E' una paura tanto più insidiosa quanto più è inconscia, ed aumenta, probabilmente in modo esponenziale, in funzione del tempo passato in solitudine, ovvero senza interazioni o rituali rassicuranti in tal senso.
Per alleviare tale paura siamo portati a fare qualsiasi cosa, anche le più stupide e nocive, pur di non perdere il contatto con gli altri, continuare ad interagire con loro, stare in loro compagnia, essere accettati da essi.
Come fare per evitare gli effetti nocivi della paura dell'isolamento?
Io credo che la soluzione consista nel gestire consciamente questa paura calcolando razionalmente il rischio effettivo di isolamento a fronte di un certo comportamento o non-comportamento, o di un certo periodo di solitudine volontaria o involontaria. Infatti, se non gestiamo consciamente tale paura, lasciamo che a farlo sia il nostro super-io, che è notoriamente incline a valutazioni irrazionali ed estreme, e a generare angoscia e sensi di colpa eccessivi rispetto ai rischi e alle infrazioni reali.
Dovremmo allora chiederci se questa paura sia qualcosa di buono, utile, adattivo da un punto di vista evoluzionistico, oppure qualcosa di infausto, che rende la vita insoddisfacente, sgradevole, angosciosa.
La mia risposta è ambivalente. Da una parte tale paura è salutare perché senza di essa probabilmente la specie umana si sarebbe già estinta per scarsità di cooperazione. Da un'altra essa è forse la principale causa delle nevrosi e dell'infelicità umana, perché, come diceva Jean de La Bruyère: "Tutto il nostro male viene dal non poter stare soli."
E' una paura tanto più insidiosa quanto più è inconscia, ed aumenta, probabilmente in modo esponenziale, in funzione del tempo passato in solitudine, ovvero senza interazioni o rituali rassicuranti in tal senso.
Per alleviare tale paura siamo portati a fare qualsiasi cosa, anche le più stupide e nocive, pur di non perdere il contatto con gli altri, continuare ad interagire con loro, stare in loro compagnia, essere accettati da essi.
Come fare per evitare gli effetti nocivi della paura dell'isolamento?
Io credo che la soluzione consista nel gestire consciamente questa paura calcolando razionalmente il rischio effettivo di isolamento a fronte di un certo comportamento o non-comportamento, o di un certo periodo di solitudine volontaria o involontaria. Infatti, se non gestiamo consciamente tale paura, lasciamo che a farlo sia il nostro super-io, che è notoriamente incline a valutazioni irrazionali ed estreme, e a generare angoscia e sensi di colpa eccessivi rispetto ai rischi e alle infrazioni reali.
Qualunque cosa io faccia o pensi di fare (consciamente o inconsciamente), è sottoposta ad un'autocensura da parte di un mio meccanismo inconscio, che io chiamo "autocensore" e che ha il compito di stabilirne la valenza sociale, cioè in quale misura tale cosa contribuisca alla mia integrazione o emarginazione sociale. In altre parole, quanto sia utile o nociva al mio successo sociale.
Questo autocensore (che corrisponde in parte al super-io freudiano) esprime il suo giudizio di approvazione o disapprovazione suscitando in me sentimenti gradevoli e sgradevoli come gioia, autocompiacimento, sollievo, benessere, pienezza, appagamento ecc. oppure sensi di colpa, vergogna, ansia, angoscia, paura, panico ecc. Mediante tali strumenti, come fossero carote e bastoni, mi costringe a comportarmi in modi e forme a cui esso associa la più alta valenza sociale rispetto alla comunità (reale o interiorizzata) da cui la mia vita dipende maggiormente.
Anche mentre scrivo questa mia riflessione, il mio autocensore misura continuamente la valenza sociale di ciò che penso e scrivo, incoraggiandomi o scoraggiandomi a proseguire, mediante l'attivazione di sentimenti positivi o negativi. Infatti, in questo preciso istante provo un sentimento conflittuale. Da una parte mi sento incoraggiato a proseguire nella riflessione e scrittura, nella speranza che ciò che scrivo sarà apprezzato da chi lo legge, come un dono, un aiuto per una migliore conoscenza di sé stessi e degli altri; dall'altra mi sento scoraggiato a farlo, nel timore che un certo numero di persone mi giudicheranno arrogante e presuntuoso per questo mio parlare di cose che la maggior parte delle persone ignorano, di cui non si interessano, e che non riguardano la mia professione. Cose se volessi dimostrare di essere superiore agli altri o di poter fare un mestiere per cui non sono qualificato e di farlo meglio degli specialisti titolati.
Non posso disattivare il mio autocensore senza ricorrere a farmaci, droghe o esercizi di meditazione o autocontrollo specifici. Tuttavia ho la libertà di obbedirgli o disobbedirgli, pur sapendo che, in caso di disobbedienza o ribellione, mi punirà inviandomi sentimenti sgradevoli e/o dolorosi.
Il mio autocensore limita la mia libertà e creatività, ma mi protegge dal rischio di diventare asociale. Sarebbe dunque un errore liberarmene, ammesso che possa riuscirvi. E' un padre-padrone con cui dovrò sempre fare i conti.
Io penso che ogni essere umano abbia un autocensore come l'ho io, ma non tutti ne sono consapevoli.
Questo autocensore (che corrisponde in parte al super-io freudiano) esprime il suo giudizio di approvazione o disapprovazione suscitando in me sentimenti gradevoli e sgradevoli come gioia, autocompiacimento, sollievo, benessere, pienezza, appagamento ecc. oppure sensi di colpa, vergogna, ansia, angoscia, paura, panico ecc. Mediante tali strumenti, come fossero carote e bastoni, mi costringe a comportarmi in modi e forme a cui esso associa la più alta valenza sociale rispetto alla comunità (reale o interiorizzata) da cui la mia vita dipende maggiormente.
Anche mentre scrivo questa mia riflessione, il mio autocensore misura continuamente la valenza sociale di ciò che penso e scrivo, incoraggiandomi o scoraggiandomi a proseguire, mediante l'attivazione di sentimenti positivi o negativi. Infatti, in questo preciso istante provo un sentimento conflittuale. Da una parte mi sento incoraggiato a proseguire nella riflessione e scrittura, nella speranza che ciò che scrivo sarà apprezzato da chi lo legge, come un dono, un aiuto per una migliore conoscenza di sé stessi e degli altri; dall'altra mi sento scoraggiato a farlo, nel timore che un certo numero di persone mi giudicheranno arrogante e presuntuoso per questo mio parlare di cose che la maggior parte delle persone ignorano, di cui non si interessano, e che non riguardano la mia professione. Cose se volessi dimostrare di essere superiore agli altri o di poter fare un mestiere per cui non sono qualificato e di farlo meglio degli specialisti titolati.
Non posso disattivare il mio autocensore senza ricorrere a farmaci, droghe o esercizi di meditazione o autocontrollo specifici. Tuttavia ho la libertà di obbedirgli o disobbedirgli, pur sapendo che, in caso di disobbedienza o ribellione, mi punirà inviandomi sentimenti sgradevoli e/o dolorosi.
Il mio autocensore limita la mia libertà e creatività, ma mi protegge dal rischio di diventare asociale. Sarebbe dunque un errore liberarmene, ammesso che possa riuscirvi. E' un padre-padrone con cui dovrò sempre fare i conti.
Io penso che ogni essere umano abbia un autocensore come l'ho io, ma non tutti ne sono consapevoli.
Quando due persone interagiscono, nell'interazione sono coinvolti vari componenti mentali consci e inconsci, volontari e involontari (agenti, logiche, dati, memorie, sentimenti, sensazioni, percezioni, automatismi in generale ecc.). I principali sono:
L'interazione tra due persone può essere osservata da due punti di vista: quello esterno, in cui avviene la comunicazione verbale e non verbale, e quello interno, in cui avvengono scambi di informazioni biochimiche, non osservabili dall'esterno, tra i vari componenti mentali. E' evidente che l'interazione esterna è determinata da quella interna.
Per quanto riguarda le problematiche sociali dal punto di vista dell'individuo, vedi anche Appartenenza e sue implicazioni: requisiti, interazione, gerarchia, competizione, violenza.
- Motivazioni di base (bisogni, pulsioni, desideri, decisioni, ecc.)
- Altro generalizzato (sintesi delle esperienze di tutte le interazioni sociali passate, concetto coniato da George Herbert Mead)
- Mappa cognitivo-emotivo-motiva di base (associazioni stimolo-risposta tra particolari percezioni e cognizioni, sentimenti, emozioni e motivazioni)
- Risposte cognitivo-emotivo-motive del momento (cognizioni, emozioni, sentimenti e motivazioni suscitate dalle percezioni del momento)
- Neuroni-specchio, empatia (rispecchiamento delle emozioni dell'altro)
- Ricordi
- Autocensure inconsce
- Automatismi mentali e psicomotori, cognizioni e abilità apprese
- Abitudini comportamentali
- Coscienza dell'altro (Chi è? Che ruolo sociale ha? Che posizione gerarchica occupa? Cosa vuole in generale? Cosa vuole da me? Cosa pensa di me? Cosa intende fare? Cosa sta facendo? Ecc.)
- Coscienza di sé (Chi sono? Che ruolo sociale ho? Che posizione gerarchica occupo? Cosa voglio in generale? Cosa voglio dall'altro? Cosa penso dell'altro? Cosa intendo fare? Cosa sto facendo? Ecc.)
- Decisioni e programmi consci
- Attenzione selettiva
- Bias cognitivi
- Ecc.
L'interazione tra due persone può essere osservata da due punti di vista: quello esterno, in cui avviene la comunicazione verbale e non verbale, e quello interno, in cui avvengono scambi di informazioni biochimiche, non osservabili dall'esterno, tra i vari componenti mentali. E' evidente che l'interazione esterna è determinata da quella interna.
Per quanto riguarda le problematiche sociali dal punto di vista dell'individuo, vedi anche Appartenenza e sue implicazioni: requisiti, interazione, gerarchia, competizione, violenza.
Piaceri e dolori, attrazioni e repulsioni, desideri e paure hanno una valenza sociale, nel senso che possono essere approvati o disapprovati dagli altri e, di conseguenza, influenzare il comportamento altrui a favore o a sfavore del soggetto che prova tali sentimenti.
Di conseguenza, sin da bambini, siamo abituati a nascondere o mistificare (anche a noi stessi) ciò che veramente desideriamo e ciò che ci disgusta o ci fa paura. Il risultato è l’ignoranza, la negazione o la falsificazione delle nostre motivazioni e inclinazioni, con effetti negativi sulla capacità di soddisfare i bisogni propri e quelli altrui.
Io penso, infatti, che tutto ciò che l’uomo fa (e non fa) sia condizionato e causato dalla sua percezione o anticipazione del piacere e del dolore in tutte le possibili forme, in quanto è attraverso il piacere e il dolore che il corpo, ovvero l’inconscio, “ordina” all'io cosciente ciò che deve fare (o smettere di fare) per assicurare la vita dell’individuo e la riproduzione della sua specie.
In altre parole, a mio parere, è attraverso i sentimenti (ovvero le varie forme di piacere e di dolore) che la psiche viene costruita, strutturata e sviluppata, ovvero programmata. La programmazione consiste in associazioni tra entità (oggetti, persone, idee, simboli) e sentimenti, ovvero in risposte cognitivo-emotive a certi stimoli sensoriali esterni o interni. Il piacere e il dolore sono dunque al tempo stesso i sintomi della soddisfazione o della frustrazione dei bisogni primari, e i mezzi attraverso i quali le logiche consce e inconsce, ovvero gli automatismi mentali, si adoperano per soddisfarli.
Tra tutti i bisogni mistificati o rimossi, ve ne sono, a mio parere, due categorie particolarmente importanti: quelli relativi alla sessualità, ovvero il bisogno di rapporti sessuali, e quelli relativi all'integrazione sociale, ovvero il bisogno di essere approvati, accettati, rispettati, desiderati, serviti, obbediti, accuditi ecc. dagli altri membri della comunità di appartenenza, e, più in generale, il bisogno di interagire con essi.
La rimozione e mistificazione dei piaceri e dei dolori, dei desideri e delle paure, è un fenomeno che non riguarda soltanto gli individui, ma anche la cultura, compresa la scienza. Infatti, a mio parere, pochi scienziati hanno riconosciuto il ruolo fondamentale del piacere e del dolore nell'economia del sistema nervoso, cognitivo, emotivo e motivazionale (uno di questi è Antonio Damasio). Pochi sono, inoltre, i filosofi e gli altri specialisti di scienze umane e sociali che nelle loro opere prendono in considerazione i sentimenti come elemento chiave per comprendere le "ragioni" del comportamento e del pensiero umano (uno di questi è David Hume). Da questo punto di vista i romanzieri sono in generale più istruttivi dei filosofi e degli scienziati.
Per concludere, se vogliamo migliorare la soddisfazione dei nostri bisogni e di quelli altrui, ovvero la qualità delle nostre Interazioni con gli altri, a mio avviso, dovremmo cercare di demistificare le nostre motivazioni e quelle altrui, e "resuscitare" quelle che abbiamo rimosso in quanto considerate socialmente scorrette o eccessivamente dolorose.
Di conseguenza, sin da bambini, siamo abituati a nascondere o mistificare (anche a noi stessi) ciò che veramente desideriamo e ciò che ci disgusta o ci fa paura. Il risultato è l’ignoranza, la negazione o la falsificazione delle nostre motivazioni e inclinazioni, con effetti negativi sulla capacità di soddisfare i bisogni propri e quelli altrui.
Io penso, infatti, che tutto ciò che l’uomo fa (e non fa) sia condizionato e causato dalla sua percezione o anticipazione del piacere e del dolore in tutte le possibili forme, in quanto è attraverso il piacere e il dolore che il corpo, ovvero l’inconscio, “ordina” all'io cosciente ciò che deve fare (o smettere di fare) per assicurare la vita dell’individuo e la riproduzione della sua specie.
In altre parole, a mio parere, è attraverso i sentimenti (ovvero le varie forme di piacere e di dolore) che la psiche viene costruita, strutturata e sviluppata, ovvero programmata. La programmazione consiste in associazioni tra entità (oggetti, persone, idee, simboli) e sentimenti, ovvero in risposte cognitivo-emotive a certi stimoli sensoriali esterni o interni. Il piacere e il dolore sono dunque al tempo stesso i sintomi della soddisfazione o della frustrazione dei bisogni primari, e i mezzi attraverso i quali le logiche consce e inconsce, ovvero gli automatismi mentali, si adoperano per soddisfarli.
Tra tutti i bisogni mistificati o rimossi, ve ne sono, a mio parere, due categorie particolarmente importanti: quelli relativi alla sessualità, ovvero il bisogno di rapporti sessuali, e quelli relativi all'integrazione sociale, ovvero il bisogno di essere approvati, accettati, rispettati, desiderati, serviti, obbediti, accuditi ecc. dagli altri membri della comunità di appartenenza, e, più in generale, il bisogno di interagire con essi.
La rimozione e mistificazione dei piaceri e dei dolori, dei desideri e delle paure, è un fenomeno che non riguarda soltanto gli individui, ma anche la cultura, compresa la scienza. Infatti, a mio parere, pochi scienziati hanno riconosciuto il ruolo fondamentale del piacere e del dolore nell'economia del sistema nervoso, cognitivo, emotivo e motivazionale (uno di questi è Antonio Damasio). Pochi sono, inoltre, i filosofi e gli altri specialisti di scienze umane e sociali che nelle loro opere prendono in considerazione i sentimenti come elemento chiave per comprendere le "ragioni" del comportamento e del pensiero umano (uno di questi è David Hume). Da questo punto di vista i romanzieri sono in generale più istruttivi dei filosofi e degli scienziati.
Per concludere, se vogliamo migliorare la soddisfazione dei nostri bisogni e di quelli altrui, ovvero la qualità delle nostre Interazioni con gli altri, a mio avviso, dovremmo cercare di demistificare le nostre motivazioni e quelle altrui, e "resuscitare" quelle che abbiamo rimosso in quanto considerate socialmente scorrette o eccessivamente dolorose.
Non siamo liberi di pensare a qualsiasi cosa, primo perché possiamo pensare solo a cose che conosciamo (cioè per cui abbiamo parole o immagini), secondo perché il nostro super-io censura i pensieri che ritiene pericolosi per la nostra dignità sociale (e di conseguenza per la nostra salute mentale).
Oggi sono riuscito (per qualche ora) a vincere l'autocensura inconscia che normalmente mi impedisce di affrontare razionalmente un problema (che ho deciso di chiamare "politica delle interazioni") che riguarda il governo volontario e consapevole delle proprie relazioni e interazioni, sia esterne che interne, con particolare riguardo ai rapporti tra esseri umani.
Per relazioni e interazioni esterne intendo quelle tra la mia persona e il mondo esterno (cioè con le altre persone e gli altri esseri viventi e non viventi). Per relazioni e interazioni interne intendo quelle tra il mio io cosciente e il resto del mio corpo, supponendo che l'io cosciente sia "solamente" un organo del corpo.
Il super-io (teorizzato da Sigmund Freud) è, a mio parere, un organo del sistema nervoso umano (evoluzionisticamente piuttosto recente), la cui funzione è importante per la sopravvivenza e il benessere dell'uomo. Infatti, essendo questo capace di agire, oltre che per istinto, secondo logiche cognitive non ereditate biologicamente, ma apprese culturalmente, la qualità e "produttività" del suo comportamento dipendono dalla qualità e produttività delle nozioni che ha imparato, e che potrebbero essere "sbagliate" da un punto di vista "economico", naturalistico ed ecologico.
In tale ottica, il super-io serve soprattutto a proteggerci dal rischio di essere espulsi dalle comunità a cui apparteniamo. Infatti, a causa della nostra interdipendenza, appartenere ad almeno una comunità è indispensabile per la sopravvivenza e il benessere.
Più precisamente, il super-io limita il nostro pensiero e il nostro comportamento suscitando sentimenti sgradevoli come lo schifo, la paura, il panico ecc. appena cominciamo (o ci accingiamo) a pensare o a fare cose che, secondo la sua logica (appresa culturalmente), sono rischiose per la nostra appartenenza sociale. In tal mondo siamo "portati" ad evitare ogni pensiero e ogni azione qualificata dal super-io come "asociale" o "indegna".
Il fatto che il super-io agisca non solo sulle nostre azioni, ma anche e ancor prima sui nostri pensieri si spiega in quanto le nostre azioni sono il riflesso immediato di ciò che pensiamo. Grazie a ciò non ci sono fratture temporali tra pensiero e azione. Infatti, se dovessimo prima di ogni atto chiederci se è rischioso per la nostra dignità, il nostro comportamento mancherebbe di spontaneità e sarebbe alquanto rallentato Pensiero e azione sono dunque normalmente simultanei e coerenti, ad eccezione delle attività introspettive, riflessive e contemplative che non comportano azioni esterne, ma solo osservazioni e azioni immaginarie.
In generale, il super-io è fautore di vincoli e nemico della libertà, dato che la vita della comunità dipende dal rispetto di regole (obblighi e divieti) che costituiscono, appunto, limitazioni della libertà individuale.
Il "controllo" del pensiero da parte del super-io ha una doppia funzione. La prima, come già accennato, serve ad evitare che il pensiero dia luogo ad atti "asociali". La seconda serve ad evitare il pericolo che le persone con cui il soggetto interagisce intuiscano i pensieri stessi (forse grazie ai “neuroni specchio”) e possano giudicare la loro valenza sociale, o "moralità" mettendo in tal modo a rischio l'appartenenza del soggetto alla comunità qualora certi pensieri vengano giudicati "asociali".
Questa lunga premessa è necessaria per spiegare il motivo per cui la “politica delle interazioni” (intesa come libero pensiero su come autogovernarsi e interagire con gli altri) è particolarmente presa di mira e censurata dal super-io.
Le interazioni tra esseri umani sono sistemiche e circolari, nel senso che ogni essere umano è un sistema che interagisce con altri esseri umani (sistemi anch'essi) per soddisfare i propri bisogni. Su tale sfondo, ogni transazione da una persona A ad una persona B dà normalmente luogo ad una transazione in senso opposto (da B verso A) detta “feedback”, a cui segue normalmente una ulteriore transazione da A verso B (feedback del feedback) e così via fino a che le parti non decidono di interrompere l’interazione temporaneamente o definitivamente.
Il feedback, cioè il modo in cui una persona A risponde ad una transazione originata verso di lui da una persona B, dipende da un complesso di algoritmi (cioè logiche) presenti nella mente di A.
Inoltre, ogni essere umano è in grado di prevedere (con un certo grado di precisione, probabilità e realismo) come il suo interlocutore risponderà alle varie transazioni possibili, e siccome ogni interazione è finalizzata ad un certo obiettivo, ognuno è in grado di scegliere il tipo di transazione ottimale da inviare all'altro in modo da ottenere una risposta che si avvicini il più possibile a quella desiderata.
La "politica delle interazioni" consiste proprio nell'arte di scegliere come comportarsi (e come non comportarsi) verso una certa persona al fine di ottenere da essa un comportamento desiderato (ed evitare un comportamento indesiderato).
È forse inutile dire che ogni essere umano applica sempre e comunque una certa politica delle interazioni, ma questa può essere più o meno consapevole e più o meno volontaria. Può essere inoltre più o meno libera in quanto basata su cognizioni (apprese) più o meno complesse e più o meno realistiche, e limitata dalle cognizioni stesse.
Si pone dunque un problema di conoscenza (o intuizione), consapevolezza, calcolo e volontarietà che riguarda sia le proprie politiche di interazione, sia quelle dei propri interlocutori, capacità che vengono normalmente censurate dal super-io per i motivi sopra considerati.
Bisogna inoltre tener conto del fatto che ogni persona è più o meno capace di intuire se il suo interlocutore sta esercitando la sua politica di interazione in modo consapevole o inconsapevole, e potrebbe considerare il primo caso “asociale” o comunque inquietante. Infatti la “spontaneità” (ovvero l’agire immediato e diretto, cioè non soggetto a riflessioni o domande) è generalmente considerata una virtù, e, viceversa, l’agire autocontrollato un difetto, qualcosa di "poco umano". Questo comune sentire non fa che rafforzare l'autocensura del super-io nei riguardi di una politica consapevole e razionale delle relazioni e interazioni sociali, a favore di una politica basata unicamente sugli "affetti".
Una politica consapevole delle interazioni può essere molto semplice e molto complessa allo stesso tempo. È semplice se si riduce alla constatazione che ognuno sceglie come comportarsi verso gli altri in base ai propri interessi, per cui alla fine quello che succede è un compromesso tra interessi e tra rapporti di forza. È complessa se si considerano una serie di difficoltà, tra cui:
Le relazioni e le interazioni umane sono regolate da politiche personali per lo più inconsce, irrazionali, mistificate e involontarie; sta a noi decidere se cercare di renderle più consapevoli, razionali, genuine e volontarie nonostante il boicottaggio del super-io e delle convenzioni sociali.
Oggi sono riuscito (per qualche ora) a vincere l'autocensura inconscia che normalmente mi impedisce di affrontare razionalmente un problema (che ho deciso di chiamare "politica delle interazioni") che riguarda il governo volontario e consapevole delle proprie relazioni e interazioni, sia esterne che interne, con particolare riguardo ai rapporti tra esseri umani.
Per relazioni e interazioni esterne intendo quelle tra la mia persona e il mondo esterno (cioè con le altre persone e gli altri esseri viventi e non viventi). Per relazioni e interazioni interne intendo quelle tra il mio io cosciente e il resto del mio corpo, supponendo che l'io cosciente sia "solamente" un organo del corpo.
Il super-io (teorizzato da Sigmund Freud) è, a mio parere, un organo del sistema nervoso umano (evoluzionisticamente piuttosto recente), la cui funzione è importante per la sopravvivenza e il benessere dell'uomo. Infatti, essendo questo capace di agire, oltre che per istinto, secondo logiche cognitive non ereditate biologicamente, ma apprese culturalmente, la qualità e "produttività" del suo comportamento dipendono dalla qualità e produttività delle nozioni che ha imparato, e che potrebbero essere "sbagliate" da un punto di vista "economico", naturalistico ed ecologico.
In tale ottica, il super-io serve soprattutto a proteggerci dal rischio di essere espulsi dalle comunità a cui apparteniamo. Infatti, a causa della nostra interdipendenza, appartenere ad almeno una comunità è indispensabile per la sopravvivenza e il benessere.
Più precisamente, il super-io limita il nostro pensiero e il nostro comportamento suscitando sentimenti sgradevoli come lo schifo, la paura, il panico ecc. appena cominciamo (o ci accingiamo) a pensare o a fare cose che, secondo la sua logica (appresa culturalmente), sono rischiose per la nostra appartenenza sociale. In tal mondo siamo "portati" ad evitare ogni pensiero e ogni azione qualificata dal super-io come "asociale" o "indegna".
Il fatto che il super-io agisca non solo sulle nostre azioni, ma anche e ancor prima sui nostri pensieri si spiega in quanto le nostre azioni sono il riflesso immediato di ciò che pensiamo. Grazie a ciò non ci sono fratture temporali tra pensiero e azione. Infatti, se dovessimo prima di ogni atto chiederci se è rischioso per la nostra dignità, il nostro comportamento mancherebbe di spontaneità e sarebbe alquanto rallentato Pensiero e azione sono dunque normalmente simultanei e coerenti, ad eccezione delle attività introspettive, riflessive e contemplative che non comportano azioni esterne, ma solo osservazioni e azioni immaginarie.
In generale, il super-io è fautore di vincoli e nemico della libertà, dato che la vita della comunità dipende dal rispetto di regole (obblighi e divieti) che costituiscono, appunto, limitazioni della libertà individuale.
Il "controllo" del pensiero da parte del super-io ha una doppia funzione. La prima, come già accennato, serve ad evitare che il pensiero dia luogo ad atti "asociali". La seconda serve ad evitare il pericolo che le persone con cui il soggetto interagisce intuiscano i pensieri stessi (forse grazie ai “neuroni specchio”) e possano giudicare la loro valenza sociale, o "moralità" mettendo in tal modo a rischio l'appartenenza del soggetto alla comunità qualora certi pensieri vengano giudicati "asociali".
Questa lunga premessa è necessaria per spiegare il motivo per cui la “politica delle interazioni” (intesa come libero pensiero su come autogovernarsi e interagire con gli altri) è particolarmente presa di mira e censurata dal super-io.
Le interazioni tra esseri umani sono sistemiche e circolari, nel senso che ogni essere umano è un sistema che interagisce con altri esseri umani (sistemi anch'essi) per soddisfare i propri bisogni. Su tale sfondo, ogni transazione da una persona A ad una persona B dà normalmente luogo ad una transazione in senso opposto (da B verso A) detta “feedback”, a cui segue normalmente una ulteriore transazione da A verso B (feedback del feedback) e così via fino a che le parti non decidono di interrompere l’interazione temporaneamente o definitivamente.
Il feedback, cioè il modo in cui una persona A risponde ad una transazione originata verso di lui da una persona B, dipende da un complesso di algoritmi (cioè logiche) presenti nella mente di A.
Inoltre, ogni essere umano è in grado di prevedere (con un certo grado di precisione, probabilità e realismo) come il suo interlocutore risponderà alle varie transazioni possibili, e siccome ogni interazione è finalizzata ad un certo obiettivo, ognuno è in grado di scegliere il tipo di transazione ottimale da inviare all'altro in modo da ottenere una risposta che si avvicini il più possibile a quella desiderata.
La "politica delle interazioni" consiste proprio nell'arte di scegliere come comportarsi (e come non comportarsi) verso una certa persona al fine di ottenere da essa un comportamento desiderato (ed evitare un comportamento indesiderato).
Si pone dunque un problema di conoscenza (o intuizione), consapevolezza, calcolo e volontarietà che riguarda sia le proprie politiche di interazione, sia quelle dei propri interlocutori, capacità che vengono normalmente censurate dal super-io per i motivi sopra considerati.
Bisogna inoltre tener conto del fatto che ogni persona è più o meno capace di intuire se il suo interlocutore sta esercitando la sua politica di interazione in modo consapevole o inconsapevole, e potrebbe considerare il primo caso “asociale” o comunque inquietante. Infatti la “spontaneità” (ovvero l’agire immediato e diretto, cioè non soggetto a riflessioni o domande) è generalmente considerata una virtù, e, viceversa, l’agire autocontrollato un difetto, qualcosa di "poco umano". Questo comune sentire non fa che rafforzare l'autocensura del super-io nei riguardi di una politica consapevole e razionale delle relazioni e interazioni sociali, a favore di una politica basata unicamente sugli "affetti".
Una politica consapevole delle interazioni può essere molto semplice e molto complessa allo stesso tempo. È semplice se si riduce alla constatazione che ognuno sceglie come comportarsi verso gli altri in base ai propri interessi, per cui alla fine quello che succede è un compromesso tra interessi e tra rapporti di forza. È complessa se si considerano una serie di difficoltà, tra cui:
- l’autocensura inconscia del super-io che ci impedisce di affrontare il problema in modo razionale e consapevole;
- la conoscenza scarsa e fallace degli “interessi” (cioè dei bisogni e dei desideri) delle parti in gioco, dovuta ad una cultura ancora sottosviluppata in tal senso, cioè ad una generale scarsa conoscenza della natura umana;
- le convenzioni sociali che ci impediscono di esprimere e negoziare liberamente i nostri “interessi” costringendoli all'interno di recinti “politicamente corretti”.
Le relazioni e le interazioni umane sono regolate da politiche personali per lo più inconsce, irrazionali, mistificate e involontarie; sta a noi decidere se cercare di renderle più consapevoli, razionali, genuine e volontarie nonostante il boicottaggio del super-io e delle convenzioni sociali.