Kant e l’uomo come mezzo o come fine

Kant e l’uomo come mezzo o come fine

Spesso chi cita Kant sbaglia dicendo che l’uomo non deve mai essere un mezzo, ma solo un fine. Infatti gli umani sono interdipendenti e hanno bisogno gli uni degli altri per soddisfare i loro bisogni ed essere felici. In altre parole, gli altri sono i principali mezzi per la sopravvivenza e il benessere degli uni.

Il testo kantiano dove si descrive il secondo imperativo categorico viene spesso tradotto come segue: «agisci in modo da trattare l’umanità sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre ANCHE come fine e mai SEMPLICEMENTE come mezzo». Qui l’avverbio “semplicemente” è una cattiva traduzione di “Bloß”, che significa “SOLTANTO”. Da questa cattiva traduzione nascono certi equivoci e fraintendimenti.

Comunque, dire che l’uomo dovrebbere essere un fine e non un mezzo non ci aiuta a comprendere la realtà della natura umana. Infatti non ha senso dire che l’uomo è un fine. Fine di chi? Di se stesso? Degli altri? Piuttosto dovremmo dire che l’uomo ha un fine, anzi diversi fini, nel senso di bisogni, desideri e obiettivi, tra cui quello di essere felice, ma per essere felice deve contribuire alla felicità altrui. Ognuno deve quindi porsi come “mezzo” o strumento per contribuire almeno in parte alla felicità altrui, se vuole che gli altri facciano altrettanto. Questo in generale. Poi è ovvio che non dobbiamo sfruttare il prossimo pensando solo ai nostri desideri, bisogni e obiettivi, ignorando quelli altrui. Ma non c’è bisogno di Kant per capirlo.

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