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Tema: Appartenenza

TEMA: Appartenenze

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Appartenenze e identità sociali

Il complemento grammaticale del verbo “appartenere” che risponde alla domanda "a che cosa?" è un “insieme”, il quale può essere un sistema o una classe. In altre parole le cose, le persone, gli oggetti, le idee, gli eventi ecc. (che chiamo collettivamente “enti”), appartengono a determinati insiemi, cioè a determinati sistemi e/o classi.

Un “sistema” è un insieme concreto (vivente o non vivente) organizzato, cioè costituito da parti (o sottosistemi) che interagiscono al fine di soddisfare i propri bisogni e/o di realizzare le funzioni del sistema stesso. Un sistema può essere meccanico, informatico, biologico, mentale, sociale, ecc. Può essere generato (formato, costruito) casualmente, a seguito di una evoluzione biologica, o “intenzionalmente” da un essere intelligente (come l’homo sapiens o un primate).

Una classe è un insieme cognitivo (cioè un’astrazione) caratterizzato da certe proprietà (ovvero caratteristiche), tali che tutti i membri (ovvero gli oggetti o gli enti) appartenenti a quella certa classe possiedono gli attributi caratteristici della classe stessa.

Non esiste alcunché che non appartenga a uno o più sistemi e/o classi, e la conoscenza umana consiste nello stabilire a quali “cose” (cioè a quali insiemi) gli enti riconoscibili appartengano, in termini di sistemi e/o di classi, e quali siano le proprietà dei sistemi e della classi di appartenenza.

Lo sviluppo della mente di un essere umano consiste nella formazione e accumulazione di classi e di modelli di sistemi nella memoria individuale, in modo da consentire all'individuo il riconoscimento di enti in quanto membri di classi e/o parti di sistemi caratterizzati da certe proprietà e da certe funzioni.

Per “classificazione” intendo l’associazione di un ente con una o più classi. In altre parole, classificare significa affermare che un certo ente è membro di certe classi.

Per “sistematizzazione” intendo l’individuazione di un ente come parte di uno o più sistemi.

Un’appartenenza implica delle aspettative, nel senso che se io penso che un ente X appartenga ad una classe Y o a un sistema Z, mi aspetto che X abbia le caratteristiche tipiche della classe Y o che si comporti (cioè che agisca e reagisca) come parte del sistema Z.

Il riconoscimento di un ente particolare deve quindi essere preceduta dalla definizione delle classi e/o dei sistemi a cui si ritiene che essa appartenga. Tuttavia la formazione delle classi e dei modelli di sistemi avviene attraverso le  esperienze di enti non ancora classificati e non ancora sistematizzati.

Un essere umano classifica e sistematizza se stesso e gli altri, nel senso che stabilisce in modo più o meno temporaneo o persistente, a quali classi e a quali sistemi egli stesso, e gli altri, appartengano.

L’identità sociale, o immagine sociale, di un essere umano consiste nella enumerazione delle classi e dei sistemi (biologici e sociali) predefiniti a cui si ritiene che esso appartenga.

Per un essere umano una classe/sistema è, ad esempio, una comunità culturale o subculturale, un gruppo, un partito politico, una categoria professionale, un movimento intellettuale, un tipo psicologico, un tipo etinico, un tipo fisico ecc.

Le appartenenze di un essere umano sono spesso problematiche in quanto costrittive, nel senso che un’appartenenza comporta una certa persistenza di attributi e di funzioni, che non possono essere cambiati liberamente, pena la perdità di identità sociale, e l’impossibilità di classificare, ovvero di qualificare una persona, e se stessi.

Essere e appartenere

A mio parere, "essere" significa appartenere ad una o più persone o categorie di persone, che nel seguito chiameremo "enti di appartenenza" o semplicemente "enti".

Così, ad esempio, una donna che pensa di essere bella (o brutta) pensa in realtà di appartenere alla categoria sociale delle donne belle (o brutte), con tutto ciò che tale appartenenza (più o meno reale o presunta, cioè più o meno riconosciuta dagli altri) comporta.

Gli "enti" (come sopra definiti) sono costrutti mentali più o meno condivisi con altre persone e caratterizzati da certe forme, norme, valori, vantaggi e/o svantaggi sociali.

L'appartenenza ad un ente è determinata da varie condizioni comportamentali, specialmente quelle di tipo mimetico, legate alla capacità di riprodurre i segni e i comportamenti caratteristici dell'ente di appartenenza, affinché essi siano "riconoscibili" dalle altre persone.

Come detto sopra, a ciascun ente sono associati particolari attributi, per cui l'appartenenza ad un certo ente implica (e richiede) che l'individuo sia "portatore" degli attributi caratteristici dell'ente stesso e di conseguenza detentore dei vantaggi e svantaggi sociali associati.

Per capire il comportamento dell'uomo e le sue espressioni verbali e non verbali, è allora spesso utile sostituire il verbo "essere" con il verbo "appartenere", tenendo presente che il bisogno fondamentale dell'uomo è quello di appartenere ad una (o più) comunità, a causa dell'interdipendenza caratteristica della nostra specie.

Tuttavia, a causa delle spinte competitive, la società è strutturata in gruppi contrapposti potenzialmente o francamente ostili o competitori ciascuno rispetto agli altri, per cui l'appartenenza ad un certo gruppo o ente può implicare (e richiedere) la non appartenenza a certi altri. In altre parole, le appartenenze possono essere mutuamente esclusive.

Perciò, accanto al bisogno e al desiderio di appartenere a certi enti, c'è normalmente il bisogno e il desiderio di non appartenere a certi altri.

La vita sociale è un gioco di appartenenze, in cui ognuno cerca di appartenere a certi enti per lui vantaggiosi (o ritenuti tali), e di dimostrarlo, ovvero di ottenere dagli altri il riconoscimento e l'accettazione delle appartenenze stesse. Il che è come dire che ognuno vorrebbe che gli altri lo riconoscano e lo accettino per come "è" o come crede di "essere" o vorrebbe "essere".

Molti disagi e disturbi mentali possono essere dovuti al bisogno di appartenere a enti mutuamente esclusivi, o, più in generale, alla frustrazione di non poter appartenere ad enti a cui si ha bisogno (o un forte desiderio) di appartenere.

L'appartenenza ha un aspetto qualitativo, uno funzionale e uno quantitativo. Il primo si riferisce al tipo di comunità, il secondo al ruolo del soggetto e il terzo alla sua posizione gerarchica nella comunità stessa. Quando si desidera appartenere, dunque, si desidera appartenere ad un certo ente, in un certo ruolo e in una certa posizione gerarchica (nelle varie gerarchie: politica, economica, etica, estetica, intellettuale, sessuale ecc ).

Tutto va bene quando l'aspirazione ad una certa appartenenza da parte di un soggetto è riconosciuta e accettata dagli altri, i problemi nascono quando c'è disaccordo o incomprensione sulle rispettive appartenenze attuali o desiderate.

Alla luce di quanto sopra, possiamo dire che ognuno crede di appartenere a certi enti, non crede di appartenere a certi altri, vorrebbe appartenere a certi enti, non vorrebbe appartenere a certi altri, e pensa che certe persone appartengano a certi enti e non a certi altri, con le relative conseguenze cognitive, emotive e motivazionali, e i pre-giudizi del caso.

È importante notare che le appartenenze non sono qualcosa di individuale che ognuno può concepire, o inventare, né qualcosa di oggettivo, ma consistono in convenzioni sociali, nel senso che non hanno significato, né valore o validità, che nella misura in cui vengono "riconosciute" dagli altri.

Che significa (per me) appartenere?

Qualche giorno fa un mio amico mi ha chiesto: che significa per te “appartenere”?

Siccome secondo me non dovremmo dare alle parole il significato che ci garba, ma quello definito da vocabolari autorevoli, sostituirei la domanda iniziale con quelle seguenti:

  1. che significa “appartenere” nella nostra lingua?
  2. a quali cose ritengo di appartenere?
  3. cosa comportano, secondo me, certe appartenenze?
Alla prima domanda (che significa “appartenere” nella nostra lingua?) risponderei che “appartenere” significa essere parte di qualcosa di più grande, che può essere un gruppo, un’organizzazione, una comunità, o una classe (o categoria) di cose concrete o astratte. (Nel seguito userò i termini classe e categoria come sinonimi.)

Dato il significato che ho esposto, alla seconda domanda (a quali cose ritengo di appartenere?) risponderei che ritengo di appartenere a diversi gruppi, comunità e classi, di cui dirò solo alcuni esempi. Per quanto riguarda le classi: esseri viventi, esseri umani, persone di sesso maschile, persone anziane, persone benestanti, informatici, cittadini italiani, mariti, genitori, persone interessate alle scienze umane e sociali, persone introverse, persone che votano per il centro-sinistra, automobilisti, persone di taglia XL, ecc. Per quanto riguarda organizzazioni e comunità di persone: la mia famiglia di origine, la famiglia che ho formato, l'insieme dei miei amici, le associazioni di cui sono membro, ecc.

Per quanto riguarda la terza domanda (cosa comportano, secondo me, certe appartenenze?) risponderei che l’appartenenza ad una organizzazione o comunità comporta diritti e doveri, soprattutto di solidarietà, di cooperazione, di condivisione, di responsabilità, di funzione ecc. purché si tratti di una comunità o organizzazione non imposta, ma scelta dall’individuo. Altra cosa è l’appartenenza ad una classe o categoria astratta. Questo secondo tipo di appartenenza non comporta né diritti né doveri, ma solo “aspettative” di tipo cognitivo. Intendo dire che se si ritiene che uno appartenga ad una certa classe, ci si aspetta che si comporti come si comportano tipicamente gli appartenenti a quella classe.

Le appartenenze di una persona possono essere più o meno oggettive o soggettive, reali o percepite. Messe insieme, esse  costituiscono l’identità sociale di una persona, con tutta una serie di diritti, doveri e aspettative che vengono assunti e presunti da chi stabilisce le appartenenze stesse.

Temo di non aver risposto alla domanda del mio amico, che si aspettava che io parlassi delle mie “personali” appartenenze, e non voleva sentire una tesi filosofico-sociologico-psicologica sulle appartenenze. Il fatto è che io mi rendo conto sempre di più del fatto che le mie appartenenze, escludendo quelle più ovvie (famiglia, organizzazioni e stato) sono relative, soggettive, arbitrarie e variabili, e io cerco di non farmi condizionare da esse.

Logica, pensiero, classi, appartenenze

Una logica (cioè un pensiero, giacché un pensiero è sempre un esercizio logico) definisce certe classi di enti, stabilisce l'appartenenza di certi enti a certe classi e trae le "logiche" conseguenze cognitive ed emotive nella considerazione degli enti considerati.

"Essere" significa infatti "appartenere" a certe classi, e può essere coniugato nelle sei persone grammaticali come segue.

  • Io appartengo a certe classi, dunque io sono certe cose.
  • Tu appartieni a certe classi, dunque tu sei certe cose.
  • Esso/essa appartiene a certe classi, dunque esso/essa è certe cose.
  • Noi apparteniamo a certe classi, dunque noi siamo certe cose.
  • Voi appartenete a certe classi, dunque voi siete certe cose.
  • Essi/esse appartengono a certe classi, dunque essi/esse sono certe cose.
Ogni essere vivente costruisce le sue classi secondo le proprie esperienze e i propri interessi, e le usa secondo i propri bisogni e desideri.

Le classi sono gli elementi logici fondamentali di ogni modello di pensiero, giacché il pensiero non è normalmente libero, ma segue dei modelli logici.

Allo scopo di diffondere e condividere una certa conoscenza della realtà, le culture e le scienze tentano di costruire classi universali, cioè modelli di "verità" uguali per tutti, e non mutevoli, ma le classi che propongono sono tra loro discordi, incomplete, fallibili, favoriscono interessi particolari più o meno onesti, e sono in continua evoluzione. Ciò avviene perché le classi sono prodotte e usate da menti umane per soddisfare i bisogni dei propri corpi, secondo le proprie esperienze.

Chiediamoci dunque quanto siano valide ed efficaci le classi che usiamo quando pensiamo, rispetto alla soddisfazione dei bisogni nostri e altrui.

Principi del pensiero simbolico

Ogni cosa è certe cose in quanto appartiene a certe classi. L'appartenenza di una cosa ad una certa classe implica che quella cosa abbia certe proprietà, cioè certe relazioni e certe interazioni con certe altre cose.

Esercizio mentale

Prova per qualche minuto, nei tuoi pensieri e in ciò che dici o che scrivi, ogni volta che stai per usare il verbo essere, a sostituirlo con il verbo "appartenere (ad una classe)". Sarà l'inizio di una rivoluzione mentale.

Appartenenza e condivisione

Per fare parte di un sistema sociale, cioè di un gruppo di umani cooperanti, occorre condividerne in misura sufficiente il linguaggio, le forme, le norme e i valori (in senso cognitivo, etico ed estetico).

Bisogno di appartenere

Ogni umano "normale" ha bisogno di appartenere (o di credere di appartenere) ad una comunità (reale o ideale) di persone che condividono certe idee e certi rituali (non importa se le idee siano vere o false, realistiche o illusorie).   Le relazioni e le interazioni umane sono infatti regolate da idee e rituali comuni, forme di riferimento senza le quali i quali i rapporti umani sarebbero caotici e violenti.   Dal bisogno di appartenere scaturisce il piacere indotto dalla conferma dell'appartenenza, l'ansia e la paura dell'isolamento sociale, e il dolore dell'esclusione.

Sui rituali sociali

Praticare con altre persone un rito o un rituale sociale grande (come ad esempio una messa o un evento sportivo) o piccolo (come ad esempio un semplice scambio di saluti o di auguri) è importante per un essere umano, perché conferma (consciamente o inconsciamente) la propria appartenenza ad una certa comunità, cioè ad una comunità caratterizzata dal fatto che in essa si praticano riti e rituali di un certo genere.

Praticare un rituale è dunque un modo per soddisfare (in modo reale, fittizio o illusorio) il bisogno di appartenenza e di integrazione sociale, uno dei bisogni più forti e profondi per un essere umano.

Pertanto si può affermare che l'uomo ha bisogno di rituali, senza i quali la sua appartenenza sociale sarebbe sempre incerta, e tale incertezza causa di ansia.

Pertanto suppongo che il piacere associato alla pratica di un rituale sia dovuto ad una diminuzione dell'ansia da dubbio di appartenenza sociale.

Fare e appartenere

Fare una cosa di un certo tipo significa anche dimostrare di appartenere alla categoria di persone che fanno quel tipo di cose. A volte questa dimostrazione di appartenenza è più importante e più significativa della cosa che si fa.

Rituali di condivisione

Ogni essere umano ha bisogno di celebrare periodicamente rituali di condivisione con altri umani. Non importa ciò che viene condiviso (vanno bene anche cose false o senza senso) purché ci sia condivisione. Si può partire da una persona e cercare cose che possono essere condivise con essa, oppure partire da una cosa e cercare persone con cui essa può essere condivisa.

Conseguenze dell'interdipendenza degli esseri umani

Nel profondo della psiche, e anche in superficie (ovvero nell'inconscio e nel conscio) vi è la constatazione della nostra totale dipendenza dagli altri, per cui non possiamo comportarci in modi che abbiano come conseguenza la nostra emarginazione sociale. Da questa constatazione di base derivano gran parte dei nostri comportamenti esteriori e interiori consci e inconsci, e i nostri sentimenti morali.

Il piacere della sottomissione

A mio parere, l'uomo ha una tendenza innata a sottomettersi agli "altri", intendendo con questa parola non singoli individui, ma ciò che George H. Mead definisce come "Altro generalizzato". Si tratta di un ente mentale che potremmo chiamare anche "spirito della comunità", riferendoci alla comunità soggettiva e ideale a cui ognuno vorrebbe appartenere, caratterizzata da particolari aspetti culturali, intellettuali, economici,  estetici, etici, religiosi, ecc.

L'uomo, infatti, non può esistere né soddisfare i propri bisogni al di fuori di una comunità e il dramma esistenziale di ognuno consiste nel trovare e mantenere un posto sostenibile in una comunità sostenibile, vale a dire una comunità e un posto tali da permettergli di soddisfare in modo stabile e inesauribile tutti i propri bisogni.

La sottomissione è dunque funzionale all'appartenenza, anzi, ne è condizione imprescindibile. In termini sistemici si può infatti dire che un ente non può far parte di un sistema se non viene accettato dal sistema stesso, cioè se le altre parti non accettano di interagire con l'ente in questione in modo cooperativo.

L'ente che vorrebbe entrare a far parte di un sistema deve dunque adattarsi al sistema (e non viceversa), anche se una parte può, in condizioni particolari e in una certa misura, modificare il sistema stesso. Questo vale anche per un individuo che aspira a far parte di una comunità.

Dal momento che le comunità moderne sono molto numerose e fluide in termini di prerequisiti, un individuo ha una certa libertà di scelta sia relativamente alle comunità a cui appartenere, sia per quanto riguarda i ruoli da giocare nelle stesse. Tuttavia, una volta effettuata tale scelta, all'individuo non resta che sottomettervisi, per godere dei benefici derivanti dall'appartenenza alla comunità e per non rischiare di perderli. Vale a dire che l'individuo, dopo aver esercitato la libertà di scelta, deve rinunciare all'ulteriore esercizio di tale libertà in virtù della stabilità acquisita. D'altra parte, la sottomissione è una fonte di piacere (di cui il soggetto è più o meno consapevole) in quanto motivo di soddisfazione e di sicurezza.

Un individuo potrebbe tuttavia ritrovarsi sottomesso a comunità e/o a ruoli che non soddisfano sufficientemente i propri bisogni. In questo caso la sottomissione è causa di frustrazione, conflitto o paura e può dar luogo alla ricerca di nuove comunità o di nuovi ruoli nella comunità di appartenenza.

Riassumendo, la soddisfazione dei bisogni e la sicurezza di un essere umano sono normalmente legati alla sua sottomissione a certe comunità e a certi ruoli nelle stesse. Quando le comunità e i ruoli soddisfano sufficientemente i bisogni dell'individuo, questo prova piacere nella sottomissione. In caso contrario, la teme.

Condividere, condividere, condividere!

Io suppongo che gli esseri umani abbiano un forte bisogno innato di condividere idee, esperienze, conoscenze, credenze, narrazioni, motivazioni, sentimenti, oggetti, strumenti, spazi e tempi ecc. Insomma, tutto ciò che è per loro utile e/o importante.

Il bisogno di condivisione è profondo e spesso inconscio, nascosto. L’uomo fa tantissime cose allo scopo di soddisfare il suo bisogno di condivisione, illudendosi di avere altri motivi, come se il bisogno di condivisione non abbia una sua sufficiente dignità e giustificazione.

Se io chiedo a qualcuno il perché di una sua certa abituale attività sociale lui mi risponde probabilmente che fa quelle cose perché gli piace farle, o perché è interessato ai contenuti di quel tipo di attività. Ma queste non sono le vere ragioni, cioè le ragioni “prime”.

Infatti se io chiedo a quella persona perché quella particolare attività sociale gli piace o perché è interessato ad essa, forse non saprà dire altro che “mi piace perché mi piace” o “mi interessa perché mi interessa”. Ebbene, io credo che le attività sociali ci piacciono e ci interessano nella misura in cui ci permettono di condividere con altri cose che ci stanno a cuore, oppure cose qualsiasi, purché siano condivisibili. Perché condividere qualcosa è un modo per stare insieme, per entrare in relazione, per interagire, per far parte di una comunità, che è la cosa che più ci piace e ci interessa.

Perciò, se non riuscite a capire perché certe persone fanno certe cose insieme ad altri, probabilmente il motivo è che desiderano condividere qualcosa con gli altri per unirsi a loro, e quell'attività è un buon pretesto, una buona giustificazione. Insomma, si tratta di condividere per interagire, e di interagire per appartenere, non importa cosa venga condiviso, anche cose senza senso, purché vi sia condivisione.

Mi sembra impossibile capire molte attività sociali senza questa chiave di comprensione: condividere per appartenere.

Credere per appartenere

Credere è anche un mezzo per appartenere ad una comunità, soddisfacendo così uno dei più importanti bisogni umani. Infatti, credendo in certe sedicenti verità si appartiene automaticamente alla comunità di coloro che credono nelle stesse verità. Ma non debbono essere verità ovvie, altrimenti sarebbe come appartenere all'umanità in generale, cosa poco utile ai fini della solidarietà.

Conseguenze del bisogno di comunità (o di condivisione)

Il bisogno di comunità (ovvero di condivisione) dà luogo a diversi desideri, come quelli di stare in compagnia di persone simili a sé, indurre gli altri a diventare come se stessi, e diventare come gli altri. In altre parole, il bisogno di comunità è causa del desiderio di imitare gli altri e/o di essere imitati dagli altri nella visione del mondo, nei comportamenti, nei modi di pensare (e di non pensare), nei sentimenti, nelle motivazioni, nelle capacità (e incapacità) e negli aspetti esteriori.

Riti, appartenenza, obbedienza

Partecipare ai riti ed eseguire i rituali tipici di una certa comunità serve a confermare e dimostrare la propria appartenenza ad essa e la necessaria obbedienza alle sue norme, implicite nelle sue tradizioni civili e religiose.

Tradizioni, imitazione e integrazione sociale

Le tradizioni sono esercizi e gare di imitazione. L'imitazione (cioè la riproduzione) di forme sociali è un valore "dimostrativo". Infatti, chi meglio imita le forme sociali della comunità di appartenenza dimostra una maggiore integrazione sociale e quindi una maggiore forza e resilienza. Anche le mode, in quanto forme sociali, costituiscono un terreno di competizione nella gara a chi è più "sociale", ovvero più conforme alle caratteristiche della comunità.

Doveri di appartenenza

Per appartenere ad una certa comunità, una persona deve fare ciò che quella comunità si aspetta da un membro nel ruolo e nella posizione che la persona ha o desidera avere nella comunità stessa. In altre parole, per appartenere ad una comunità è necessario servirla, ovvero esserle utile. Non si può appartenere come parassiti.

Ansia, senso di colpa e senso di comunità

L'ansia (che è forse il disagio mentale oggi più diffuso) potrebbe essere causata da un senso di colpa verso la comunità, cioè dalla supposizione inconscia di non aver compiuto abbastanza i propri doveri verso di essa, e di meritare perciò di esserne espulsi o emarginati.

Se ciò fosse vero, la terapia potrebbe consistere nello stabilire quale sia la comunità di riferimento, quali i doveri e quali le colpe, ovvero i doveri non assolti, i debiti non pagati, gli impegni non mantenuti.

Oppure (seconda ipotesi) l'ansia potrebbe essere causata dalla paura che i membri della comunità scoprano che il soggetto non si sente legato alla comunità stessa, non si sente parte di essa, ovvero è emotivamente estraneo e indifferente o perfino ostile ad essa. Nel caso tale estraneità o ostilità venisse scoperta, il soggetto sarebbe automaticamente espulso dalla comunità.

Mentre nella prima ipotesi il problema è risolvibile compiendo i dovuti doveri e ottenendo così il perdono da parte degli altri membri della comunità, nella seconda ipotesi il problema potrebbe essere irrisolvibile e irreparabile, specialmente dal punto di vista dell'inconscio.

Potremmo definire la seconda ipotesi la "sindrome della spia" dato che, nel caso la verità venisse scoperta, il soggetto diventerebbe automaticamente, inesorabilmente e notoriamente, un pubblico nemico della comunità.

Quanto sono realistici i rischi e i pericoli nelle due ipotesi? Direi  molto poco, perché gli altri probabilmente non si curano del soggetto, dei suoi doveri, o delle sue eventuali finzioni, o se ne curano molto meno di quanto il soggetto creda. D'altra parte gli altri potrebbero avere gli stessi problemi del soggetto, o anche di più gravi.

In ogni caso, va detto che oggi viviamo in una società in cui il senso di comunità si viene sempre più perdendo, e con esso i problemi di fedeltà comunitaria. In altre parole, non c'è ormai quasi più nulla a cui essere fedele. La faccenda ha quindi un lato negativo e uno positivo. Resta il fatto che l'uomo ha un bisogno genetico di appartenenza a una o più comunità (a causa della nostra interdipendenza), e la frustrazione di tale bisogno ha probabilmente conseguenze patologiche.

Sia come sia, ciò che conta è essere rispettati e possibilmente benvoluti dalle persone che incontreremo, indipendentemente dalle comunità di riferimento. A tal fine la prima regola è quella di non criticare i nostri interlocutori, né direttamente, né indirettamente, ovvero di nascondere le nostre critiche nel modo più sicuro.

In questo ci verrà in aiuto l'autocensura inconscia, che ci spingerà in ogni momento a chiederci se ciò che stiamo facendo o che ci accingiamo a fare è socialmente rischioso, ovvero con quante probabilità attirerà su di noi antipatie o ostilità da parte delle persone della cui benevolenza abbiamo bisogno.

Per concludere, una semplice regola per evitare i sensi di colpa, sarebbe quella di non fare, per quanto possibile e opportuno, cose che non possano essere raccontate pubblicamente senza imbarazzo.

Sacralità della comunità

L'uomo ha continuamente, geneticamente, bisogno di confermare la sua appartenenza ad una comunità, a causa dell'interdipendenza della nostra specie.

Affinché la conferma di appartenenza si concretizzi, è necessario che l'individuo imiti o riproduca ripetutamente di fronte agli altri le forme caratteristiche della comunità stessa, cioè quelle che permettono di riconoscerla e la distinguono dalle altre.

Per tale motivo l'uomo tende a fare le stesse cose che fanno gli altri membri della comunità a cui sente di appartenere, (modulate secondo ruoli predefiniti) indipendentemente dalla utilità pratica e razionalità dei gesti sociali imitati e riprodotti.

L'appartenenza ad una comunità è infatti, per l'inconscio,  una cosa "sacra", e il sacro non si discute né si analizza razionalmente, altrimenti lo si dissacra. Al sacro si obbedisce ciecamente, nel sacro di ha fede, il sacro si può e si deve solo amare e temere.

Sacrificio e sacro

Il sacrificio (piccolo o grande che sia) è un elemento essenziale della celebrazione del sacro, ovvero della conferma dell'appartenenza ad una comunità umana.

Il sacrificio comporta necessariamente un disagio, una rinuncia, una violenza, una frustrazione, una sofferenza perché serve a dimostrare che l'attaccamento alla comunità è più forte della sofferenza provocata dal sacrificio stesso.

Il senso nascosto delle feste

A mio avviso, le feste hanno funzioni sociali importanti, forse indispensabili, altrimenti non sarebbero così diffuse ancora oggi in tutte le culture. Secondo me le feste si festeggiano per piacere e per paura. Si festeggiano per piacere perché danno gioia (anche se non sempre e non a tutti), come tutte le attività che favoriscono le interazioni sociali e confermano l'appartenenza ad una propria comunità. In altre parole, soddisfano i bisogni di appartenenza e di interazione sociale.

Si festeggiano per paura, perché il non festeggiarle potrebbe essere interpretato come un volontario allontanamento dalla comunità di appartenenza e un evitamento delle relative interazioni sociali, e pertanto essere disapprovato dagli altri, col rischio di venire emarginati in quanto "diversi".

Questo è secondo me il vero senso delle feste, non quello dichiarato, che è un pretesto, a volte insignificante o insensato, per socializzare. Mi pare infatti che l'uomo (tranne poche eccezioni) non riesca a socializzare al di fuori di regole comunitarie, come feste e altri usi e costumi tradizionali.

Appartenenza e sue implicazioni: requisiti, interazione, gerarchia, competizione, violenza

Per sopravvivere e soddisfare i propri bisogni, l’uomo deve appartenere a un ambiente che gli fornisce (o lo aiuta a trovare) ciò di cui necessita. Per "appartenere" intendo il fatto di essere ecologicamente parte di qualcosa di più grande.

Per appartenere ad un ambiente, un essere vivente deve soddisfare i requisiti minimi da esso imposti, primo tra tutti, quello di tollerare l'ambiente stesso. Tuttavia, in una certa misura, l’individuo può anche contribuire a modificare l’ambiente e quindi i suoi requisiti.

Tranne nei casi di parassitismo, ogni essere vivente facente parte di un ambiente deve contribuire alla vita dell’ambiente stesso, cioè dare alle altre parti del sistema ecologico qualcosa di cui esse hanno bisogno.

Nel caso dell’ambiente sociale, i requisiti di appartenenza consistono in forme, norme e valori delle comunità a cui l’individuo deve adeguarsi per essere accettato.

L’appartenenza di un individuo ad una comunità gli permette di interagire in modo cooperativo con altri individui per un comune vantaggio diretto o indiretto. Se il vantaggio non è reciproco, l'interazione si può definire parassitaria nei confronti di chi viene sfruttato.

L’interazione cooperativa tra due individui è regolata dalle norme della comunità di appartenenza. Queste norme definiscono le forme e i significati di interazioni, scambi, gesti, segnali ecc. e specificano i ruoli, i diritti, i doveri, i permessi e i divieti da rispettare.

Le regole di interazione sono stabilite e somministrate da persone che rivestono il ruolo di autorità morali e/o politiche della comunità, le quali fungono anche da giudici in caso di contenzioso.

La cooperazione tra individui richiede normalmente una gerarchia di potere attraverso la quale vengono stabilite e imposte (a tutti i livelli) direttive su ciò che i membri della comunità debbono e non debbono fare (specialmente in caso di disaccordo). Anche le autorità morali e politiche della comunità sono organizzate gerarchicamente, per cui debbono sottostare alle prescrizioni dei superiori.

Le posizioni della gerarchia sono oggetto di competizione, nel senso che ogni membro della comunità aspira ad occupare le posizioni più alte possibili in base alle proprie capacità. In caso di competizione per una certa posizione, è l’autorità di livello superiore che stabilisce chi debba occuparla.

La competizione può essere non violenta (cioè avvenire secondo regole che i contendenti rispettano) o violenta (se uno o entrambi i contendenti agiscono al di fuori delle regole convenute, oppure non vi è accordo su alcuna regola). A volte, inoltre, le regole convenute vengono cambiate unilateralmente nel corso del conflitto.

A complicare le cose ci sono i conflitti più o meno violenti tra diverse comunità che non riescono a fondersi in un unico organismo sociale. In tal caso l'individuo si trova a dover scegliere con quale comunità e contro quale stare, non essendo quasi mai consentita la neutralità.

Quanto sopra costituisce un possibile paradigma del comportamento sociale dell’uomo in senso relazionale ed ecologico. Tale paradigma esclude narrazioni di tipo religioso, spiritualistico, metafisico o ontologico.

A mio parere, la psicologia dell'individuo (di cui ho trattato ampiamente altrove) è funzione del paradigma sopra descritto, nel senso che la psiche serve a gestire le relazioni sociali che permettono all’individuo di soddisfare i propri bisogni. Ciò avviene attraverso l’appartenenza ad una o più comunità, la rispondenza ai requisiti da esse imposti, l’interazione cooperativa con gli altri, il rispetto delle gerarchie e la competizione per le posizioni migliori nelle stesse.

Importanza fondamentale del bisogno di appartenenza

A mio parere, la cosa più importante per un essere umano, dopo la soddisfazione dei suoi bisogni fisici, è l’appartenenza ad una comunità o società, in quanto indispensabile per la sopravvivenza dell’individuo e la conservazione della sua specie. Possiamo chiamare tale necessità “bisogno di appartenenza o di integrazione sociale”. Si tratta di un bisogno primario o primordiale, ovvero scritto nel DNA, e fondamentale nel senso che da esso derivano una quantità di bisogni secondari e di desideri (consci e ancor più inconsci), che si sviluppano sulla base delle esperienze, come mezzi o strategie per soddisfare il bisogno principale.

Nel sistema nervoso umano, il bisogno di appartenenza si avvale di un sistema omeostatico di controllo che induce l’individuo a mantenersi integrato in una comunità. Il controllo viene realizzato mediante l’attivazione di sentimenti dolorosi di angoscia o paura, di intensità proporzionale alla percezione di un pericolo di perdita dell’integrazione, e di sentimenti piacevoli di gioia di intensità proporzionale alla percezione di un aumento dell’integrazione.

I bisogni sono causalmente concatenati nel senso che, ad esempio, la soddisfazione del bisogno A facilita la soddisfazione del bisogno B che a sua volta facilita la soddisfazione del bisogno C e così via fino al bisogno di appartenenza X. Tali concatenazioni sono in gran parte inconsce per cui se la soddisfazione del bisogno A provoca piacere, è probabile che in realtà quel piacere sia dovuto, nell'esempio di cui sopra, ad un’anticipazione della soddisfazione del bisogno X ovvero quello di appartenenza.

La mia ipotesi è che tutto ciò che l’uomo fa e da cui trae gioia, ha una valenza sociale (conscia o inconscia) positiva, ovvero favorisce direttamente o indirettamente l’integrazione sociale del soggetto, così come tutto ciò che l’uomo fa e da cui trae angoscia o paura ha una valenza sociale negativa, ovvero rischia di causare direttamente o indirettamente l’esclusione o l’emarginazione del soggetto dalla sua comunità di appartenenza, o l’assegnazione ad esso di un ruolo gerarchicamente meno favorevole.

Per concludere, per capire perché le persone fanno ciò che fanno e non fanno ciò che non fanno, può essere utile chiedersi: in quale misura ciò che fanno favorisce direttamente o indirettamente la loro integrazione sociale e in quale misura ciò che non fanno potrebbe causare direttamente o indirettamente una loro esclusione o penalizzazione sociale?

Bisogno di aggregazione

Noi umani abbiamo bisogno di aggregarci in qualche modo. Qualsiasi pretesto, ideale, religione, filosofia, credenza, usanza, tradizione, moda, lotta, progetto, obiettivo comune può andar bene, purché permetta un'aggregazione, che è il vero fine, ed è più importante dello scopo apparente dell'aggregazione stessa. Ovviamente in essa si possono assumere ruoli diversi, come quello di pastore, legislatore, guardiano, guerriero, finanziatore, chierichetto, portabandiera, inserviente ecc., a seconda della personalità di ognuno.

Appartenenza: bisogno, rifiuto, conferma, trasformazione

Credo che oggi tutta la comunità scientifica sia concorde nel riconoscere che il bisogno di appartenenza, integrazione e partecipazione sociale (al quale si accompagna la paura dell'esclusione o dell'emarginazione) sia il bisogno umano più forte e importante. Su questo vorrei fare qualche riflessione.

Innanzitutto occorre chiarire cosa significhi appartenenza e quali siano il suo oggetto e le sue forme. Infatti si può appartenere ad uno o più gruppi sociali, o comunità, ben definiti di cui si conoscono tutti i membri, oppure ad uno o più gruppi caratterizzati dalle prerogative che accomunano i suoi membri. Infine, si può appartenere ad una o più categorie sociali astratte di persone aventi caratteristiche comuni.

Mentre nelle società preistoriche e, più in generale, in quelle classificate come "fredde" da C. Lévy-Strauss, esiste un solo gruppo sociale a cui è indispensabile appartenere, pena la morte per isolamento o condanna di tradimento, oggi è possibile, più o meno facilmente, migrare da una comunità ad un'altra, e appartenere a più comunità.

Detto ciò, mi pare che un primo problema, per ogni essere umano oggi, sia quello di scegliere a quali comunità appartenere, intendendo per comunità un insieme di persone legate da un patto implicito o esplicito di collaborazione, mutuo rispetto, mutuo soccorso e fedeltà alle forme, norme e valori caratteristici della comunità stessa. In questa scelta occorre tener conto del fatto che ci possono essere incompatibilità tra comunità, nel senso che appartenere ad una di esse può implicare l'esclusione da certe altre.

Ovviamente ogni essere umano nasce come membro di una certa comunità, che è quella dei suoi genitori, e in essa e per essa viene educato e formato. La comunità di nascita, con le sue forme, norme e valori, resterà per sempre impressa nella sua mente e soprattutto nel suo inconscio, e non sarà facile liberarsene, se non in parte.

In ognuno di noi si pone dunque, innanzitutto, il problema della misura in cui accettare o rifiutare l'appartenenza alla propria comunità di nascita.

L'appartenenza ad una comunità non è gratuita, nel senso che impone certi obblighi e divieti sia formali che sostanziali, ovvero implica una rinuncia più o meno importante alle proprie libertà. Perciò il bisogno di appartenenza e quello di libertà sono costituzionalmente antitetici e la soddisfazione dell'uno implica la frustrazione dell'altro, come ci insegna Luigi Anepeta nella sua "teoria strutturale dialettica", anche detta dei "bisogni intrinseci".

La conflittualità e l'antagonismo tra il bisogno di appartenenza e quello di libertà si configura come un "doppio vincolo" (come definito da Gregory Bateson) e, in quanto tale, se non viene gestito in modo consapevole, realistico, efficiente ed equilibrato, può essere causa di disturbi mentali (nevrosi o psicopatie) quali ansia, insicurezza, timidezza, immobilismo, narcisismo, angoscia, depressione, claustrofobia, agorafobia, panico, schizofrenia ecc.

Chi stabilisce la misura in cui una persona appartiene ad una certa comunità? E con quale frequenza l'appartenenza deve essere confermata? A prescindere dai casi in cui l'appartenenza viene affermata esplicitamente a parole, con gesti o mediante il conferimento di diplomi, tessere o altri riconoscimenti formali, la valutazione del grado di appartenenza è sempre soggettiva. Infatti ognuno fa una propria valutazione, più o meno realistica, del grado di appartenenza, ma, ciò che più conta, è la propria percezione della misura in cui lo valutano gli altri membri della comunità.

Siccome una valutazione insufficiente del proprio grado di appartenenza ad una comunità di elezione è normalmente causa di sofferenza, per evitare il dolore il soggetto cerca continuamente conferme dell'appartenenza con diverse strategie e in diversi modi, più o meno illusori.

Un modo collettivo di confermare la propria appartenenza ad una certa comunità consiste nell'interagire con altri membri di essa, ovvero incontrarli, conversare con loro o fare qualsiasi cosa insieme a loro, qualcosa di attivo, come lavorare, combattere, giocare, suonare, cantare, danzare, studiare, meditare, coltivare insieme una disciplina, oppure di passivo, come assistere ad uno spettacolo, evento sportivo, cerimonia ecc.

Un modo individuale di confermare la propria appartenenza ad una certa comunità consiste nel compiere azioni aventi un significato simbolico, come vestirsi in un certo modo, arredare la casa in un certo modo, leggere certi giornali e certi libri, scrivere, creare opere d'arte, coltivare individualmente una disciplina, pregare, compiere atti religiosi e, in generale attività preparatorie in vista dei prossimi incontri, ovvero fare cose di cui parlare o da condividere nei futuri incontri con altri membri della comunità.

Si potrebbe dire che la comunità di elezione, con le sue forme, norme e valori, interiorizzata nell'entità psichica che George H. Mead ha chiamato "l'altro generalizzato", costituisce un modello a cui occorre conformarsi e un interlocutore con cui occorre interagire per confermare la propria umanità, ovvero per mantenere la propria salute mentale e continuare a fare degnamente parte della società e della comunità.

Osservando senza pregiudizi le varie comunità formali e informali a cui gli abitanti del nostro pianeta appartengono per costrizione o scelta, non possiamo non vedere quanto le loro forme, norme e valori siano per lo più residui di mentalità arcaiche, ignoranti, violente, irrazionali, assurde, superstiziose, costrittive e incompatibili con le conoscenze scientifiche attuali e con la necessità di trasformazione dell'umanità per evitare la sua estinzione a causa delle crisi economiche, sociali, belliche ed ecologiche a livello globale.

Per concludere, dato che l'uomo ha un ineluttabile e profondo bisogno di partecipare ad attività sociali, e che quelle proposte dalle comunità attuali sono per lo più insoddisfacenti rispetto ai bisogni individuali e collettivi a causa dei loro effetti collaterali negativi, sarebbe bene inventare e praticare nuove attività sociali più sane, intelligenti e creative, alle quali si possa partecipare in modo soddisfacente e senza effetti collaterali pericolosi. Ma ciò è possibile solo tra persone che hanno sviluppato una buona capacità critica verso le forme, norme e valori delle proprie comunità di appartenenza.

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