Una piccola dissertazione di teologia (di Hermann Hesse, da “Il mio credo”)

Una piccola dissertazione di teologia (di Hermann Hesse, da “Il mio credo”)

“Oggi, mettendo insieme pensieri e appunti di anni diversi, redigerò alcune tesi nelle quali metterò in correlazione due delle mie idee predilette:
l’idea che mi sono fatta dei tre gradi del divenire umano, e l’idea dei due tipi fondamentali di umanità.

{1} La prima di queste idee è per me importante, anzi sacra: è semplicemente la verità. La seconda è del tutto soggettiva e, come spero, non sarà da me trattata con maggiore serietà di quanto meriti; tuttavia mi è stata assai utile nella osservazione della vita e della storia.


La via del divenire umano comincia con l’innocenza (il paradiso, l’infanzia, il limbo dell’irresponsabilità). Da qui in avanti essa procede in direzione della colpa, della conoscenza del bene e del male {7} verso le esigenze della cultura, della morale, della religione, dell’ideale umanità. Chiunque passerà seriamente, da autonomo individuo, per questi gradi, finirà immancabilmente nella disperazione, vale a dire dovrà constatare l’impossibilità di realizzare la virtù, la completa obbedienza, il necessario servizio. Vedrà che la giustizia è irraggiungibile, che la bontà resta inadempiuta.
Ebbene, questa disperazione porta al tracollo, oppure a un terzo regno dello spirito, a una condizione al di là della morale e della legge, a una introduzione alla Grazia e alla redenzione, a una nuova, più alta forma di irresponsabilità, in breve: alla fede. Non importa quale forma o espressione la fede assuma, il suo contenuto è ogni volta il medesimo: dice che noi, per quanto ci è possibile, dobbiamo tendere al bene, senza tuttavia sentirci responsabili della imperfezione del mondo o della nostra; che noi non governiamo noi stessi, ma siamo governati; che al di sopra della nostra conoscenza c’è un Dio o un ente che dobbiamo servire, al quale dobbiamo affidarci.

[…] io, gradualmente, attraverso pause di anni e di decenni, ritrovando i medesimi significati dell’esistenza umana presso indiani, cinesi e cristiani, ho visto confermata l’intuizione di un problema di fondo, espresso dovunque in simboli analoghi. Nessun’altra esperienza più di questa mi ha confermato che la vita dell’uomo ha un qualche significato, che la necessità umana e la ricerca dell’umanità in ogni epoca e in ogni parte della terra sono una cosa unica.
Non importa se noi, come accade a molti, oggi, consideriamo l’espressione religiosa e filosofica del pensiero e dell’esperienza umana appartenente a un’epoca invecchiata e attualmente superata. Ciò che qui io chiamo « teologia » è a mio avviso qualcosa di temporale, il prodotto di uno stadio dell’umanità che potrà essere superato e perire. Anche l’arte, anche la lingua sono forse mezzi di espressione relativi solo a determinati gradi della storia umana, anch’esse possono essere superate e sostituite. Ma credo che a ogni grado, per l’uomo che ricerca la verità, nulla sia più importante e consolante che percepire come alla base della divisione in razze, colori, lingue e culture ci sia una unità {1}che non ci sono uomini e spiriti diversi ma solo una umanità, solo uno spirito.

[…] Dalle esperienze e dalle letture a me è risultata una classificazione degli uomini in due tipi principali che io chiamo i razionalisti e i religiosi […]
Il razionalista crede che l’uomo di oggi sia più evoluto e più progredito di Confucio, di Socrate o di Gesù perché l’uomo di oggi ha sviluppato con più forza alcune capacità tecniche. Il razionalista crede che la terra sia stata concessa all’uomo in sfruttamento. Il suo peggior nemico è la morte, il pensiero della caducità della propria vita e del proprio operare. Egli evita di pensarci, e quando non riesce a evitare il pensiero della morte cerca scampo nell’attivismo […]

Il religioso crede che l’uomo sia una parte della terra creata per servire. Il religioso, quando è preso dal terrore di fronte alla morte e alla caducità, cerca scampo nella fede, nell’idea che il creatore (o la natura) consegua i suoi fini anche con questo mezzo per noi terrificante; né vede la virtù nel dimenticare o nel combattere il pensiero della morte, bensì nella atterrita ma reverenziale dedizione a un più alto volere.
Egli non crede nel progresso, in quanto il suo modello non è la ragione, bensì la natura; e nella natura egli non può scorgere alcun progresso, ma solo il puro fruire e il realizzarsi di forze infinite, senza una riconoscibile meta finale.”

[Germann Hesse]

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