Quasi tutti temiamo le contraddizioni. Infatti, quando critichiamo qualcuno, cerchiamo e mettiamo in evidenza le sue contraddizioni (anche quando non ci sono o sono solo apparenti), mentre cerchiamo di dimostrare che nei nostri ragionamenti non ve ne sono. Infatti crediamo che una contraddizione in un pensiero sia indice di errore, di stupidità o di follia del pensatore.
Aristotele, col suo principio di non contraddizione, anche detto del “terzo escluso”, ha trasformato il timore della contraddizione in una solida teoria filosofica e ne ha fatto un fondamento della cosiddetta verità.
In realtà, a mio parere, un pensiero che non ammette contraddizioni è falso, in quanto deforma e semplifica la realtà rappresentandola in modo riduttivo, e perciò illusorio. Infatti il principio di non contraddizione non si applica alla realtà in sé, ma al linguaggio che la descrive, il quale è sempre riduttivo se afferma qualcosa in modo assoluto, cioè senza specificare i limiti e le condizioni di validità dell’affermazione stessa.
Prendiamo ad esempio una moneta. Una persona X dice che quella moneta reca l’immagine di una certa persona A, mentre una persona Y dice che quella moneta reca l’immagine di una certa persona B diversa da A. Una persona Z dice che se X ha ragione, Y ha necessariamente torto, e viceversa. Ebbene, Z è in errore perché X e Y potrebbero avere entrambe ragione, cioè aver detto entrambe la verità, pur essendo le loro affermazioni contraddittorie. Infatti la moneta, essendo dotata di due facce, potrebbe recare in una faccia l’immagine di A e nell’altra l’immagine di B.
Qualsiasi affermazione dipende da certe presupposti (cioè condizioni, contesti, situazioni, assiomi ecc.). Questi possono essere di vario tipo: semantici, culturali, temporali, spaziali, quantitativi, statistici, visuali, strutturali ecc. Ne consegue che un’affermazione può essere contraddetta da una opposta se esse sono basate su presupposti diversi o indefiniti, cioè se partono da punti di vista diversi.
Infatti, pensieri e affermazioni non possono abbracciare e descrivere l’intera realtà (in ogni spazio, in ogni tempo, in ogni contesto ecc.), ma solo una piccola parte di essa. Tuttavia normalmente non ci preoccupiamo di definire i limiti dell’ambito dei nostri pensieri, e sarebbe comunque difficile, anche volendo, definire tali limiti. In altre parole, dietro ogni testo (cioè dietro ogni affermazione) c’è un contesto che raramente viene definito, né esplicitamente né implicitamente.
Insomma, le contraddizioni all’interno di un discorso o nel confronto tra due discorsi sono normali e sane, mentre l’assenza di contraddizioni è a mio avviso indice della fallacia e/o dell’incompletezza di qualunque affermazione che non sia corredata da complementi di informazione circostanziali, condizionali, relativi o limitativi.
Per quanto ne so, il primo autore che ha messo in discussione il principio aristotelico di non contraddizione è stato Alfred Korzybski, con la sua “semantica generale” e la sua “logica non-aristotelica”. Purtroppo il pensiero di Korzybski non ha ottenuto i riconoscimenti e la diffusione che merita, forse perché mette in discussione le fondamenta epistemologiche della cultura accademica, in quanto basata sulla logica aristotelica.
Così, ancora oggi, noi umani litighiamo contraddicendo e/o accusando l’un l’altro di contraddizioni, senza accorgerci del fatto che la nostra paura delle contraddizioni ci induce in errore.
A mio parere, i filosofi più illuminati sono quelli che amano, coltivano e cercano le contraddizioni in ogni discorso, in quanto indizi di verità e di completezza.