In una “chat” di filosofia, è stato posto il seguente quesito:
In che modo la filosofia, con la sua metodologia razionale e critica, deve relazionarsi alle religioni e a qualsiasi forma di dogmatismo? Esiste un’incompatibilità intrinseca e strutturale tra il pensiero filosofico e la fede religiosa o è possibile armonizzarle? Lo stesso filosofo può conciliare la ricerca della verità con una propria fede o non può più definirsi filosofo?
Segue la mia risposta.
Il filosofo, in quanto ricercatore della verità, deve denunciare come falsità ogni affermazione che abbia una certa notorietà, che il filosofo stesso valuta come falsa.
Religioni e dogmatismi, in quanto asseriscono e diffondono false informazioni, devono dunque essere dichiarati come falsi dal filosofo.
Nessuna armonizzazione è possibile tra verità e falsità in senso logico-razionale. Infatti un’affermazione, riferita a un certo momento, a un certo luogo e a un certo contesto, non può essere vera e falsa allo stesso tempo. Può invece essere parzialmente vera e/o falsa relativamente a certi aspetti e in certe condizioni, che vanno specificate. D’altra parte la verità è sempre relativa, e chi parla di verità assoluta, con l’iniziale minuscola o maiuscola, è esso stesso diffusore di falsità.
L’armonizzazione tra verità e falsità è invece possibile in senso estetico e/o emotivo, e in tal senso è molto comune.
Il filosofo che non denuncia le falsità in quanto tali è a mio avviso un cattivo filosofo, e di cattivi filosofi è piena la storia della filosofia.
Purtroppo l’ambiente accademico evita accuratamente di dire che qualche filosofo sia un cattivo filosofo, atteggiamento che io considero deplorevole, ed è il motivo per cui non ho fiducia nella filosofia accademica. D’altra parte anche i peggiori filosofi, anche i ciarlatani, a volte dicono qualcosa di vero e interessante in mezzo alle loro falsità, e questo complica il giudizio.