Considerazioni suscitate dalla lettura di un articolo di Telmo Piovani intitolato “Biologia dell’altruismo” (nilalienum.it/Sezioni/Darwin/PievAltruismo.html).
In una prospettiva evoluzionistica, l’altruismo è vantaggioso non per l’individuo, ma per il gruppo a cui egli appartiene. Tuttavia l’appartenenza ad un gruppo avvantaggiato dal comportamento altruista dei suoi membri costituisce indirettamente un vantaggio per i suoi stessi membri, rispetto ai membri di altri gruppi di persone meno altruiste.
Questo schema si complica quando in un gruppo di persone prevalentemente altruiste si “nascondono” persone prevalentemente egoiste. In tal caso gli intrusi hanno un doppio vantaggio: uno diretto e uno indiretto. Perciò l’ipocrisia non smascherata è vincente per l’individuo, come pure è vincente, per il gruppo e per i suoi membri, ogni azione di “smascheramento” degli ipocriti.
Occorre osservare, d’altra parte, che, laddove per la sopravvivenza dell’individuo non sia necessaria l’appartenenza ad un gruppo molto coeso e cooperativo (ovvero quando le condizioni ambientali e sociali facilitano la vita anche al di fuori del gruppo) l’altruismo perde di importanza e non è premiato dalla selezione naturale. In altre parole, più facile è la vita al di fuori di un gruppo, più le persone tendono a comportarsi in modo egoistico. A tal proposito Samuel Bowles ha scritto: “Il conflitto è la levatrice dell’altruismo: la generosità e la solidarietà verso i propri simili possono essere emerse soltanto in combinazione con l’ostilità verso gli esterni al gruppo”.
Si può dunque parlare di “altruismo localistico”. Tuttavia, in una prospettiva di globalizzazione e di rischi planetari, le cose possono cambiare, dato che il nemico da combattere non è più costituito (solo) da gruppi rivali o nemici, ma dalle catastrofi naturali che possono colpire tutti gli abitanti della Terra, sia per colpa dell’attività antropica che per cause da essa indipendenti. La “patria” diventa dunque l’intero pianeta e i suoi nemici gli egoisti ipocriti che non contribuiscono al bene comune o lo mettono a rischio. Ne consegue che lo smascheramento dell’ipocrisia diventa essenziale per la sopravvivenza della nostra specie.
A margine di tali considerazioni evoluzionistiche, suppongo, da un punto di vista fisiologico, che il comportamento altruistico (quando esiste ed è genuino) sia per lo più spontaneo, cioè involontario, automatico ed inconscio. Presumo che esso sia regolato da meccanismi neuronali di “ricompensa sociale”, che rilasciano endorfine (quando avvengono interazioni sociali cooperative e affettive) dalle quali si diventa facilmenti dipendenti come avviene con sostanze stupefacenti esterne. In altre parole, chi è abituato sin da piccolo ad “assumere” certe endorfine, non può più farne a meno e, per ottenerle, è motivato a comportarsi in modo da guadagnare ricompense sociali (e quindi a interagire cooperativamente, altruisticamente e affettivamente con gli altri).
In tal senso, ipotizzo che fenomeni come l’autismo o l’asperger possono essere causati da disfunzioni fisiche genetiche (totali o parziali) del meccanismo di cui sopra.
Inoltre, penso che molti comportamenti egoistici potrebbero essere dovuti ad un arresto del meccanismo di ricompensa sociale a seguito della cessazione della “normale” dipendenza dalle “endorfine sociali”. Tale cessazione potrebbe avvenire dopo una assenza di ricompense sociali (ovvero di interazioni sociali gradevoli) oltre una certa durata. Per le persone più sfortunate, tale assenza inizia dalla nascita, a causa di un deficit parentale, e potrebbe non avere mai fine.