Ogni umano ha una sua visione del mondo. Una visione del mondo è costituita da definizioni e valutazioni di enti (concetti, oggetti, persone, idee, comportamenti ecc.). Le valutazioni (dette anche giudizi) sono di vari tipi: logico (vero/falso), etico (buono/cattivo), estetico (bello/brutto), pragmatico (utile/inutile), dimensionale (grande/piccolo, importante/non importante) ecc.
Le valutazioni possono riguardare qualsiasi ente, compresi gli esseri umani e i loro comportamenti (sia in quanto individui unici sia in quanto categorie di persone).
Ogni essere umano, anche se non lo ammette, giudica (consciamente o inconsciamente, direttamente o indirettamente) ogni altro essere umano e se stesso. Il giudizio è cognitivo (giusto/sbagliato) ed emotivo (attrazione/repulsione), e quello emotivo precede e influenza quello cognitivo nel senso che tendiamo a considerare giusto ciò che ci attrae e sbagliato ciò che ci repelle.
Il giudizio dell’uomo sull’uomo è problematico in quanto può avere conseguenze indesiderate e nefaste. Infatti esso può essere offensivo o percepito come tale dagli interessati, compreso il soggetto che giudica se stesso o che si sente giudicato dagli altri. La conseguenza di un giudizio sfavorevole può essere una reazione difensiva e/o aggressiva (rabbia e desiderio di rivalsa), depressiva (senso di colpa o di inferiorità) o evitante, cioè di allontanamento o fuga.
Per evitare gli effetti socialmente distruttivi dei giudizi sfavorevoli dell’uomo sull’uomo, i meccanismi di difesa della psiche nel soggetto giudicabile adottano varie strategie.
Una di esse consiste nel dividere gli esseri umani in classi (gruppi, categorie o comunità) e giudicare favorevolmente quelli che appartengono a certe classi (a cui appartiene anche il soggetto) e sfavorevolmente gli altri, in modo che vi sia coesione, pace e solidarietà nella classe di appartenenza e un’eventuale ostilità solo verso le altre.
Un’altra strategia consiste nell’astensione dal giudizio, tranne nei casi di comportamento estremamente antisociale o nei casi percepiti dal soggetto come dannosi per sé stesso.
Entrambe le strategie comportano bias cognitivi, pregiudizi e distorsioni della realtà, ovvero autoinganni e “doppi vincoli”, con forme più o meno gravi di schizofrenia.
Infatti è impossibile non giudicare, così come è impossibile non comunicare e non pensare, e affermare di non giudicare è sempre falso e illusorio. Un giudizio cognitivo-emotivo (conscio o inconscio) c’è sempre e può essere più o meno positivo (cioè più o meno favorevole al giudicato) o neutro, proprio come in un tribunale. Perfino lo stesso atto di giudicare può essere oggetto di giudizio, tanto che chi giudica esplicitamente e francamente passa facilmente per arrogante.
Il fatto è che il comportamento di ogni essere umano può essere più o meno utile o nocivo agli altri, e non chiedersi quanto lo sia significa non voler vedere la realtà perfino quando ci riguarda direttamente o indirettamente.
Rifiutarsi di giudicare è assurdo, sciocco e irresponsabile come non voler vedere il male che qualcuno sta facendo a qualcun altro. In realtà, coloro che si negano il diritto di giudicare ignorano il male che gli altri fanno al prossimo, tranne quando ne sono essi stessi vittime. Il risultato è una degradazione morale del vivere civile accompagnata da egoismo e indifferenza per le sofferenze altrui.
Nelle conversazioni tra amici o conoscenti, per evitare l’insorgere di antipatie e di ostilità, e per non essere esclusi dai gruppi e dalle comunità, c’è l’abitudine di non esprimere giudizi sul comportamento umano, sia riguardo ai presenti, sia in generale, dato che chiunque può sentirsi implicato o alluso in un giudizio generale sfavorevole. Sono infatti ammessi solo giudizi negativi verso classi e tipi di persone a cui sicuramente nessuno dei presenti appartiene. Questo è ciò che viene comunemente chiamato “tatto”, “etichetta”, “buone maniere”, e “politicamente corretto”.
Tra i giudizi sfavorevoli diretti o indiretti, c’è quello che riguarda la visione del mondo e la capacità critica della persona giudicata. Difficilmente, infatti, un essere umano tollera che qualcuno metta in discussione, direttamente o indirettamente la propria visione del mondo e la propria capacità di giudizio, in quanto esse costituiscono le fondamenta della propria personalità e moralità, ovvero della propria dignità sociale.
Ci sono persone capaci di mettersi in discussione, ma se a mettere in discussione la nostra personalità è qualcun altro, allora si scatena il loro meccanismo di difesa in forma di attacco o fuga rispetto al giudicante, normalmente percepito come aggressore e offensore, sia a livello emotivo che cognitivo.