Blog di Bruno Cancellieri (parte 1)
 
Le mie volontà e rappresentazioni vs. le volontà e rappresentazioni degli altri

Le mie volontà e rappresentazioni vs. le volontà e rappresentazioni degli altri

Questo articolo è stato prodotto da ChatGPT a seguito del mio prompt “Le mie volontà e rappresentazioni vs. le volontà e rappresentazioni degli altri. Scrivi un piccolo saggio con questo titolo”

In ogni momento della nostra esistenza, ci muoviamo dentro un tessuto invisibile ma potente fatto di volontà e rappresentazioni. Da un lato, vi sono le mie volontà: desideri, slanci, bisogni, visioni del mondo che sento come autenticamente miei, talvolta persino come ineluttabili. Dall’altro, vi sono le volontà e rappresentazioni degli altri: ciò che gli altri vogliono, si aspettano, immaginano, temono, proiettano. Tra questi due poli si gioca l’intero dramma della vita umana.

Il filosofo Schopenhauer, nel suo tentativo titanico di spiegare il mondo attraverso la categoria di volontà, ci offre un utile punto di partenza. Secondo lui, il mondo intero – compreso l’essere umano – non è altro che manifestazione di una Volontà cieca e incessante, universale e impersonale. Tuttavia, nella coscienza individuale, questa volontà si frammenta in volontà soggettive: e qui cominciano i conflitti.

Quando affermo “le mie volontà”, parlo di ciò che mi muove dall’interno. Esse appaiono spesso come assolute, se non addirittura sacre, perché nascono dalla mia esperienza vissuta. Ma nel momento in cui queste volontà si incarnano nel mondo sociale, si scontrano inevitabilmente con quelle altrui, altrettanto urgenti e apparentemente legittime. Le rappresentazioni, cioè le immagini mentali, le narrazioni e i giudizi che ciascuno produce sul mondo, fanno da cornice e da filtro a queste volontà, alimentandole o limitandole.

Il conflitto, dunque, è strutturale. Non è solo etico o politico, ma ontologico: la mia volontà vuole affermarsi, e così anche quella dell’altro. La mia rappresentazione tende a interpretare, a classificare, a giudicare l’altro; e così fa l’altro nei miei confronti. Questo scontro può manifestarsi in modi drammatici – guerre, sopraffazioni, incomprensioni – oppure in forme più sottili: incomunicabilità, frustrazione, silenzi.

E tuttavia, non siamo condannati a vivere come monadi cieche e in lotta. Se riconosco che anche l’altro ha una volontà e una rappresentazione che gli appaiono tanto autentiche quanto le mie lo sono a me, posso iniziare un lavoro filosofico di spossessamento, o quantomeno di relativizzazione. Non per annullare la mia volontà, ma per renderla capace di convivere con l’alterità, senza esserne inghiottita o senza volerla dominare.

Il punto non è scegliere tra me e gli altri, ma comprendere che ogni “io” è già da sempre intrecciato con un “tu”. Le mie volontà e rappresentazioni non sono mai isolate: nascono in un mondo già abitato, impregnato di altre presenze. La tensione tra questi poli può diventare una fonte di sofferenza, ma anche – se affrontata con lucidità – un’occasione di maturazione e verità.

In fondo, il vero compito non è forse quello di imparare a vivere nella consapevolezza di questo contrasto, senza fingere che non esista e senza esserne schiacciati?

Forse la filosofia comincia proprio qui: nel punto esatto in cui il mio mondo interiore urta contro quello dell’altro, e mi costringe a domandarmi chi sono, cosa voglio davvero, e se posso esistere senza negare l’altro – né negarmi.

2 commenti

    1. newman

      L’articolo si riferisce, credo, al compito di ogni essere umano. Forse “compito” non è la parola più appropriata. Si potrebbe dire che la saggezza impone, o richiede, di imparare a vivere….

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