Per piacere o per paura

Per piacere o per paura

Una risposta molto semplice alla domanda “perché facciamo ciò che facciamo e non facciamo ciò che non facciamo?” potrebbe essere: “per piacere o per paura”, ovvero, più precisamente, per attrazione (o desiderio) del piacere e/o per repulsione (o paura) del dolore. Infatti ritengo che aver paura di una certa cosa implichi prevedere (consciamente o inconsciamente) che quella cosa possa procurarci del dolore, direttamente o indirettamente. Ritengo inoltre che essere attratti da una certa cosa implichi prevedere (consciamente o inconsciamente) che quella cosa possa procurarci del piacere, direttamente o indirettamente.

Ovviamente tale risposta non può essere definitiva perché subito dopo dovremmo farci domande sulla natura del piacere che ci attrae e del dolore che ci repelle. In altre parole, dovremmo chiederci cosa ci piace e cosa ci fa soffrire, e poi chiederci: perché ci piace ciò che ci piace e ci fa paura ciò che ci fa paura?

Per rispondere a tutte queste domande, io parto dal concetto di “bisogno”, intendendo con tale termine ciò che è indispensabile ad un essere vivente per sopravvivere come specie e, seppure per un tempo limitato, come individuo (infatti qualsiasi specie si estinguerebbe se i suoi esemplari non sopravvivessero almeno per il tempo necessario alla loro riproduzione).

Presumo inoltre che il piacere e il dolore siano gli strumenti attraverso i quali l’organismo obbliga gli animali capaci di provare piacere e dolore, a comportarsi in modo da soddisfare in misura sufficiente i bisogni della propria specie.

Questo meccanismo è relativamente semplice se parliamo di bisogni primari, cioè quelli scritti nel DNA, più complesso se parliamo di bisogni secondari o acquisiti, o indotti, ovvero di quei bisogni che costituiscono dei mezzi per soddisfare bisogni primari, ma che possono anche rivelarsi nocivi in tal senso, essendo i bisogni secondari un effetto della cultura, dell’educazione, delle esperienze personali e della loro elaborazione razionale, che può anche essere erronea, così come una cultura può essere più o meno sana.

Per riprendere la semplice risposta alla domanda iniziale, io suppongo che tutto ciò che facciamo lo facciamo per il piacere di farlo o per la paura di non farlo, così come tutto cià che evitiamo di fare, lo evitiamo per la paura di farlo.

Partendo da tale supposizione, credo convenga chiedersi se le nostre previsioni di piacere non siano illusorie, e se le nostre previsioni di dolore (cioè le nostre paure) non siano infondate. Infatti ritengo che una persona è saggia nella misura in cui non ha paure infondate o esagerate rispetto alla loro reale natura, e nella misura in cui non si illude di ricavare piacere da ciò che non lo può conferire, o che è di breve durata e seguito da sofferenze.

In altre parole, il saggio sa realisticamente cosa provoca piacere e cosa provoca dolore, e in quale misura, e si comporta di conseguenza.

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