A proposito dei dibattiti sulla violenza di genere

A proposito dei dibattiti sulla violenza di genere

Durante un dibattito tra amici sui maltrattamenti “delle donne” da parte “degli uomini”, ho scritto il seguente commento.
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Permettetemi di tentare un’analisi psico-logica di questa interessante discussione, interessante non tanto per l’oggetto del contendere (che per me è elaborato a sufficienza), quanto per il modo e le logiche con cui i contendenti contendono.

La chiave principale per capire tutto ciò, è a mio avviso il “senso di appartenenza”, che è uno dei processi (consci e inconsci) più importanti della mente umana. Infatti, ogni uomo sente di appartenere alla categoria degli “uomini”, e ogni donna a quella delle “donne”. Appartenenza implica identificazione (conscia e/o inconscia).

Un’altra importante chiave è a mio avviso il “senso morale”, ovvero l’assegnazione di un valore sociale più o meno positivo o negativo a certi comportamenti interpersonali, e il bisogno di dimostrare la positività morale, o la non immoralità, del proprio comportamento.

Ebbene, se si ipotizza che “gli uomini sono cattivi”, allora chi sente di appartenere alla categoria degli uomini ipotizza “logicamente” che egli stesso, in quanto uomo, è cattivo, e questo comporterebbe il rischio (consapevole o inconsapevole) di esclusione dalla comunità in quanto la qualifica di “cattivo” implica infrazione dei codici morali della comunità stessa.

La logica è quella aristotelica classica: “gli uomini sono mortali, io sono un uomo, quindi sono mortale”. È una logica che agisce soprattutto a livello inconscio.

In virtù (o meglio, in vizio) di tale logica applicata grossolanamente, in modo assoluto, non relativizzato, questo dibattito è divenuto presto un “moral status game”, dove ognuno cerca di difendere dalle accuse di immoralità la categoria a cui sente di appartenere (e implicitamente se stesso), e di accusare la categoria opposta di qualche immoralità, colpa o responsabilità. Come minimo si accusa la parte avversa di aver accusato ingiustamente la propria parte.

Come se ne esce? Semplicemente sostituendo l’espressione “gli uomini si comportano così”, con l’espressione “certi uomini si comportano così”. Se poi si riescono a quantificare con percentuali statistiche le parti immorali delle categorie in questione, è ancora meglio.

Come diceva Nanni Moretti: le parole sono importanti. Vanno perciò usate con cautela.

La parola d’ordine è dunque “relativizzare”.

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