Appartenenza: bisogno, rifiuto, conferma, trasformazione

Appartenenza: bisogno, rifiuto, conferma, trasformazione

Credo che oggi tutta la comunità scientifica sia concorde nel riconoscere che il bisogno di appartenenza, integrazione e partecipazione sociale (al quale si accompagna la paura dell’esclusione o dell’emarginazione) sia il bisogno umano più forte e importante. Su questo vorrei fare qualche riflessione.

Innanzitutto occorre chiarire cosa significhi appartenenza e quali siano il suo oggetto e le sue forme. Infatti si può appartenere ad uno o più gruppi sociali, o comunità, ben definiti di cui si conoscono tutti i membri, oppure ad uno o più gruppi caratterizzati dalle prerogative che accomunano i suoi membri. Infine, si può appartenere ad una o più categorie sociali astratte di persone aventi caratteristiche comuni.

Mentre nelle società preistoriche e, più in generale, in quelle classificate come “fredde” da C. Lévy-Strauss, esiste un solo gruppo sociale a cui è indispensabile appartenere, pena la morte per isolamento o condanna di tradimento, oggi è possibile, più o meno facilmente, migrare da una comunità ad un’altra, e appartenere a più comunità.

Detto ciò, mi pare che un primo problema, per ogni essere umano oggi, sia quello di scegliere a quali comunità appartenere, intendendo per comunità un insieme di persone legate da un patto implicito o esplicito di collaborazione, mutuo rispetto, mutuo soccorso e fedeltà alle forme, norme e valori caratteristici della comunità stessa. In questa scelta occorre tener conto del fatto che ci possono essere incompatibilità tra comunità, nel senso che appartenere ad una di esse può implicare l’esclusione da certe altre.

Ovviamente ogni essere umano nasce come membro di una certa comunità, che è quella dei suoi genitori, e in essa e per essa viene educato e formato. La comunità di nascita, con le sue forme, norme e valori, resterà per sempre impressa nella sua mente e soprattutto nel suo inconscio, e non sarà facile liberarsene, se non in parte.

In ognuno di noi si pone dunque, innanzitutto, il problema della misura in cui accettare o rifiutare l’appartenenza alla propria comunità di nascita.

L’appartenenza ad una comunità non è gratuita, nel senso che impone certi obblighi e divieti sia formali che sostanziali, ovvero implica una rinuncia più o meno importante alle proprie libertà. Perciò il bisogno di appartenenza e quello di libertà sono costituzionalmente antitetici e la soddisfazione dell’uno implica la frustrazione dell’altro, come ci insegna Luigi Anepeta nella sua “teoria strutturale dialettica”, anche detta dei “bisogni intrinseci”.

La conflittualità e l’antagonismo tra il bisogno di appartenenza e quello di libertà si configura come un “doppio vincolo” (come definito da Gregory Bateson) e, in quanto tale, se non viene gestito in modo consapevole, realistico, efficiente ed equilibrato, può essere causa di disturbi mentali (nevrosi o psicopatie) quali ansia, insicurezza, timidezza, immobilismo, narcisismo, angoscia, depressione, claustrofobia, agorafobia, panico, schizofrenia ecc.

Chi stabilisce la misura in cui una persona appartiene ad una certa comunità? E con quale frequenza l’appartenenza deve essere confermata? A prescindere dai casi in cui l’appartenenza viene affermata esplicitamente a parole, con gesti o mediante il conferimento di diplomi, tessere o altri riconoscimenti formali, la valutazione del grado di appartenenza è sempre soggettiva. Infatti ognuno fa una propria valutazione, più o meno realistica, del grado di appartenenza, ma, ciò che più conta, è la propria percezione della misura in cui lo valutano gli altri membri della comunità.

Siccome una valutazione insufficiente del proprio grado di appartenenza ad una comunità di elezione è normalmente causa di sofferenza, per evitare il dolore il soggetto cerca continuamente conferme dell’appartenenza con diverse strategie e in diversi modi, più o meno illusori.

Un modo collettivo di confermare la propria appartenenza ad una certa comunità consiste nell’interagire con altri membri di essa, ovvero incontrarli, conversare con loro o fare qualsiasi cosa insieme a loro, qualcosa di attivo, come lavorare, combattere, giocare, suonare, cantare, danzare, studiare, meditare, coltivare insieme una disciplina, oppure di passivo, come assistere ad uno spettacolo, evento sportivo, cerimonia ecc.

Un modo individuale di confermare la propria appartenenza ad una certa comunità consiste nel compiere azioni aventi un significato simbolico, come vestirsi in un certo modo, arredare la casa in un certo modo, leggere certi giornali e certi libri, scrivere, creare opere d’arte, coltivare individualmente una disciplina, pregare, compiere atti religiosi e, in generale attività preparatorie in vista dei prossimi incontri, ovvero fare cose di cui parlare o da condividere nei futuri incontri con altri membri della comunità.

Si potrebbe dire che la comunità di elezione, con le sue forme, norme e valori, interiorizzata nell’entità psichica che George H. Mead ha chiamato “l’altro generalizzato”, costituisce un modello a cui occorre conformarsi e un interlocutore con cui occorre interagire per confermare la propria umanità, ovvero per mantenere la propria salute mentale e continuare a fare degnamente parte della società e della comunità.

Osservando senza pregiudizi le varie comunità formali e informali a cui gli abitanti del nostro pianeta appartengono per costrizione o scelta, non possiamo non vedere quanto le loro forme, norme e valori siano per lo più residui di mentalità arcaiche, ignoranti, violente, irrazionali, assurde, superstiziose, costrittive e incompatibili con le conoscenze scientifiche attuali e con la necessità di trasformazione dell’umanità per evitare la sua estinzione a causa delle crisi economiche, sociali, belliche ed ecologiche a livello globale.

Per concludere, dato che l’uomo ha un ineluttabile e profondo bisogno di partecipare ad attività sociali, e che quelle proposte dalle comunità attuali sono per lo più insoddisfacenti rispetto ai bisogni individuali e collettivi a causa dei loro effetti collaterali negativi, sarebbe bene inventare e praticare nuove attività sociali più sane, intelligenti e creative, alle quali si possa partecipare in modo soddisfacente e senza effetti collaterali pericolosi. Ma ciò è possibile solo tra persone che hanno sviluppato una buona capacità critica verso le forme, norme e valori delle proprie comunità di appartenenza.

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