Se la disoccupazione aumenta la colpa non è dei governi o dei cosiddetti “poteri forti”, ma soprattutto del continuo progresso tecnologico che sempre di più sostituisce i lavoratori con computer e robot (aumentando la produttività), e della concorrenza dei paesi più poveri dove si lavora in condizioni di semischiavitù, senza garanzie e con rischi per la salute.
Non c’è e non potrà esserci lavoro per tutti, a meno che non si riduca mediamente di almeno il 30% l’orario di lavoro, cosa che però renderebbe ancora meno competitive le aziende che lo facessero, rispetto a quelle in cui l’orario di lavoro è più lungo. Ovviamente bisognerebbe anche proibire alle persone di lavorare più di 5 ore al giorno.
Solo le persone più competitive e fortunate riescono e a trovare un lavoro (con salari mediamente in diminuzione), le altre sono condannate alla miseria, a meno che non si stabilisca un salario di cittadinanza per tutti, tassando massicciamente le grandi ricchezze per coprire l’esborso, ma questo indurrebbe i più ricchi ad emigrare e a spostare le loro attività economiche in paesi in cui la tassazione è più favorevole. Occorre anche dire che, in una economia globalizzata, il miglioramento dell’economia di un paese corrisponde spesso al peggioramento di quella di qualcun altro per effetto della concorrenza.
I governi sono impotenti rispetto a questo immenso problema, che può essere risolto solo a livello globale se i singoli paesi rinunceranno alla loro sovranità a favore di uno stato federale mondiale o almeno continentale.
Altrimenti ci dobbiamo aspettare un ulteriore livellamento delle condizioni di vita tra i paesi più ricchi e quelli più poveri (con l’impoverimento di quelli più ricchi), un ulteriore aumento della disoccupazione e del divario tra i ricchi (sempre più ricchi e meno numerosi) e i poveri (sempre più poveri è più numerosi) e la scomparsa del ceto medio.
Sperare in altre soluzioni è ingenuo e illusorio; prometterle è demagogico.