… Lungi dall’essere riservato a taluni casi patologici, come pensano gli psicologi americani che lo hanno messo in rilievo, il “double bind” [doppio vincolo], il doppio imperativo contraddittorio, o piuttosto il reticolo di imperativi contraddittori in cui gli uomini non cessano di rinchiudersi vicendevolmente, deve apparirci come un fenomeno estremamente banale, il più banale di tutti forse, e il fondamento stesso di tutti i rapporti tra gli uomini.
Gli psicologi ai quali abbiamo fatto allusione hanno perfettamente ragione di pensare che nei casi in cui il bambino è esposto al “double bind”, i suoi effetti su di lui saranno particolarmente disastrosi. Qui sono tutti gli adulti, cominciando dal padre e dalla madre, sono tutte le voci della cultura, perlomeno nella nostra società, che ripetono su tutti i toni «imitaci », «imitami», «sono io a possedere il segreto della vita vera, dell’essere autentico…». Più il bambino è attento a quelle seducenti parole, più è pronto e ansioso di seguire i suggerimenti che gli vengono da ogni dove e più disastrose saranno le conseguenze degli scontri che non mancheranno di verificarsi. Il bambino non dispone di nessun punto di riferimento, di nessuna distanza, di nessuna base di giudizio che gli permetterebbe di ricusare l’autorità di quei modelli. Il “no” che essi gli rimandano risuona come una terribile condanna. Su di lui pesa una vera scomunica. Tutto l’orientamento dei suoi desideri, cioè la selezione futura dei modelli, ne sarà colpito. È la sua personalità definitiva ad essere in gioco.
Se il desiderio è libero di fissarsi dove vuole, la sua natura mimetica lo trascinerà quasi sempre nell'”impasse” del “double bind”. La libera “mimesis” si getta ciecamente sull’ostacolo di un desiderio concorrente; genera il proprio fallimento e questo, di rimando, rafforzerà la tendenza mimetica. C’è qui un processo che si nutre di se stesso, che va sempre più esasperandosi e semplificandosi. Ogniqualvolta il discepolo crede di trovare l’essere davanti a sé, si sforza di raggiungerlo desiderando quel che l’altro gli indica; e ogni volta incontra la violenza del desiderio che gli sta di fronte. Con sintesi ad un tempo logica e delirante, deve presto convincersi che la violenza stessa è il segno più sicuro dell’essere che sempre lo elude. La violenza e il desiderio sono ormai collegati l’una all’altro. Il soggetto non può subire la prima senza veder risvegliarsi il secondo. […]
[René Girard, “La violenza e il sacro” – Ed. Adelphi – pagine 206-208]