Proverò a spiegare il fenomeno della gelosia in chiave interazionista, come esempio di applicazione dell’Antropologia Interazionale.
Secondo l’Enciclopedia della psicologia di U. Galimberti, la gelosia è “lo stato emotivo determinato dal timore, fondato o infondato, di perdere la persona amata nel momento in cui questa rivela affezione verso un’altra persona”.
Usando un approccio interazionista, per spiegare la gelosia dobbiamo mettere al primo posto il bisogno primario di interazione sociale (comune ad ogni essere umano) e le varie strategie inconsce che esso può adottare per soddisfare tale bisogno e, una volta soddisfatto, evitare che le interazioni abituali vengano in futuro a mancare.
Non possiamo quindi fare a meno di considerare che le interazioni umane avvengono in un regime di concorrenza e relativa carenza di “risorse” nel senso che non tutte le persone sono disposte ad interagire con chi lo vorrebbe, senza contare che una persona può interagire solo con un numero limitato di persone per ovvi motivi pratici. Si presuppone inoltre che, chi può, sceglie, sia pure inconsciamente, le persone con cui interagire in funzione del massimo vantaggio (in termini materiali o spirituali) che prevede possa ottenere dall’interazione stessa. Da ciò consegue che, per un soggetto, il rischio (reale o percepito) di perdita della possibilità di interazione con la persona amata è inversamente proporzionale al proprio grado di competitività sessuale o sociale (reale o percepito), e quindi anche alla propria autostima, e direttamente proporzionale all’attrattività della persona amata, che la espone alle attenzioni di potenziali rivali.
Un’altra considerazione da fare riguarda l’esclusività delle interazioni e cioè l’idea che una persona che abbia un certo tipo di interazioni con qualcuno non possa avere lo stesso tipo d’interazione anche con altri. Parlando di relazioni coniugali o amorose questo è generalmente il caso nella maggior parte delle culture, ma non possiamo escludere che l’esigenza di esclusività abbia anche origini genetiche, come suggerito dal comportamento di molti animali in cui i maschi non tollerano che le loro femmine siano oggetto di attenzione da parte di altri maschi e sono pronti a rischiare la vita per respingerli aggredendoli. Volendo trascurare le origini genetiche, potremmo supporre che se la cultura di riferimento di un individuo ammettesse la promiscuità sessuale o la poligamia, forse la gelosia non esisterebbe o sarebbe molto meno sentita, anche perché sarebbero possibili situazioni in cui l’individuo non perderebbe del tutto la possibilità di interagire con la persona amata dividendo parzialmente con un’altra persona il tempo di interazione della prima.
Un altro elemento da considerare è l’economia delle interazioni di un soggetto, cioè con quante altre persone esso interagisce e in che modo, cioè la qualità delle sue interazioni. Ci sono persone che, per motivi che non voglio qui analizzare, hanno molte interazioni con tante persone diverse, tali da soddisfare globalmente a sufficienza i propri bisogni di interazione, mentre altre tendono a concentrare le loro interazioni su poche persone, arrivando al caso limite di avere una sola persona con cui interagisce in modo soddisfacente. E’ evidente che la gelosia sarà tanto più forte quanto più il tempo di interazione sarà concentrato solo sulla persona amata.
- il bisogno primario di continuare ad interagire con la persona amata
- un timore eccessivo che l’interazione possa cessare per:
- la presenza di concorrenti temibili
- una scarsa competitività del soggetto (reale o percepita)
- l’attrattività della persona amata
- il principio morale interiorizzato dell’esclusività delle relazioni erotiche o coniugali, che impedisce la condivisione con altre persone del tempo di interazione
- la concentrazione del tempo di interazione “buona” del soggetto solo sulla persona amata, che la rende in tal modo insostituibile, e tragica la sua eventuale perdita