Sono triste quando tanti gioiscono di qualcosa che a me non piace e che trovo di un livello culturale decisamente basso. Per me è una gioia condividere con altri cose che mi piacciono (sia esteticamente che eticamente), è invece una tristezza non poter condividere ciò che piace agli altri e non a me. L’essere umano (me compreso, ovviamente) ha bisogno di appartenere, condividere e partecipare socialmente (gli spettacoli pubblici servono soprattutto a questo), di conformarsi alle forme di una comunità, ma a volte le differenze di gusti, cultura e sensibilità lo impediscono frustrando tale bisogno, da cui la tristezza, facendo preferire la solitudine ad una partecipazione dissonante.
Di solito non vedo il festival, ma, data la sua enorme popolarità, mi incuriosisce anche da un punto di vista psicosociologico. Infatti lo ritengo lo specchio della cultura media degli italiani. Così anche quest’anno l’ho visto per circa 20 minuti. Ho acceso la TV poco prima che Crozza imitasse il senatore Razzi, sfoggiando un umorismo basato quasi esclusivamente sul turpiloquio (volgare per definizione) e a corto di idee. Infatti il turpiloquio, alla maggioranza degli italiani piace sempre e quando non si trova niente di interessante da dire, un po’ di parolacce tolgono dall’imbarazzo. Ho sentito anche qualche brutta canzone, minestre riscaldate sia musicalmente che testualmente, per un pubblico poco incline alla classe, all’inventiva e alla rottura di schemi collaudati. Mi è bastato per capire che il festival non era affatto migliorato rispetto al passato, ho spento la TV e mi sono messo a leggere un libro.
So che dicendo queste cose mi rendo antipatico e arrogante a coloro che amano il festival e non ci trovano nulla da ridire, ma avevo bisogno di sfogare il mio disappunto e condividere questi miei sentimenti con altre persone di gusti simili ai miei, per sentirmi meno solo.
Più di cinquant’anni fa Umberto Eco scrisse un articolo, divenuto famoso, intitolato “Fenomenologia di Mike Bongiorno” che invito chi non l’avesse ancora fatto, a leggere. Il senso di quell’articolo si applica perfettamente, secondo me, anche ai conduttori del festival di Sanremo, e ai personaggi che orbitano intorno ad esso.
Per concludere, per me il Festival rappresenta il culto e la dittatura della mediocrità ai massimi livelli.