«L’uomo è un animale vestito, – dice il Carlyle nel suo Sartor Resartus, – la Società ha per base il vestiario.” E il vestiario compone anch’esso, compone e nasconde due cose che l’umorismo non può soffrire.
La vita nuda, la natura senz’ordine almeno apparente, irta di contradizioni, pare all’umorista lontanissima dal congegno ideale delle comuni concezioni artistiche, in cui tutti gli elementi, visibilmente, si tengono a vicenda e a vicenda cooperano.
Nella realtà vera le azioni che mettono in rilievo un carattere si stagliano su un fondo di vicende ordinarie, di particolari comuni. Ebbene gli scrittori, in genere, non se n’avvalgono, o poco se ne curano, come se queste vicende, questi particolari non abbiano alcun valore e siano inutili e trascurabili. Ne fa tesoro invece l’umorista. L’oro, in natura, non si trova frammisto alla terra? Ebbene, gli scrittori ordinariamente buttano via la terra e presentano l’oro in zecchini nuovi, ben colato, ben fuso, ben pesato e con la loro marca e il loro stemma bene impresi. Ma l’umorista sa che le vicende ordinarie, i particolari comuni, la materialità della vita in somma, così varia e complessa, contradicono poi aspramente quelle semplificazioni ideali, costringono ad azioni, ispirano pensieri e sentimenti contrarii a tutta quella logica armoniosa dei fatti e dei caratteri concepiti dagli scrittori ordinarii. E l’impreveduto che è nella vita? E l’abisso che è nelle anime? Non ci sentiamo guizzar dentro, spesso, pensieri strani, quasi lampi di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili finanche a noi stessi, come sorti davvero da un’anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo? Di qui, nell’umorismo, tutta quella ricerca dei particolari più intimi e minuti, che possono anche parer volgari e triviali se si raffrontano con le sintesi idealizzatrici dell’arte in genere, e quella ricerca dei contrasti e delle contradizioni su cui l’opera sua si fonda, in contrapposizione alla coerenza cercata dagli altri; di qui quel che di scomposto, di slegato, di capriccioso, tutte quelle digressioni che si notan nell’opera umoristica, in opposizione al congegno ordinato, alla composizione dell’opera d’arte in genere.
Sono il frutto della riflessione che scompone. «Se il naso di Cleopatra fosse stato più lungo, chi sa quali altre vicende avrebbe avuto il mondo». E questo se, questa minuscola particella che si può appuntare, inserire come un cuneo in tutte le vicende, quante e quali disgregazioni può produrre, di quanta scomposizione può esser causa, in mano d’un umorista come, ad esempio, lo Sterne, che dall’infinitamente piccolo vede regolato tutto il mondo!
Riassumendo: l’umorismo consiste nel sentimento del contrario, provocato dalla speciale attività della riflessione che non si cela, che non diventa, come ordinariamente nell’arte, una forma del sentimento, ma il suo contrario, pur seguendo passo passo il sentimento come l’ombra segue il corpo. L’artista ordinario bada al corpo solamente: l’umorista bada al corpo e all’ombra, com’essa ora s’allarghi ed ora s’intozzi, quasi a far le smorfie al corpo, che intanto non la calcola e non se ne cura.
Nelle rappresentazioni comiche medievali del diavolo, troviamo uno scolare che per farsi beffe di lui gli dà ad acchiappare la propria ombra sul muro. Chi rappresentò questo diavolo non era certamente un umorista. Quanto valga un’ombra l’umorista sa bene: il Peter Schlemil di Chamisso informi.
[Luigi Pirandello]