Come può l’eleganza essere, allo stesso tempo,  un modo di vestire, un modo di parlare e una teoria?

Come può l’eleganza essere, allo stesso tempo, un modo di vestire, un modo di parlare e una teoria?

(Mio intervento al Caffè filosofico di Lione del 8/2/2022 sul tema “Comment l’élégance peut à la fois être une tenue, une parole et une théorie?”)

Il dizionario Larousse definisce “eleganza” come segue:

  • Qualità di qualcuno che si distingue per gusto, scelta dell’abbigliamento, maniere aggraziate, ecc
  • Qualità di ciò che è di sobria bellezza e buon gusto
  • Qualità di ciò che viene espresso con precisione e piacevolezza, con sobria chiarezza, senza pesantezza
  • Qualità di qualcuno, del suo comportamento, che mostra distinzione morale o intellettuale

In sintesi, credo si possa dire che ciò che fa l’eleganza è allo stesso tempo la distinzione (cioè la differenza, fonte di meraviglia, rispetto a ciò che è comune), la semplicità, la leggerezza e la finezza delle forme di qualunque cosa: corpo umano, abito, arredamento, comportamento, linguaggio, idea, discorso, teoria, formula matematica ecc.

Volendo cercare il contrario di eleganza, non ho trovato nulla di meglio che il termine “kitsch” inteso come “comune”, “grossolano”, “pesante”, “eccessivo”.

Non credo che l’eleganza sia misurabile oggettivamente. Intendo dire che una cosa che è elegante per qualcuno, può non esserlo per un altro. Diciamo infatti che è una questione di gusti, e dei gusti non si discute, come recita il detto latino: “de gustibus non est disputandum”. Tuttavia credo che quanto più una persona è elegante, tanto più essa è sensibile all’eleganza, cioè sa riconoscerla negli altri, per una sorta di affinità elettiva.

Io credo che il concetto di eleganza sia strettamente legato a quello di bellezza. Direi infatti che l’eleganza è un particolare tipo di bellezza, vale a dire: una bellezza raffinata e delicata.

Per tale ragione, credo che per definire l’eleganza occorra prima definire la bellezza.

Ebbene, io credo che “bello” (per qualcuno) è qualsiasi cosa  (oggetto, persona, luogo, suono, immagine, scritto, idea ecc.) che suscita una sensazione piacevole mediante la percezione delle forme e/o informazioni che quella cosa emana. In tal senso, confrontando due cose belle, direi che la più elegante è quella che comporta la minore quantità di informazioni, ovvero quella che ha la formula descrittiva, generativa, o genetica, più piccola e/o più semplice.

Per me è fondamentale l’aspetto emotivo della bellezza, e dell’eleganza, vale a dire il piacere mentale che essa suscita, in senso ormonale. Quando questo piacere supera una certa soglia si può parlare di “incanto”.

In altre parole, una cosa estremamente bella o estremamente elegante è “incantevole”, in quanto incanta, affascina, stordisce, stupisce il suo percettore, come per effetto di una droga (infatti le droghe vengono chiamate anche “stupefacenti”).

Pertanto, la bellezza (e ancor più l’eleganza) potrebbe essere definita come una droga non chimica, ma costituita da informazioni percepite ed elaborate dal sistema nervoso del percettore secondo logiche e meccanismi che alcuni neuroscienziati (come il prof. Semir Zeki, docente di neuroestetica) stanno studiando.

A tal proposito, io credo che uno dei bisogni umani primari sia quello di bellezza (intesa nel senso detto sopra). La bellezza è infatti soddisfacente e disarmante, vale a dire che quando siamo sotto il suo effetto, la vita ci sembra più piacevole, più sopportabile, più amichevole, più felice (o meno infelice).

È per questo, a mio avviso, che la bellezza (delle cose e delle persone) è stata sempre sfruttata dall’uomo per convincere la gente a comprare certi prodotti, a seguire certi leader, a sottomettersi a certe autorità, a credere in certe religioni e ad accettare certe relazioni sociali, tra cui, in primis, quelle erotiche e quelle coniugali.

Per concludere, non credo di aver fatto un discorso elegante, se non altro perché ci ho messo dentro troppe cose.

 

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