Quello che comunemente s’intende per “identità” è l’appartenenza ad un certo insieme, o a più di uno. Infatti letteralmente identità significa essere identici a qualcosa. Escludendo l’auto identità (cioè l’idea che ogni cosa sia uguale a se stessa) in quanto inutile e insignificante, restano due tipi di identità: l’identità “uno-a-uno” e l’identità “uno-a-molti”.
L’identità “uno-a-uno” è il caso in cui una cosa (oggetto, persona, informazione ecc.) sia identica ad un’altra cosa distinta da sé. Ad esempio se io dico che A = B o che A è identico a B, sto dicendo che A e B, pur essendo separati, sono identici, cioè hanno la stessa composizione, struttura, forma. Due gocce d’acqua sono, ad esempio, “praticamente” identiche, anche se ci potrebbero essere differenze microscopiche.
L’identità “uno-a-molti” significa che una cosa è identica ad una moltitudine (gruppo, insieme) di altre cose, ovvero a ciascun membro di tale moltitudine. Ad esempio potremmo dire che la cosa A appartiene all’insieme B, laddove tutti i membri dell’insieme B hanno qualcosa in comune pur non essendo completamente e perfettamente identici.
L’identità di una cosa, specialmente se la cosa è una persona (in tal caso potremmo dire che la cosa in esame appartiene alla categoria “persone”), è problematica in quanto può essere vera solo in parte. intendo dire che perché l’affermazione “A si identifica con l’insieme B” sia vera, è necessario che tutti i membri dell’insieme B siano tra loro identici e che A sia identico a ciascuno di essi. Tutto ciò è ovviamente quasi mai vero quando si parla di esseri viventi, e di esseri umani in particolari. Siamo infatti tutti diversamente uguali, cioè uguali e diversi allo stesso tempo. Uguali in certi aspetti, diversi in certi altri.
Insomma, sarebbe meglio non usare il termine “identità” se non in contesti matematici o di uguaglianze perfette e di assenza di varietà. In quanto al termine “appartenenza”, che è molto più preciso e significativo del termine “identità”, esso dovrebbe comunque essere usato con cautela, dal momento che gli insiemi a cui riteniamo che una cosa appartenga non sono quasi mai precisamente definiti, e i membri di tali insiemi non sono quasi mai tra loro identici, se non idealmente. D’altra parte il nostro inconscio tende spesso a trascurare, a non vedere le differenze tra le cose e tra le persone, per una esigenza di semplicità.
Il nostro cervello, infatti, aborrisce la complessità e tende a semplificare la realtà per poterla gestire più rapidamente e agevolmente. Dovremmo sempre tener conto di questa nostra tendenza alla generalizzazione, cioè alla indifferenziazione, in quanto costituisce un’aberrazione, distorsione o livellamento della realtà. Infatti, più si generalizza, più si perdono informazioni, ovvero differenze tra le cose.
Gregory Bateson ci ha insegnato che “informazione” è una differenza che fa una differenza. Perciò, più informazioni perdiamo, più occasioni perdiamo di fare differenze, cioè di cambiare la società.