La mia visione del mondo

La mia visione del mondo

Riassunto (generato da ChaGPT):

Il testo affronta la complessità della visione del mondo dell’autore, che integra i saperi scientifici accettati con l’idea che molti aspetti della vita umana non siano spiegabili interamente dalla scienza. Sostiene che le scienze umane e sociali non offrano spiegazioni univoche e che ognuno sceglie interpretazioni in base alle proprie convinzioni e esperienze.

Una parte centrale del testo riguarda la coscienza umana, suddivisa in tre parti (cognitiva, emotiva, volitiva), sottolineando l’importanza dell’aspetto emotivo nella funzione della coscienza. Si afferma che, se privi della capacità di provare piacere e dolore, la coscienza umana non avrebbe ragione di esistere.

Si sottolinea la mancanza di conoscenza sulla natura della coscienza, ma si riconosce la comprensione delle interazioni tra le sue parti e con il resto del corpo e del mondo. Si enfatizza l’idea che la vera natura di una cosa è data dalle sue interazioni con altre cose.

Si discute inoltre della motivazione umana derivante dai bisogni biologici e sociali, ritenendo che la saggezza risieda nella soddisfazione sostenibile di tali bisogni e nel riconoscimento delle strategie di soddisfazione.

Si conclude affermando che l’informazione, fondamentale per la vita, è immateriale ma può influenzare la materia, aprendo riflessioni sull’aspetto “spirituale” dell’informazione e sulle complesse interazioni tra le menti umane.

Il testo spazia su una vasta gamma di argomenti, offrendo una prospettiva complessa e sfaccettata sulla natura umana e sul mondo circostante.


 

La mia visione del mondo include il patrimonio di saperi delle scienze naturali, sulla cui veridicità e verificabilità esiste un vasto consenso nella comunità scientifica.

Tuttavia molti fenomeni importanti della vita, specialmente quella umana, non possono essere spiegati con metodi scientifici, e sono oggetto di intuizioni e di ipotesi filosofiche e psicologiche impossibili da verificare oggettivamente, in quanto non (ancora) misurabili.

Infatti, nelle cosiddette “scienze umane e sociali” non esiste un vasto consenso tra gli studiosi, anzi, vi sono tante teorie e narrazioni diverse, a volte incompatibili tra loro. Perciò ognuno sceglie le “spiegazioni” che gli sembrano più plausibili e più coerenti con le proprie credenze, le proprie esperienze, la propria formazione e la propria personalità.

In quanto a me, ho costruito la mia visione del mondo attingendo al pensiero di diversi sceinziati e filosofi, a cui ho aggiunto alcune mie intuizioni e ipotesi personali, consapevole del fatto che in tale visione restano comunque lacune, errori e grandi misteri, che restano tali anche per la comunità scientifica.

Secondo me, il mistero più grande e più importante per un essere umano, è costituito dalla propria coscienza, che io divido in tre parti: (1) cognitiva, (2) emotiva e (3) volitiva. Delle tre, la più importante è quella emotiva, ovvero la capacità di provare piacere e dolore, per cause sia fisiche che mentali, intendendo per queste ultime le anticipazioni di stati futuri più o meno piacevoli o dolorosi.

Senza la capacità emotiva, la coscienza non avrebbe ragione di esistere, né potrebbe funzionare. Immaginate infatti di non avere (sin dalla nascita) la capacità di godere e di soffrire, e che di conseguenza tutto vi sia emotivamente indifferente: non avreste alcuna paura, alcun desiderio, alcuna frustrazione, alcuna motivazione, alcun criterio di scelta, alcun orientamento, alcun freno morale. Non sopravvivereste, o sopravvivereste come un vegetale (presumo che i vegetali non abbiano una coscienza).

Ancora oggi nessuno sa come sia fatta la coscienza, né dove si trovi (nel corpo o fuori di esso?), né quando, né come sia emersa durante l’evoluzione della nostra specie (supponendo che non tutte le specie ne siano dotate).

Tuttavia sappiamo molte cose sui rapporti tra le parti della coscienza e il resto del corpo e del mondo. Sappiamo infatti come alterarla, come manipolarla, come ipnotizzarla, come anestetizzarla, sappiamo che certe situazioni provocano piacere o dolore, sappiamo come accrescere le cognizioni, sappiamo come motivare o demotivare le persone, ecc.

Sappiamo inoltre che la memoria gioca un ruolo importante nella coscienza, essendo al tempo stesso causa, oggetto e traccia dei pensieri coscienti e delle percezioni.

In altre parole, non sappiamo cosa sia la coscienza in sé, ma sappiamo molto delle interazioni tra le sue parti, e tra esse e il resto del corpo e del mondo circostante.

Il fatto che non possiamo conoscere una cosa in sé ma possiamo conoscere le sue interazioni con altre cose, è a mio avviso applicabile non solo alla coscienza, ma ad ogni cosa (oggetto, persona, idea, forma ecc.) di cui possiamo fare esperienza diretta o indiretta.

Infatti, l’essenza di qualsiasi cosa può essere descritta come l’insieme delle proprie caratteristiche, le quali non sono altro che i modi in cui essa interagisce con i suoi osservatori e con altre cose. In tal senso, sarebbe utile sostituire il verbo “essere” con altri verbi che indicano “interazioni rispetto ad altre cose”. In altre parole, credo che il mondo sarebbe molto più comprensibile se evitassimo di usare il verbo “essere”.

D’altra parte dire che “A è B” è come dire che “A = B”, cioè dire che A è sempre uguale a B, ma questo il più delle volte non è vero. Dovremmo piuttosto dire che A assomiglia a B soltanto in una certa misura, per certi aspetti e in certe situazioni. In altre parole non dovremmo mai fare affermazioni assolute, ma solo affermazioni relative, cioè relativamente ad altri termini e condizionate a certe situazioni.

Se vogliamo conoscere una cosa autonoma in termini di interazioni con altre cose, dovremmo chiederci come avviene, in quella cosa, il processo decisionale relativamente alle sue interazioni col resto del mondo.

Nel caso di una cosa autonoma non vivente, come ad esempio un orologio meccanico, la logica del proprio comportamento è insita nella propria struttura fisica, cioè nell’architettura dei suoi ingranaggi, delle sue leve, e delle connessioni fisiche tra le sue parti.

Nel caso di un essere vivente, la logica del comportamento è basata sulla riproduzione, la raccolta e l’elaborazione di informazioni, sia per quanto riguarda la formazione dell’organismo a partire dall’embrione (il DNA consiste in informazioni che fungono da istruzioni per la costruzione e lo sviluppo dei vari organi del corpo), sia per quanto riguarda il comportamento interattivo dell’organismo al suo interno e verso il resto del mondo, a tutti i livelli, a partire dalle cellule.

Si può infatti presumere che il comportamento di una cellula rispetto alle cellule e ad altri oggetti o sostanze con cui interagisce dipende dalle informazioni che esse si scambiano automaticamente, analizzate secondo certi programmi memorizzati al loro interno.

Se per “mente” intendiamo un sistema di gestione di informazioni (consce o inconsce), possiamo dire che ogni cellula ha una sua “mente” (presumibilmente inconscia) che regola e determina il proprio comportamento. E lo stesso dovrebbe essere vero per i sistemi di cellule, cioè per gli organi, fino al livello più alto, quello dell’organismo.

Le informazioni contenute nel DNA e nella memoria degli esseri viventi, ai vari livelli di aggregazione delle cellule, sono “motivate” e “motivanti”, nel senso che mirano alla sopravvivenza e alla riproduzione, cioè servono a soddisfare il bisogno dei geni, di riprodursi, per cui ogni specie vivente costituisce una diversa strategia di riproduzione dei propri geni. Infatti, se i geni non avessero la necessità di riprodursi, non lo farebbero, e non ci sarebbe alcuna forma di vita sul nostro pianeta. E il fatto che le mutazioni genetiche siano casuali non significa che qualunque mutazione sia compatibile con la riproduzione dei geni interessati. Infatti molte mutazioni comportano la morte o la mancata nascita dell’individuo.

Al fine della riproduzione dei geni, il piacere e il dolore, che sono l’aspetto fondamentale della coscienza, costituiscono la ricompensa rispettivamente positiva e negativa per il comportamento dell’organismo. In altre parole, il piacere può essere considerato il segnale e la misura della soddisfazione di un bisogno, il dolore il segnale e la misura della sua frustrazione. In altre parole, attraverso le leve del piacere e del dolore, la natura ci costringe a comportarci in modo da conservare la nostra specie.

L’essere umano è motivato da una serie di bisogni sia biologici, sia sociali, la cui soddisfazione è indispensabile per la sopravvivenza dell’individuo e della specie. I bisogni biologici sono simili a quelli di altri mammiferi. I bisogni sociali che io ho identificato sono i seguenti:

  • il bisogno di integrazione sociale (cooperazione, comunità, appartenenza, condivisione, interazione, comunicazione, imitazione)
  • il bisogno di libertà
  • il bisogno di dominazione, competizione
  • il bisogno di conoscenza
  • il bisogno di bellezza, ordine
  • il bisogno di coerenza cognitiva, cioè di non contraddizione tra nozioni apprese

Soddisfarli tutti è difficile, se non impossibile, dato che spesso essi determinano comportamenti antitetici, nel senso che soddisfare un bisogno può comportare la rinuncia a soddisfarne un altro. Inoltre la soddisfazione di un bisogno per un individuo può comportare la frustrazione di un bisogno per un altro.

In tal senso, secondo me la saggezza consiste nella capacità di soddisfare in misura sufficiente e in modo sostenibile il maggior numero di bisogni innati, e di rinunciare a soddisfare i bisogni indotti dalla società, se si dimostrano inutili o nocivi a breve o a lungo termine.

Per diventare saggi, bisogna dunque imparare a conoscere, e a riconoscere, i bisogni umani e le possibili strategie (più o meno efficaci ed efficienti) per la loro soddisfazione.

In tal senso la personalità di un individuo può essere definita come la sua attitudine a soddisfare i bisogni propri e altrui, ovvero le proprie strategie di soddisfazione, oltre alla forza o urgenza relativa di ciascuno dei vari bisogni, che è diversa da persona a persona.

In questa mia visione del mondo, la moralità, necessaria a causa della nostra interdipendenza, consiste nel procurare a se stessi e agli altri il maggior piacere e il minor dolore possibile, ad un costo sostenibile nel breve e nel lungo termine.

In quanto all’estetica, direi che bello è ciò che procura piacere, e brutto ciò che procura dolore, in modo soggettivo.

Un principio alla base della mia visione del mondo è che ogni fenomeno avviene (1) per caso, o (2) per una legge fisica o (3) per una logica (intesa come programma, algoritmo o codice di comportamento), o (4) per un misto di tali cause.

In quanto ad eventuali cause cosiddette “spirituali” (cioè immateriali e non dipendenti dalla materia), non posso dimostrare che non esistano, ma suppongo che non siano dimostrabili, ovvero che non siano distinguibili da fantasie o allucinazioni.

Infatti, a mio avviso, lo spiritualismo (in forma di idealismo, esoterismo, misticismo, intuizionismo, magia, religioni ecc.), rifiuta il materialismo perché ritiene erroneamente che esso non possa prendere in considerazione le informazioni e le emozioni che animano gli esseri viventi, mentre il concetto di “spirito” viene da molti usato come presunta causa e/o fine di fenomeni umani che non sanno spiegare altrimenti, e per negare la nostra finitudine (in cui io credo). D’altra parte, la metafisica, o scienza dello spirito, essendo per propria definizione “al di là della fisica” e non misurabile, non verificabile, né falsificabile, è un sicuro rifugio per chi desidera mettere la propria visione del mondo al riparo da qualsiasi critica razionale.

L’informazione, elemento fondamentale e centrale della vita, è immateriale, anche se ha bisogno di materia e/o di energia per essere conservata, elaborata e trasmessa, e può avere effetti materiali, cioè causare cambiamenti fisici nel corpo e al di fuori di esso. In quanto immateriale, ma capace di agire sulla materia, si potrebbe dire che l’informazione (conscia o inconscia), a prescindere dal supporto fisico in cui è scritta, sia qualcosa di spirituale.

Come ha scritto Gregory Bateson, “un’informazione è qualunque differenza che fa una differenza”. Se volete capire il senso delle interazioni tra gli umani, e i problemi psichici ad esse connessi, cercate dunque di figurarvi le informazioni che le menti coinvolte (consce e inconsce) elaborano per determinare le interazioni stesse.

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