Il filosofo H. Gadamer ha rilevato che l’uomo non potrebbe vivere senza pre-giudizi, vale a dire senza l’apporto dei giudizi, delle opinioni, delle idee prodotte dalle generazioni precedenti. I pre-giudizi (sia in senso positivo che negativo) vengono interiorizzati nel corso delle fasi evolutive della personalità, nel corso delle quali il potere critico del bambino è notoriamente ridotto. Successivamente, nulla sulla carta vieta al soggetto di “ruminarli”, vale a dire di riportarli a galla dalle viscere della mente e di elaborarli. Sulla carta, però. [Luigi Anepeta]
(Fonte: http://www.nilalienum.it/Sezioni/Archivio/MistDemist.html)
Hans G. Gadamer, uno dei filosofi più influenti del Novecento, partendo dal fatto che l’uomo, gettato nella realtà storica con le sue limitate capacità di comprenderne la complessità, non può fare altro, consciamente e inconsciamente, che interpretarla – e l’interpretazione esclude che egli possa arrivare alla verità assoluta – è giunto a riabilitare il concetto di pre-giudizio, che l’Illuminismo razionalistico ha totalmente squalificato. Secondo Gadamer, un tessuto pre-giudiziale è costitutivo della soggettività umana come conseguenza della sua appartenenza storico-culturale. Per pre-giudizio egli intende ciò che gli uomini del passato hanno ritenuto valido e hanno selezionato, dunque la Tradizione culturale. Senza questo patrimonio di sapere, gli uomini dovrebbero ad ogni generazione ricominciare da capo. Essi hanno dunque bisogno di interiorizzare i pre-giudizi per giungere alla consapevolezza di sé e all’attività critica.
Gadamer riconosce che tra i pre-giudizi se ne danno anche di profondamente errati o addirittura aberranti, ma ritiene anche che, se si prescinde dal ritenere che le generazioni passate abbiano sbagliato in tutto, se ne diano di giusti e di profondi. [Luigi Anepeta]
(Fonte: http://www.nilalienum.it/Sezioni/Nietzsche/txt/lettura5.html)
Quella di tradizione costituisce la nozione centrale anche dell’ermeneutica. Che il soggetto conoscente sia sempre inserito in una tradizione, che l’esperienza umana sia costitutivamente radicata nel linguaggio da quella tramandato, attraverso cui soltanto può aversi un accesso all’‘essere’, sono i temi filosofici fondamentali dell’ermeneutica gadameriana. Il fatto che l’ermeneutica consideri la conoscenza come una questione di interpretazione mediata dal linguaggio e dalla tradizione a cui l’interprete stesso appartiene, e che, in tale prospettiva, la stessa verità non possa più essere pensata come il risultato incontrovertibile dell’applicazione di metodi oggettivi, ma sia essa stessa condizionata storicamente e quindi soggetta a mutare e ad arricchirsi nel corso dell’evoluzione storica, tutto ciò ha avuto, ancora una volta, l’esito di depotenziare un concetto di f. come ricerca di principi trascendentali e di un metodo come fondazione assoluta del sapere e della conoscenza. Di qui alcune conseguenze che hanno in larga misura condotto l’ermeneutica a incontrarsi con gli altri indirizzi che pure hanno teorizzato l’impossibilità di individuare criteri assoluti, metastorici, atti a garantire e giustificare la conoscenza. La ricezione dell’ermeneutica è andata infatti ben oltre la cultura accademica europea, e autori appartenenti all’area analitica, prevalentemente influenzati dalla f. dell’ultimo Wittgenstein (per es., S. Cavell, J. Margolis, H. Dreyfus, R. Rorty), ne hanno variamente sottoscritto e sviluppato le istanze, contribuendo a instaurare un dialogo tra le due aree che in tempi passati sarebbe apparso impensabile. [Enciclopedia Treccani]
(Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/filosofia/)