Io suppongo che l’uomo abbia, universalmente, bisogno di partecipare a riti sociali (formali o informali, espliciti o impliciti). A tale bisogno ho dato il nome di «bisogno rituale».
Un rito sociale è qualsiasi attività a cui partecipano almeno due persone, in modo preferibilmente sincronizzato, in forme tradizionali o convenzionali.
In altre parole, un rito sociale consiste nel fare le stesse cose e nello stesso modo, e possibilmente allo stesso tempo, con altre persone. Infatti non importa tanto ciò che si fa, quanto il fatto di farlo insieme e in una certa forma, ovvero la comune riconoscibilità e la condivisione di ciò che si fa.
Insomma, ciò che conta è la partecipazione ad un’attività comune.
Il «bisogno rituale» può essere soddisfatto, per esempio, dal partecipare ad una funzione religiosa, a una partita di calcio (come spettatore o come giocatore), a un party, a un ballo, a una maratona, a un concerto (come ascoltatore o come musicista), a un gioco, a un viaggio organizzato, alla visione di una trasmissione televisiva (meglio se in diretta), a una conversazione, a un convegno, a un seminario, a un corteo, ecc.
La partecipazione ad un rito sociale ci rassicura in quanto ci fa sentire di far parte di una comunità.
Senza tale rassicurazione saremmo angosciati, da cui il bisogno rituale come antidoto della paura dell’isolamento sociale e fonte di piacere.
Piacere che scaturisce dalla soddisfazione del bisogno di appartenenza sociale.