Appartenenza vs. libertà

Appartenenza vs. libertà

L’appartenenza a un certo insieme sociale implica la condivisione di certe forme, norme, valori, gerarchie, ruoli, funzioni, finalità. Quanto più completa, stabile, netta, profonda è la condivisione, tanto più forte è, per definizione, l’appartenenza.

A tal proposito conviene parlare di grado di appartenenza. Credo che al giorno d’oggi le appartenenze siano sempre più deboli, superficiali, provvisorie, disimpegnate, liquide.

Prendiamo ad esempio l’appartenenza a un gruppo Facebook o Whatsapp, ad una associazione culturale, ad una parrocchia, ad un fun club sportivo, alla massa di spettatori di uno spettacolo, ad un gruppo di invitati ad una festa, ai seguaci di una moda, a una folla che passeggia ecc.

Ogni insieme sociale è anche un gruppo di mutuo riconoscimento e di mutua approvazione, riconoscimento e approvazione di cui abbiamo tutti un grande bisogno.

I motivi fondamentali di ogni relazione e interazione sociale, e quindi di ogni appartenenza, sono, a mio avviso, i seguenti quattro: cooperazione, competizione, imitazione, selezione. Vale a dire che si appartiene per cooperare, per competere, per selezionare le persone con cui interagire, per imitare gli altri (l’apprendimento sociale è basato sull’imitazione).

In tale ottica ci sono domande sempre pendenti, come le seguenti: a quali insiemi desidero appartenere? A quali sono costretto ad appartenere? In quale misura? Per quanto tempo? In quali ruoli? In quale posizioni gerarchiche? Con quale status? Con quali obblighi e impegni? Questa appartenenza mi conviene o non mi conviene?

Siamo sempre più liberi di scegliere le nostre appartenenze, e questa libertà è sempre più “imbarazzante”. L’imbarazzo della scelta. Anche perché scegliere una appartenenza è scegliere come limitare la propria libertà.

 

2 commenti

  1. Vanna

    Ottima relazione Bruno.
    Siamo liberi di scegliere la nostra prigionia.
    Mi piacerebbe anche capire quali sono le modalità di interazione con il gruppo che scegliamo: se ci poniamo in modo passivo potremmo essere dipendenti del gruppo (azzerando più o meno consapevolmente la ns libertà intellettuale come il caso dei seguaci di una setta) ma se ci poniamo in un ruolo attivo potremmo anche dominare il gruppo accrescendo così la ns identità (quindi sentendoci liberi nel nostro essere e nel nostro pensare). Cioè nell’ordine gerarchico, come lo chiami tu, mi sembra molto diverso il senso di “appartenenza”, forse non la chiamerei nemmeno appartenenza ma negli esempi sopra roportati, solo “dipendenza” o “autocentrismo”. Il senso di appartenenza invece, secondo me, non dovrebbe essere patologico ma esplicarsi nella difficile ricerca di un giusto equilibrio tra costi/benefici, individualita’/comunità, libertà/impegno.

  2. Grazie Vanna, sono d’accordo con le tue riflessioni. Un’appartenenza può essere più o meno soddisfacente in funzione del ruolo, della funzione, dello status ecc. con cui si appartiene.

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