Una delle più importanti conquiste dell’umanità, che dobbiamo a Sigmund Freud, è stata la scoperta, o meglio la supposizione, dell’inconscio e del super-io, oltre al metodo terapeutico psicoanalitico che permette di ridurne gli effetti nocivi. Il super-io è un entità psichica inconscia che giudica e condanna ingiustamente, cioè morbosamente, la persona che lo ospita, la quale si sente inconsciamente obbligata ad espiare in qualche modo la pena richiesta dalla condanna attraverso l’auto-impedimento della soddisfazione di legittimi bisogni o lo sviluppo di malattie psicosomatiche.
Lode e gratitudine dunque a Freud e alla psicoanalisi, ma attenzione al male che può annidarsi nell’altra faccia della medaglia. Infatti, credo che una certa ideologia psicoanalitica superficiale entrata gradualmente nella cultura popolare a partire dagli anni sessanta abbia contribuito a determinare una generale avversione per tutto ciò che ha a che fare con il giudizio morale, senza fare tante distinzioni, al punto che ogni giudizio morale (a parte quelli banali riguardanti i crimini più evidenti) viene ormai visto come “moralistico” e quindi deleterio o comunque pericoloso. Il risultato di questa tendenza è il dilagare di un nichilismo passivo, rassegnato, rinunciatario e irresponsabile, dal momento che pochi hanno pensato di sostituire i precetti moralistici forgiati dalla religione e incarnati dal super-io con altri laici e razionali, realmente utili alla comunità. In altre parole, ci si è preoccupati di demolire il senso inconscio del dovere e di affermare il diritto di fare tutto ciò che sentiamo giusto, senza mettere sotto scrutinio razionale il senso soggettivo del giusto, del buono e del bello. A livello sociale la conseguenza è che si è persa la spinta verso il bene comune e il progresso civile, di cui nessuno si sente più responsabile così come dei mali della società stessa. In altre parole, la nostra società sta andando moralmente alla deriva anche grazie all’ideologia popolare modernista (di cui una certa idea della psicoanalisi è parte integrante) che ha predicato la liberazione dalle costrizioni moralistiche non riuscendo più a distinguere il morale dal moralista.
La storia dell’Uomo ha dimostrato che l’etica e la morale non sono innate (se non in forme animali, come quelle che riscontriamo nei primati), ma il risultato di una educazione morale. Guardiamoci intorno: solo le religioni parlano ancora di morale e impegno sociale, in forme discutibili, spesso retrograde in quanto legate ad una rivelazione divina, con il risultato che spesso chi abbandona una religione abbandona anche la morale ad essa associata, senza sostituirla con una migliore. Per il resto, l’etica viene studiata negli ambienti accademici come branca della filosofia, senza alcun impatto pratico nella vita politica e sociale, dove è infatti vista con sospetto o repulsione, come una minaccia autoritarista o, nel migliore dei casi, un argomento inutile e noioso.
Io credo che questa tendenza generale alla dismissione della morale stia portando l’Uomo e la società al disastro, e auspico che psicologi e psicoterapeuti facciano la loro parte per rivalutare l’etica e la morale riconoscendo che accanto ad un super-io morboso da mettere a tacere ce ne debba essere uno sano da nutrire anche e soprattutto in sede psicoterapeutica (dove altrimenti?). Perché come è vero che non si può essere felici da soli, non si può convivere felicemente con altri umani senza rispettare una morale condivisa. Trovo edificanti in tal senso gli insegnamenti di Albert Camus ed Erich Fromm, esempi mirabili, anche se purtroppo fuori moda, di nichilismo virtuoso, attivo, responsabile e progressista.