Dietro ogni attività ed espressione umana sono rilevabili ogni sorta di conflitti e alleanze di interessi.
Consideriamo, ad esempio, i giornali e i loro contenuti, cioè gli articoli e la pubblicità. Perché esistono i giornali? Perché esiste la pubblicità? Perché un giornalista scrive un articolo? A chi giovano queste cose? A chi le produce o a chi le usa? Non c’è dubbio che giovino a chi le produce, altrimenti non le produrrebbero. Dobbiamo allora chiederci se, e in che misura, esse giovino anche a chi le legge, e perché.
Io suppongo che il giornale rappresenti la comunità e serva ad informare i suoi membri sui valori e le regole della comunità stessa. Vale a dire: le gerarchie politiche, morali, estetiche ed economiche, i mercati e i prezzi, ovvero i valori di ogni cosa, cosa è “in” e cosa “out”, bello e brutto, buono e cattivo, desiderabile e spaventoso, glorioso e infame e, soprattutto, cosa fanno gli altri, i rapporti di forza, la distribuzione delle ricchezze e del potere ecc.
Dobbiamo allora chiederci, con quale criterio vengono scelte le informazioni, cioè di cosa parlare e come parlarne, e di cosa tacere, dal momento che la scelta può favorire o danneggiare certe persone piuttosto che altre.
Le risposte a queste domande possono rivelare motivazioni più o meno oneste, meschine e malvagie, che possono nuocere al bene comune favorendo particolari persone o gruppi.
Una motivazione molto comune è quella di distrarre le masse e impedire che capiscano la realtà della propria situazione ed evitare che cerchino di cambiare lo status quo. Insomma, una motivazione conservatrice. Altre volte la motivazione può essere quella di cambiare l’assetto politico-sociale a favore di un certo partito o gruppo di persone. Nel migliore dei casi la motivazione può essere progressista, cioè a favore del bene comune attraverso riforme di leggi, atti di governo o cambiamenti di mentalità nella gente, ma ciò è piuttosto raro.