Qualunque cosa io faccia o pensi di fare (consciamente o inconsciamente), è sottoposta ad un’autocensura da parte di un mio meccanismo inconscio, che io chiamo “autocensore” e che ha il compito di stabilirne la valenza sociale, cioè in quale misura tale cosa contribuisca alla mia integrazione o emarginazione sociale. In altre parole, quanto sia utile o nociva al mio successo sociale.
Questo autocensore (che corrisponde in parte al super-io freudiano) esprime il suo giudizio di approvazione o disapprovazione suscitando in me sentimenti gradevoli e sgradevoli come gioia, autocompiacimento, sollievo, benessere, pienezza, appagamento ecc. oppure sensi di colpa, vergogna, ansia, angoscia, paura, panico ecc. Mediante tali strumenti, come fossero carote e bastoni, mi costringe a comportarmi in modi e forme a cui esso associa la più alta valenza sociale rispetto alla comunità (reale o interiorizzata) da cui la mia vita dipende maggiormente.
Anche mentre scrivo questa mia riflessione, il mio autocensore misura continuamente la valenza sociale di ciò che penso e scrivo, incoraggiandomi o scoraggiandomi a proseguire, mediante l’attivazione di sentimenti positivi o negativi. Infatti, in questo preciso istante provo un sentimento conflittuale. Da una parte mi sento incoraggiato a proseguire nella riflessione e scrittura, nella speranza che ciò che scrivo sarà apprezzato da chi lo legge, come un dono, un aiuto per una migliore conoscenza di sé stessi e degli altri; dall’altra mi sento scoraggiato a farlo, nel timore che un certo numero di persone mi giudicheranno arrogante e presuntuoso per questo mio parlare di cose che la maggior parte delle persone ignorano, di cui non si interessano, e che non riguardano la mia professione. Cose se volessi dimostrare di essere superiore agli altri o di poter fare un mestiere per cui non sono qualificato e di farlo meglio degli specialisti titolati.
Non posso disattivare il mio autocensore senza ricorrere a farmaci, droghe o esercizi di meditazione o autocontrollo specifici. Tuttavia ho la libertà di obbedirgli o disobbedirgli, pur sapendo che, in caso di disobbedienza o ribellione, mi punirà inviandomi sentimenti sgradevoli e/o dolorosi.
Il mio autocensore limita la mia libertà e creatività, ma mi protegge dal rischio di diventare asociale. Sarebbe dunque un errore liberarmene, ammesso che possa riuscirvi. E’ un padre-padrone con cui dovrò sempre fare i conti.
Io penso che ogni essere umano abbia un autocensore come l’ho io, ma non tutti ne sono consapevoli.