Umorismo e verosimiglianza

Umorismo e verosimiglianza

Quando ci capita di ridere, proviamo una certa emozione della durata di pochi secondi, a cui forse non è stato ancora dato un nome. Io la chiamerei provvisariamente “emozione umoristica”.

Ebbene, io suppongo che l’emozione umoristica sia suscitata dall’ambiguità di una percezione di cui la mente non riesce immediatamente determinare il grado di verosimiglianza.

Nel corso di uno spettacolo umoristico, infatti, si susseguono momenti in cui ciò che viene reppresentato può sembrare verosimile, alternati con momenti in cui ciò che appariva verosimile pochi attimi prima si rivela improvvisamente inverosimile, in un’alternanza che dura fino alla fine dello spettacolo.

In altre parole, ciò che strappa le risate sono i piccoli o grandi colpi di scena che mostrano improvvisamente e inaspettatamente che ciò che sembrava vero o verosimile un attimo prima, è in realtà falso, o in veorimile, che ciò che poco prima sembrava serio è in realtà uno scherzo, che ciò che sembrava proccupante è in realtà rassicurante.

Per far ridere un neonato, infatti si ricorre proprio a questa tecnica. Gli si mostra prima, per pochi secondi, una faccia triste, irata, o aggressiva, a volte accompagnata dalla locuzione “bubu…”, e subito dopo gli si mostra una faccia molto allegra e amorevole, accompagnata a volte dalla locuzione “settete!”. La rista strappata al neonato è il segno della sua improvvisa rassicurazione, della neutralizzazione del suo timore did subilre un maltrattamento. Ovviamente il tempismo è qui essenziale. Se le due fasi durano troppo, o se tra le due fasi c’è una pausa, l’emozione umoristica non avviene.

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