A nessuno piace essere criticato né direttamente, cioè come individuo, né indirettamente, cioè come tipo, categoria o gruppo al quale si appartiene. Inconsciamente la critica viene considerata un tentativo di diminuire il nostro status nella comunità di appartenenza, o di escluderci da essa per indegnità. Per questo alle critiche reagiamo emotivamente e in modo più o meno aggressivo e difensivo, spesso attaccando l’autorevolezza, la credibilità e la moralità della persona che ci critica, più che cercando di discutere razionalmente e lucidamente la validità e la fondatezza dei contenuti delle critiche.
In altre parole, ogni critica viene percepita come più o meno offensiva, e colui che la esprime viene percepito più o meno come un aggressore, a prescindere dai contenuti della critica stessa.
Ogni volta che esprimiamo un’opinione diversa da quella del nostro interlocutore su questioni che lo coinvolgono direttamente o indirettamente, rischiamo di offenderlo. Per evitare di offendere, irritare o disturbare una persona non c’è quindi altra soluzione che evitare di esprimere opinioni dissonanti rispetto alla visione che l’altro ha del mondo e di sé stesso.
Succede allora che le persone si schierano con quelli che la pensano come loro e contro coloro che la pensano diversamente e, all’interno degli schieramenti elettivi, la critica interna è proibita, mentre è obbligatorio criticare gli schieramenti avversi, e chi non lo fa viene visto con sospetto, come un potenziale traditore.
In tutto questo gioco la verità (ammesso che esista) è in vacanza o tenuta alla larga per evitare dispiaceri.